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Fondi sovrani a caccia di tech: cosa c’è dietro la nuova tendenza

3 Settembre 2017

Francia, Medio Oriente, Sud-Est asiatico: in un anno sono decuplicati gli investimenti in aziende innovative da parte di società statali. E le ragioni sono anche di intelligence industriale. L’articolo su pagina99.

Nel mercato delle imprese high-tech è in corso una rivoluzione. I fondi sovrani, cioè gli Stati, hanno cominciato a investire massicciamente nelle società tecnologiche, e nel medio periodo potrebbero superare i capitali privati. A guidare la trasformazione sono soprattutto i fondi asiatici e mediorientali.

IN 12 MESI DA 2,2 A 12,6 MILIARDI. Il cambio di passo è stato repentino: in soli 12 mesi si è passati da 2,2 miliardi di dollari investiti da sovereign wealth fund in aziende tech a livello globale (2015) a 12,6 miliardi di dollari (2016), secondo Cb Insight, società di analisi del mercato dei venture capital. I fondi sovrani sono veicoli posseduti dagli Stati e – nel caso dei fondi del Golfo – riconducibili direttamente alle monarchie regnanti. La più attiva negli ultimi sei anni sul fronte degli investimenti tecnologici è stata la francese Banque publique d’investissement o Bpifrance, creata nel 2009 e che gestisce asset per 27 miliardi di dollari.

Nella classifica dei primi 10 fondi per investimenti tech compare al quinto posto anche un altro attore francese, la Caisse des Dépôts et Consignations (Cdc), che possiede il 50% di Bpifrance (l’altro 50% è dello Stato) anche se i due veicoli operano in maniera indipendente. Secondo, terzo e quarto posto invece portano a Oriente, a Singapore e in Malesia. Nella città-Stato del Sud-Est asiatico hanno sede la Temasek Holdings, che gestisce asset per 194 miliardi di dollari e distribuisce i dividendi solo ministero delle finanze singaporiano e il Gic (government of Singapore investment corp), 350 miliardi di dollari di asset under management.

MEGA INVESTIMENTO IN ALIBABA. In Malesia è il Khazanah Nasional a fare la parte del leone. Fino a dieci anni fa quasi il 90% del suo portafoglio era costituto da investimenti in compagnie malesiane. Nel 2012, la svolta: il fondo ha investito 400 milioni di dollari nel gigante dell’e-commerce cinese, Alibaba, e da allora in oltre 20 colossi tech in giro per il mondo, dalla piattaforma di prestiti online WeLab, che ha sede a Hong Kong, alla start up inglese Blippar al sito di ricerca di voli arei Skyscanner all’americana Palantir, che ha tra i suoi clienti la Cia, l’Fbi, i Marines.

Tre dei fondi sovrani più attivi nel settore tecnologico vengono poi dal Medio Oriente: la Kuwait Investment Authority (Kia), la Qatar Investment Authority (Qia) e il Public Investment Fund dell’Arabia Saudita (Pif). La dinastia dei Saud che governa il Paese ha annunciato un anno fa l’avvio di una nuova strategia di investimenti, fondata sulla diversificazione, per ridurre la dipendenza dell’economia saudita dal petrolio.

ACCORDO TRA SAUDITI E AMERICANI. Di questo nuovo corso fanno parte anche massicci investimenti nel settore tecnologico. Il Public Investment Fund, uno dei più grandi fondi sovrani al mondo, ha chiuso un accordo con il giapponese SoftBank Group per dar vita a un fondo da 100 miliardi di dollari destinati all’acquisto di società tecnologiche. Il SoftBank Group è lo stesso che ha annunciato 50 miliardi di investimenti in aziende americane dopo l’incontro del dicembre 2016 tra il suo amministratore delegato Masayoshi Son e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

NON SOLTANTO RITORNI ECONOMICI. Ma perché tanto interesse da parte dei fondi sovrani per le imprese tecnologiche? Oltre ai ritorni economici c’entrano le ragioni dell’intelligence industriale. Come ha spiegato Michael Maduell, presidente del Sovereign wealth fund institute americano, «se riesci a scoprire una tech company di successo, puoi prendere quella tecnologia e portarla per esempio in Asia. Questo trasferimento di idee è un ottimo investimento perché ti consente di entrare in un mercato nuovo».