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Ventimiglia, confine solidale

31 Luglio 2017

Dentro il ‘progetto accoglienza’: storia e attualità. Intervista a Maurizio Marmo

È da più di un anno che è attivo il campo Caritas che accoglie i profughi che si ritrovano sulla frontiera francese in attesa di passare il confine. Il campo è aperto a tutti coloro che hanno diritto di essere accolti dalle 7 alle 22:30. Qui si accolgono famiglie, donne, bambini e ragazzi fino ai quattordici anni. Le permanenze in genere durano pochi giorni, raramente più di una o due settimane. Dunque il ricambio delle persone è continuo. Il parroco don Rito Alvarez è impegnato da tempo in progetti di solidarietà, dalla Colombia all’Italia, è stato possibile incontrarlo e visitare la chiesa, realizzando anche un reportage proprio dal campo gestito dalla Caritas.

Nel 2011 Ventimiglia, come ci dichiara Maurizio Marmo, direttore della Caritas della diocesi di Ventimiglia-Sanremo, è chiamata ad affrontare una situazione inedita: un flusso migratorio di ampie dimensioni, conseguente alla Primavera Araba, di persone provenienti dal Maghreb. Ma i tempi erano prematuri e a Ventimiglia il ‘progetto accoglienza’ non era ancora stato avviato. Alcune associazioni e soprattutto la Caritas hanno provveduto a garantire almeno un po’ di benessere alle persone che, accalcate nella città di frontiera, aspettavano soltanto di passare in Francia.

Nel 2015 assistiamo ad un replay. La storia, come un mantra, si ripete, spostandosi di qualche centinaio di chilometri sulla scacchiera geografica: il caos questa volta riguarda l’Africa nera, già dilaniata dalla povertà, ora, come è già accaduto in passato, si ritrova a rapportarsi con una complessa situazione politica. Dalla divisione del Sudan in due Stati, ai pesantissimi servizi militari imposti in Somalia e in Eritrea, alle minacce dei gruppi terroristici in Africa Orientale, dal Gambia fino alla Nigeria. Un flusso giornaliero di centinaia di persone grava sulla frontiera francese, che, date le dimensioni della migrazione, chiude, lasciando in confusione i migranti e le città di frontiera. Per gestire la situazione, la Croce Rossa Italiana istituisce il primo campo profughi già dal mese di giugno, affollato poi, da luglio in avanti, da alcune centinaia di persone. Sono stati numeri molto variabili: in molti fuggivano, oppure riuscivano a superare la frontiera, altri ancora tentavano diverse soluzioni.

Il clima che si respirava al campo, collocato al centro di Ventimiglia, molto vicino alla stazione dei treni, era quello della diffidenza, sia da parte dei migranti che da parte dei responsabili Croce Rossa. Una parte della popolazione non è rimasta indifferente: sui registri sono rimaste annotate migliaia di persone che fornivano il loro aiuto; i magazzini erano sempre pieni di cibo a lunga scadenza e i volontari non mancavano mai. Tuttavia la visita dell’allora ministro degli interni Angelino Alfano pone fine alla prima parte del progetto di frontiera: il campo viene giudicato non a norma e viene fatto chiudere alla fine della stessa estate.

Nei mesi successivi il flusso non si è certo arrestato, i migranti erano però costretti a stanziarsi sulle rive del locale fiume Roja o sulla scogliera della frontiera francese. Altri hanno causato molti disagi stabilendosi nella stazione ferroviaria di Ventimiglia. Come prima della creazione del primo campo migranti, le associazioni volontarie hanno fornito assistenza come possibile agli ospiti.

Estate 2016, la situazione precipita. Ondate di decine o talvolta addirittura di centinaia di sudanesi sono all’ordine del giorno. Una parrocchia, quella di Sant’Antonio, decide di accogliere fino ad ‘esaurimento posti’ tutta la folla degli accalcati. I posti non solo vengono esauriti: molte persone sono costrette a dormire nei sacchi a pelo sul sagrato della chiesa. Ma tutti riescono ad avere due pasti caldi al giorno e anche una colazione. I volontari si alternano come possono e forniscono un servizio per mille persone circa ogni giorno.

