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Indipendenza della Catalogna, motivazioni e scenari futuri

12 Settembre 2017

Ecco un quadro di cosa potrebbe succedere in caso di secessione catalana, che oggi è stata stoppata dalla Corte Costituzionale

Con gli ultimi scontri fra Governo centrale di Madrid e rappresentanze politiche locali della Catalogna, è tornata agli onori della cronaca la questione dell’indipendenza della Regione spagnola. La consultazione referendaria a riguardo, riproposta per l’1 ottobre, questa mattina è stata stoppata dalla Corte Costituzionale spagnola che ha ammesso il ricorso del Governo di Madrid  contro la legge sulla scissione, approvata giovedì scorso dal Parlamento catalano. La legge forniva le basi per un nuovo ordinamento giuridico da adottare in caso di vittoria dei separatisti nel referendum sull’indipendenza, previsto per il 1 ottobre. La Corte costituzionale spagnola la scorsa settimana aveva già accolto il ricorso del Governo di Madrid contro il referendum, sospendendone la convocazione.
A seguito della decisione della Consulta, la Procura catalana, per evitare la ‘consumazione del reato’ ha ordinato alla Polizia catalana, alla Guardia Civil e alla Polizia nazionale di sequestrare le urne e tutto il materiale che potrebbe essere usato per lo svolgimento del referendum sull’indipendenza del 1 ottobre.
La Corte Costituzionale spagnola ha sospeso anche la legge catalana che definisce un quadro giuridico per uno Stato indipendente.
L’Alta Corte penale spagnola sta discutendo su possibili sanzioni pecuniarie, così come previsto dalla legge 92 sul funzionamento dell’organo, dai 3 ai 30 mila euro per le autorità pubbliche che ancora si muovono verso risoluzioni indipendentiste.

Nonostante queste misure, ancora non si tirano indietro i vari movimenti per l’autonomia catalani, che già nel 2014 erano riusciti a portare i residenti ad esprimersi sul referendum per fare della Catalogna uno Stato sovrano. Domenica in piazza a Barcellona sono scese oltre 1 milione di persone per la manifestazione indipendentista organizzata in occasione della festa nazionale catalana della Diada e in appoggio al referendum del 1° ottobre Nel 2014, così come sta accadendo oggi, la consultazione popolare si fece, ma non ebbe alcun valore giuridico, poiché dichiarata illegittima dal Tribunale costituzionale. L’affluenza fu del 35,9 %, con l’80 % dei votanti che si espressero a favore dell’indipendenza dalla Spagna.

Il nuovo corso sull’indipendenza catalana è tornato in voga per mano del Presidente della Regione spagnola Carles Puigdemont Casamajo, stufo della ‘lunga serie di no’ arrivati dal Governo centrale verso le proposte avanzate dall’Amministrazione catalana e da anni impegnato nel progetto di un’indipendenza catalana più de facto piuttosto che de iure. Già dal 2015, la risicata maggioranza degli indipendentisti nel Parlamento catalano ha aperto uno scontro diplomatico col Governo centrale, dichiarando la propria insubordinazione e promuovendo disegni di legge in visione di una nuova repubblica. Una situazione che ha portato, in conclusione, il Parlamento catalano a ritentare la strada del referendum, come annunciato a giugno di quest’anno da Puigdemont.

Oggi, a tre anni di distanza, tornano le stesse dinamiche che hanno impegnato per diverso tempo l’opinione pubblica spagnola. Nonostante la distanza di vedute che sussiste con Madrid, l’insistenza di parte del Parlamento catalano nel proporre l’indipendenza della Regione ha portato alcuni analisti del Barcelona Center for International Affairs a tracciare un quadro sulle possibilità future di una Catalogna separata dalla Spagna.

La Catalogna ha sempre avuto un forte carattere identitario all’interno della Nazione spagnola, espresso sia a livello culturale che a livello economico e giuridico. Oltre alle differenze linguistiche, è sicuramente l’aspetto economico che ha fatto da traino ai movimenti indipendentisti catalani. La Regione determina un afflusso fiscale allo Stato centrale pari al 19 per cento del totale, mentre beneficia di solo il 14 per cento della spesa pubblica. Come in molti casi europei, in cui interessi regionali spingono per l’autonomia, anche le motivazioni catalane si fondano su una struttura economica forte della propria Regione, che viene in qualche modo frenata dai vincoli che la legano allo Stato centrale.

