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Trump, autunno caldo: guai con shutdown, debito e riforma fiscale

28 Agosto 2017

Senza un accordo sul budget per fine settembre si rischia il blocco amministrativo. Ed entro ottobre va ridiscusso l’indebitamento. Con questi conti, il taglio delle tasse promesso è utopia.

E’ un autunno caldo quello che si preannuncia per Donald Trump. Nonostante la relativa stabilità che l’ascesa dei militari ha portato in seno all’amministrazione, non sono pochi i dossier spinosi che il presidente deve affrontare. Soprattutto per quanto concerne la sfera economica. I principali guai del magnate arrivano – ancora una volta – dal Congresso, che non sembra al momento ben disposto nei suoi confronti.

C’È UN’INTESA PROVVISORIA. Innanzitutto sul tavolo c’è la questione del budget federale: ad aprile 2017 il Congresso ha raggiunto un’intesa provvisoria che garantisce i finanziamenti alle agenzie governative sino alla fine di settembre. Un nuovo accordo deve quindi essere trovato prima di quella data, altrimenti avrà luogo il cosiddetto shutdown: il blocco delle attività amministrative non essenziali.

RIPERCUSSIONI NEGATIVE. Un’eventualità che avrebbe delle ripercussioni altamente negative non solo per gli apparati federali, ma anche per la stessa economia statunitense: si pensi ai dipendenti pubblici lasciati a casa (quasi un milione), ai servizi eliminati (o dimezzati) e alle aziende che lavorano in collegamento alle agenzie federali colpite.

Si tratta di un fatto relativamente raro. L’ultima volta che si è verificato fu nell’autunno del 2013, quando al Congresso repubblicani e democratici non riuscirono a trovare un compromesso sul finanziamento della riforma sanitaria: nella fattispecie, all’epoca, furono gli ultraconservatori (guidati dal senatore texano Ted Cruz) a provocare lo stallo, rifiutando ogni dialogo con il partito dell’Asinello. Un’intesa in extremis evitò poi lo spauracchio del default.

SETTE MILIARDI PER IL MURO. Oggi tra i principali ostacoli compare la questione del muro al confine con il Messico: Trump sta disperatamente cercando di ottenere finanziamenti per la sua realizzazione (circa 7 miliardi di dollari), ma i democratici non ne vogliono sapere (e anche qualche repubblicano centrista non sembra troppo favorevole).

IRRITAZIONE DELLA BORSA. Il presidente, dal canto suo, ne fa una questione di principio (anche perché si tratta della più famosa tra le sue promesse elettorali). E – proprio per questo – ha affermato di non essere intenzionato a cedere, arrivando anche a minacciare, lui stesso, la possibilità dello shutdown, determinando come prima conseguenza una certa irritazione da parte della Borsa.

L’altro problema sul tavolo è l’innalzamento del tetto del debito. Dal 1917 il Congresso fissa un limite massimo di indebitamento per l’esecutivo: si tratta sostanzialmente di un modo per consentire al governo di scegliere quanto spendere, sebbene all’interno di determinati parametri. Una soglia che, soprattutto negli ultimi 30 anni, è lievitata fortemente.

IN GRADO I PAGARE I DEBITI? A partire dalla primavera 2017 il Dipartimento del Tesoro ha adottato una serie di misure straordinarie per evitare di sforare il limite del debito. Una pacchetto di provvedimenti destinati a restare in piedi fino a ottobre: se il Congresso non riuscirà quindi a stringere un accordo prima di allora, il governo non sarà più in grado di pagare i suoi debiti.

IMPATTO DEFINITO CAOTICO. Una situazione gravissima, che si rivelerebbe senza precedenti nella storia americana e che determinerebbe conseguenze pericolose: il Bipartisan Policy Center ha dichiarato che l’impatto di una simile sciagura si rivelerebbe «caotico» in quanto il Tesoro statunitense sceglie i pagamenti da effettuare sulla base dei fondi disponibili: si pensi quindi che cosa potrebbe accadere alla previdenza sociale o ai programmi sanitari Medicare e Medicaid. E a rischio potrebbero risultare addirittura gli stipendi delle forze armate.

Anche in questo caso il problema sta nelle divisioni interne al Congresso. Divisioni alimentate dall’astio che il potere legislativo notoriamente nutre nei confronti del presidente: non soltanto i democratici, ma anche alcuni repubblicani non aspettano altro che mettere i bastoni tra le ruote a Trump. E intanto l’ipotesi di un fallimento ha iniziato a serpeggiare inquietantemente dalle parti di Wall street.

FIDUCIA DA PARTE DEL TESORO. Nonostante ciò, la Casa Bianca al momento ostenta ottimismo: in particolare il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, ha dichiarato: «Il tema più importante è che il tetto del debito sia alzato in settembre. E sono fiducioso al 100% che sarà fatto». Quanto poi questa speranza corrisponda ai fatti, è comunque tutto da dimostrare.

In un marasma del genere, Trump si ritrova con un ulteriore grattacapo: quello della riforma fiscale. Da mesi è uno dei suoi principali cavalli di battaglia: ha promesso una radicale defiscalizzazione, per le imprese e per i singoli, in pieno stile reaganiano. Una proposta che tuttavia rischia ormai il naufragio. Da una parte alcuni repubblicani non l’hanno mai digerita: soprattutto i cosiddetti “conservatori fiscali” hanno più volte ripetuto che un eccessivo taglio delle tasse altro non comporterebbe se non un aumento smisurato del già cospicuo debito pubblico statunitense.

SENZA RIFORMA SANITARIA È DURA. Dall’altra parte, neanche a dirlo, i democratici accusano costantemente il magnate di voler promuovere una legislazione a esclusivo vantaggio delle classi agiate. Tuttavia, al di là delle polemiche politiche, il progetto fiscale di Trump ha riscontrato anche un altro problema: il fallimento della riforma sanitaria repubblicana. Nelle intenzioni originarie infatti, lo smantellamento di Obamacare avrebbe dovuto consentire una serie di sforbiciate alla spesa pubblica con lo scopo di fornire le coperture necessarie al taglio delle tasse.

Il punto è che – a causa della fronda repubblicana al Senato – Obamacare è ancora in piedi, con tutte le sue spese e i suoi oneri. Un elemento che sta mettendo seriamente in forse la riforma fiscale. E guarda caso, nonostante gli annunci roboanti, i dettagli del piano non sono stati ancora resi noti. Senza poi contare che, visti i problemi autunnali, il dibattito parlamentare sul fisco rischia di slittare al 2018.

EPPURE HA LE CAMERE IN MANO. Il punto più drammatico è che tutti questi crucci Trump se li ritrova pur avendo entrambe le Camere in mano a quello che – almeno teoricamente – dovrebbe essere il suo partito. Per questo bisogna adesso vedere se il presidente sarà realmente in grado di arrivare a un compromesso con il Congresso. La posta in palio è altissima. E, in due mesi, il presidente potrebbe seriamente giocarsi la rielezione. Oltre che il futuro stesso degli Stati Uniti.