Anche al termine dell’estate dello scorso anno, si verifica tuttavia un cambiamento rilevante: viene aperto un altro campo profughi nel comune di Ventimiglia. Tuttavia non è semplicissimo arrivarvi e alcuni migranti hanno perso la vita, investiti.

Un migrante affoga gettandosi in un fiume mentre la polizia tentava di rintracciarlo per rispedirlo in Italia, un altro annega durante la sua permanenza al di fuori del campo. La diffidenza di molti ragazzi, infatti, è tanta: c’è paura nel farsi registrare al Campo Croce Rossa, molti preferiscono continuare a dormire sulle rive del fiume in attesa di un rapido passaggio alla Francia. Una volta all’interno della Francia, senza prove della provenienza dei ragazzi dal confine italiano, i migranti possono farsi riconoscere con lo status di profughi e non possono essere rispediti in Africa (o in Asia nel caso della Siria o dell’Afghanistan), hanno dunque diritto ad un’accoglienza.

Ma la parrocchia di Sant’Antonio continua ad essere attiva: al campo C.R.I., per il momento, non vengono accolti i minori di quattordici anni e le donne, che dunque vengono destinate al cosiddetto campo delle ‘Gianchette’, gestito dalla Caritas diocesana di Ventimiglia-Sanremo, e collocato appunto presso la suddetta chiesa. Qui i numeri sono ben più contenuti: con una media di sessanta o settanta persone, a volte si scende sotto i venti individui, altre volte si giunge e raramente si supera il limite dei cento ospiti. Il Comune, che collabora con la Caritas –come precisa Maurizio Marmo nell’intervista qui riportata-, non fornisce aiuti economici a quest’ultima, e la Prefettura finanzia il campo gestito dalla Croce Rossa. Nei progetti del sindaco Enrico Ioculano vi è quello di chiudere il campo di Sant’Antonio, ma per farlo bisogna attendere l’apertura della sezione dedicata alle donne e ai minori presso il campo C.R.I.


Maurizio Marmo è Direttore della Caritas diocesiana di Ventimiglia-Sanremo

Il ‘progetto accoglienza’ si sta radicando nel territorio: oramai centinaia -se non migliaia- di persone, sono coinvolte. Vengono organizzate feste dei popoli, associazioni, come ad esempio la ‘Sick of waiting’ con chiara allusione al desiderio dei migranti di oltrepassare la frontiera. Sono davvero una piccola minoranza coloro che decidono di fare richiesta di asilo politico in Italia. In molti, infatti, hanno riferimenti in amici o parenti in Francia, talvolta in Regno Unito o in Germania.

Generalmente coloro che provengono da determinati Paesi preferiscono specifiche destinazioni: i sudanesi la Francia, i curdi l’Inghilterra, i siriani la Germania, solo per fare qualche esempio. Molti a Ventimiglia ricordano la storia di L., donna sudanese che ha perduto il figlio maggiore durante il viaggio(Morto in conseguenza alle scottature per essere rimasto schiacciato sul motore) ed è arrivata in Europa incinta, riuscendo ad arrivare in Svizzera, ed è poi stata nuovamente direzionata verso Ventimiglia, appena il figlio è nato, per poi passare, in ultima istanza, il confine francese. Le storie da ricordare sono tante, migliaia dal 2015 ad oggi. E’ difficile farsi raccontare, in particolare se esposti alle telecamere, le proprie personalissime vicissitudini, il proprio durissimo viaggio affrontato. Un ragazzo bengalese, S., ha raccontato la sua storia, dalle origini fino ad arrivare proprio qui, a Ventimiglia. Le immagini che sono state raccolte dal campo parlano chiaro: molti visi, molte foto anche alle pareti, molte bandiere di Paesi diversi, il ‘progetto accoglienza’ qui a Ventimiglia ha funzionato. Il campo che appare nel reportage non è un punto di arrivo, ma soltanto una tappa, una sosta dove ristorarsi e raccogliere le energie per affrontare quella che si spera sia l’ultima parte del viaggio.