In visione di una Catalogna autonoma, gli analisti hanno considerato come percorribili due scenari principali. Il primo, in cui la Catalogna si scinde dalla Spagna attraverso un accordo reciproco e condiviso. Il secondo, attraverso una decisione unilaterale. In entrambi i casi, sottolinea lo studio, la Catalogna ne trarrebbe un vantaggio economico, anche se i migliori risultati arriverebbero in caso di un accordo con il Governo centrale.

Questo perché, nonostante la conseguenza di accollarsi parte del debito pubblico spagnolo – circa il 20 per cento, calcolato in base al contributo sul Pil nazionale da parte della Catalogna – la Regione avrebbe un periodo di transizione molto più rapido e più garanzie in ambito di politica monetaria, rapporti con la Comunità Europea e credibilità sulle proprie politiche.

In caso di decisione unilaterale, la Catalogna risponderebbe invece solo del debito pubblico di cui è responsabile, quindi intorno al 12 per cento, ma ne trarrebbe svantaggio in ambito di rapporti commerciali con la Spagna stessa e con l’Unione Europea, con rischi maggiori relativi la volatilità della moneta sui mercati finanziari. L’incertezza che deriverebbe da una secessione non condivisa, potrebbe portare a rapporti più difficili con i propri partner commerciali, gettando un velo d’incertezza sui possibili scenari futuri.

Quel che mette d’accordo gli analisti è comunque un sostanziale vantaggio raggiunto nel lungo periodo. Una volta rimesso il debito allo Stato spagnolo, la Catalogna avrebbe a disposizione fondi per investimenti infrastrutturali che favorirebbero ulteriormente la già florida economia della Regione. Questo, in particolar modo, in caso di accordo bilaterale di secessione. Va ricordato, infatti, che è il resto della Spagna a rappresentare il primo partner commerciale della Catalogna. Con una separazione forzata, l’export catalano risentirebbe di un fisiologico calo della domanda da parte della Spagna, così come di un costo del lavoro maggiore, determinato dalla scelta autonomista.

C’è un ulteriore aspetto nel quadro possibile di una separazione catalana, ovvero il ruolo del nuovo Stato nel panorama macro politico, in particolare riguardo i suoi rapporti con l’Unione Europea. Proprio per questo, l’analisi si concentra su altri tre scenari possibili, questa volta relativi al ruolo della Catalogna rispetto l’Europa.

Il primo e più approfonditamente studiato, poiché il più probabile, secondo gli analisti, è quello in cui lo Stato indipendente rimane comunque all’interno della Comunità Europea. Intorno a questa possibilità esistono diverse interpretazioni. Se da un lato la Commissione non si è mai interessata direttamente alle questioni interne spagnole, considerate problematiche di tipo nazionale-locale, dall’altro l’Europa vede sempre con sospetto e fastidio tutte quelle realtà che, in qualche modo, minano il progetto di un continente unito che viaggia verso un’unica direzione.

Una possibile secessione catalana non sarebbe certo gradita dai vertici di Bruxelles, sia per il suo valore simbolico, sia per le relazioni che oggi esistono già fra Comunità Europea e Stato sovrano spagnolo. L’autonomia catalana dovrebbe, di norma, portare la Regione fuori dal Trattato europeo, sostengono gli analisti. Tuttavia, la Catalogna non sarebbe considerata alla stregua di un nuovo Stato, ma rimarrebbe una realtà di riguardo, agli occhi dell’Europa, in quanto per trent’anni sottoposta e rispettosa della legislazione di Bruxelles, per cui la sua uscita dal Trattato non è scontata.

Seppur ufficialmente fuori dal Trattato, la Catalogna potrebbe quindi tuttavia rimanere legata all’Europa in via non ufficiale, attraverso la stipulazione di accordi secondari che regolino i suoi rapporti con i mercati europei. Sebbene sia un’opzione possibile, il nuovo Stato catalano si ritroverebbe a cominciare da capo il suo percorso all’interno della Comunità Europea, determinando un prolungamento del suo processo transitorio da Regione a Nazione. Tuttavia, al contrario dei procedimenti per l’ammissione in Europa di nuovi stati membri, la Catalogna avrebbe un percorso facilitato e ad hoc, aiutato anche dal fatto che la Regione è stata ed è tutt’oggi un contributore attivo per le finanze europee.

Seppur probabile, non è questa, tuttavia, una soluzione scontata. Come si diceva, sono molte le incognite che possono cambiare il risultato dell’equazione e, quindi, il comportamento dell’UE nei confronti del nuovo Stato.

