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Filippine: Marawi è libera, ma la pace ancora lontana

1 Settembre 2017

Quando sentiamo parlare di terrorismo islamico, siamo abituati a pensare immediatamente all’area mediorientale o agli attentati che, negli ultimi anni, hanno colpito più volte l’Europa. In effetti, poco si sa dell’attività islamista in un’altra area del mondo: il sud-est asiatico. In questa parte del mondo, l’attività islamista è intensa da molti anni e si inserisce in Paesi in cui, a differenza che nel Medio Oriente, i musulmani sono spesso in minoranza.

Un caso esemplare è quello delle Filippine in cui la minoranza musulmana, presente soprattutto sull’isola di Mindanao, da tempo lotta per reclamare maggiori diritti. La dittatura del Presidente Rodrigo Duterte, però, ha sempre risposto con il pugno duro contro qualsiasi istanza (e non solo quelle dei musulmani). In questo contesto, il malcontento della minoranza musulmana è stato facilmente intercettato da gruppi separatisti e, ultimamente, da movimenti islamisti che si sono dichiarati affiliati a Daesh e che punterebbero ad instaurare, nel sud del Paese, un califfato sul modello di quello costituito in Siria ed Iraq.

Uno dei gruppi più attivi ed intransigenti è Maute. Il 23 maggio scorso, questo gruppo ha attaccato ed occupato la città di Marawi, la più importante dell’isola di Mindanao (la seconda più grande delle Filippine), in risposta al tentativo di cattura, da parte dell’Esercito di Manila, di uno dei suoi comandanti, Isnilon Hapilon.

L’azione, oltre agli scontri armati, ha visto l’occupazione della Cattedrale di Marawi ed il sequestro di alcuni ostaggi che si trovavano all’interno. In risposta, il Presidente Duterte ha dichiarato la Legge Marziale su tutta l’isola (fatto che ha suscitato la preoccupazione di coloro che temono che il Presidente approfitti dell’occasione per stringere ulteriormente la presa sullo Stato).

Grazie alla mediazione del più moderato Fronte Islamico di Liberazione Moro, è stato possibile evacuare molti cittadini che ora, però, risiedono in campi profughi privi di qualsiasi forma di sostentamento: si parla addirittura di casi di morte per fame. I profughi, circa quattrocentomila, hanno denunciato alla stampa internazionale la loro condizione e l’assenza quasi totale dello Stato: le abitazioni che erano state promesse sono ancora alle prime fasi di costruzione.

Lo scorso 30 agosto, il Presidente Duterte ha annunciato che la battaglia era pressoché vinta e che Maute era prossimo alla sconfitta. Poco dopo è arrivata la notizia della liberazione della Cattedrale; ancora non si sa nulla sulla sorte degli ostaggi presi all’interno. Nella Cattedrale, inoltre, sono stati trovati vari segni di devastazione che ricordano gli atti compiuti dai miliziani di Daesh contro i siti archeologici siriani ed iracheni.
In effetti, fonti governative hanno confermato la presenza di miliziani stranieri nelle fila di Maute: si tratta di malesi, indonesiani, sauditi, yemeniti e ceceni, molti dei quali provenienti proprio da esperienze di combattimento nel cosiddetto califfato.

Nonostante l’Esercito filippino controlli ormai gran parte della città, a Marawi resterebbero asserragliati circa una trentina di miliziani di Maute (secondo alcuni una cinquantina dei circa duecento che hanno portato l’attacco). I terroristi, durante i mesi di occupazione di Marawi, si sarebbero accaniti sui civili uccidendo, torturando e minacciando per costringere i malcapitati a combattere al loro fianco.

La battaglia per Marawi volge ormai alla fine e la sconfitta dei miliziani è solo questione di tempo. Nonostante ciò, non si può dire che la situazione sia prossima a tornare sotto controllo: oltre alla sorte degli ostaggi, di cui ancora non si sa nulla, oltre alla situazione dei profughi, che verserebbero in condizioni al limite dell’umano, resta il dato di fatto di una frattura tra le componenti della società filippina sull’isola di Mindanao: la maggioranza cristiana e la minoranza musulmana, sempre più attratta dalla visione radicale di Daesh, non si riappacificheranno certo quando le truppe di Manila avranno abbattuto o catturato l’ultimo miliziano asserragliato a Marawi; oltre a ciò, le politiche del Presidente Duterte, fortemente deficitarie dal punto del rispetto dei diritti civili, non sembrano essere orientate a un processo di integrazione e riappacificazione.

Il percorso che porta alla pace e alla stabilità per le Filippine sembra ancora lungo e tortuoso.