I migranti sono mossi da un desiderio molto forte: hanno rischiato la vita molte volte, e se, giunti alla frontiera, la troveranno chiusa, non sarà comunque quella la fine del loro viaggio, durato mesi, e talvolta addirittura anni. I tempi si allungano sempre più e gli Stati europei sembrano sempre più confusi riguardo all’accoglienza: chi, come l’Ungheria, decide di isolarsi e di chiudere ogni tipo di frontiera schierando le forze militari sul confine e chi, come la Germania, sembra fornire segnali di una lenta e tortuosa apertura.

L’Italia, si sa, non può certo chiudere le frontiere in quanto il suo confine è il mare ed è impossibile pensare di non soccorrere coloro che sono in pericolo di vita in balia delle onde del Mediterraneo. Una volta sbarcati e messi al sicuro, si penserà a cosa fare. Alcuni hanno suggerito di accogliere soltanto coloro che sono profughi, altri hanno obiettato che non fa differenza morire uccisi in una sparatoria o da una bomba, oppure morire straziati dalla fame e dalla sete, e che dunque anche chi non è profugo ha diritto all’accoglienza. In molti obiettano il problema dei numeri; ma, a discapito di quel che affermano questi ultimi, l’Italia accoglie un numero di profughi in rapporto alla popolazione inferiore al punto percentuale. In Germania si è attorno al 5% e Paesi molto più poveri, come il Libano, accolgono il 20-25%.

La penisola italiana risulta essere, dunque, un corridoio che la quasi totalità degli africani giunti in Europa percorrono per poi abbandonare appena possibile. I profughi hanno fretta: da chi fugge, a chi ottiene una ‘denuncia sanitaria’ per essere fuggito dall’ospedale in cui era in cura, e il motivo di questo frenetico ritmo è evidente: i migranti hanno spesso una famiglia rimasta al paese di provenienza o sulle coste del Mediterraneo. Loro vogliono, il più velocemente possibile, mettersi in contatto coi familiari dispersi e ricongiungersi, e, prima ancora, inviare qualche aiuto economico necessario al sostentamento.

Ventimiglia, come altre città di frontiera sparse sul confine italiano, fornisce un aiuto umanitario. Lo fa perché è necessario mantenere viva la speranza per il futuro dopo un viaggio estenuante, e lo fa anche perché crede nelle pari opportunità: è giusto che le persone possano viaggiare. Come gli italiani e gli Europei in generale possono migrare in America, anche coloro che provengono da paesi poveri o in guerra devono avere la possibilità di farlo e, anzi, a maggior ragione, siccome la loro situazione è ben più grave; diritto che spesso è negato dagli stessi paesi di provenienza: sottrarsi ad un servizio militare, ad esempio, è illegale, può essere addirittura considerato come un tradimento nei confronti della Nazione dalla quale i migranti fuggono, Nazioni che, spesso, non riescono a dare una giusta definizione di guerra: che quest’ultima sia interna o fra Nazioni, deve essere combattuta dall’esercito, e non si devono coinvolgere i civili.

Qui sulla frontiera si provvede a creare un ambiente a misura d’uomo, e proprio questo è stato uno degli obiettivi raggiunti dal campo di Sant’Antonio: le immagini parlano chiaro. Ventimiglia, insomma, non può sottrarsi all’accoglienza e in paesi che si considerano civili, nessuno può farlo. Lasciare delle persone a morire e a soffrire in paesi con problemi enormi significa trattare quegli esseri umani come bestie e non come uomini. E se si tratta qualcuno come fosse una bestia non ci si può aspettare che poi abbia comportamenti umani.