Fra le altre possibili soluzioni, ci sarebbe quella di uno Stato fuori dalla Comunità Europea, che tuttavia stipuli con la Comunità stessa accordi bilaterali di tipo commerciale, di cooperazione o di tipo associativo. Soluzioni che la UE oggi adotta verso i Paesi non membri, accordandosi su soluzioni condivise fra l’Unione, i Paesi membri e i paesi terzi al di fuori del Trattato. Rapporti di tipo commerciale, che si legano a dinamiche tariffarie, politiche su prezzi e scambio di merci; oppure di cooperazione, su ambiti che vanno al di là del commercio, come ricerca e sviluppo, programmi per l’ambiente o accordi finanziari; ed infine accordi associativi, per lo sviluppo di programmi condivisi su politica, sicurezza, società e cultura.

Un’ultima soluzione possibile per la Catalogna sarebbe quella di entrare a far parte della European Economic Area, un accordo di cui fanno oggi parte tre Paesi dell’EFTA, Norvegia, Islanda e Liechtenstein. Questo tipo di accordi si basa esclusivamente su trattative di tipo commerciale, senza alcuna ambizione di programmi condivisi di tipo politico, sociale e culturale, e senza il ricorso ad organismi e istituti con poteri sovra nazionali.

Considerando tutte le alternative cui andrebbe incontro il nuovo Stato, è pronosticabile, nel periodo successivo alla secessione, un rallentamento nella crescita del Pil catalano, determinato da alti tassi d’interesse e volatilità negli investimenti, specialmente in caso di secessione unilaterale. Tuttavia, nonostante l’incertezza politico-sociale, la Catalogna riuscirebbe a trarre notevoli vantaggi dalla sua indipendenza, tirandosi fuori, nel lungo periodo, dalla situazione di deficit strutturale in cui si trova attualmente.

Superato il periodo di transizione, una nuova politica fiscale che mirasse ad un maggior equilibrio nel budget pubblico, determinerebbe maggiori incrementi nel Pil della regione e nei tassi d’occupazione.  

Il quadro che viene fuori dall’analisi rispecchia sostanziali vantaggi derivanti dalla separazione, ma evidenzia, in parallelo, il difficoltoso e incerto percorso cui andrebbe incontro la Regione. Forse anche per questo, nonostante i vantaggi considerati nello studio, oggi, al contrario del 2014, non sembra più esserci quella comune convinzione tra le rappresentanze locali, così come nell’opinione pubblica catalana, su una futura secessione. Il quadro politico ha visto, infatti, una forte mobilitazione della periferia catalana a favore dell’indipendenza, bilanciata però da un deciso passo indietro delle maggiori città della Regione, a cominciare da Barcellona.
I dati raccolti da Metroscope hanno evidenziato una percentuale del 66 per cento di spagnoli residenti in Catalogna e del 79 per cento di cittadini al di fuori della Regione contrari al referendum, e convinti che, invece di una strategia di autonomia regionale, l’Amministrazione catalana dovrebbe perseguire un progetto di autonomia in accordo con il Governo centrale, così come è stato per il caso dei Paesi Baschi.

Altri segnali di preoccupazione sono arrivati dal Presidente e Vicepresidente della Confindustria spagnola, la CEOE, Juan Rosell e Joaqim Gay de Montellà. Entrambi, nella riunione di luglio, si sono detti incerti su come possa volgere la situazione per le imprese catalane, facendosi portavoce di quelle imprese internazionali presenti nella Regione, allarmate dai possibili effetti negativi della secessione sui loro affari.

Una preoccupazione che era stata già espressa nel 2015 dallo stesso Rosell e da José Luis Bonet, Presidente della Camera di Spagna e dell’impresa catalana Freixenet, i quali, in un documento congiunto, esprimevano la loro convinzione sul fatto che l’indipendenza catalana avrebbe determinato una ridotta attività economica per le imprese e condizioni di vita peggiori per i cittadini catalani. In ogni caso, nel mondo delle imprese della Regione si riflettono quasi gli stessi sondaggi rilevati nell’opinione pubblica, con circa il 45 per cento degli attori favorevoli alla secessione.
Un simbolico cambio di rotta che sta allontanando sempre più l’effettiva ipotesi di una Catalogna indipendente, anche per via dell’inattuabilità, a livello legale, di un valido referendum che ne possa determinare l’autonomia.