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Nucleare, il tradimento americano sull’accordo con l’Iran

21 Agosto 2017

L’Agenzia atomica riconosce il rispetto di Teheran del protocollo di Vienna (2015). Ma le transazioni bancarie con l’Occidente restano bloccate. Su pressing degli Usa. E con Trump la situazione può peggiorare.

Pacta sunt servanda è il motto latino principio fondante del diritto internazionale: «I patti devono essere rispettati». Sulla base dell’impegno reciproco fu firmato, il 14 luglio 2015 a Vienna, l’accordo storico sul nucleare tra l’Iran e le cosiddette potenze del 5+1, i cinque Paesi membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna ma soprattutto gli Stati Uniti arci-nemici della rivoluzione khomeinista) più la Germania e, collante tra gli europei, l’istituzione sovranazionale dell’Ue.

FEDERICA MOGHERINI MADRINA. Proprio per ribadire il percorso di apertura sancito, dopo gli annosi negoziati, tra la Repubblica islamica e l’occidente, il 5 agosto 2017 l’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la Sicurezza, l’italiana Federica Mogherini, madrina della firma del protocollo, ha presenziato su invito, per la prima volta nella storia del Majiles (il parlamento iraniano attaccato in giugno dall’Isis), alla cerimonia d’insediamento del rieletto presidente e capo del governo Hassan Rohani. Una mano tesa da Teheran all’Europa, e in particolar modo all’Italia, ma non agli Stati Uniti.

La prima controparte dell’accordo sul nucleare con l’Iran perseguito dall’allora presidente Barack Obama non mantiene i patti presi verso la Repubblica islamica: non li ha rispettati la vecchia Amministrazione democratica perché, entrato in vigore del protocollo il 16 gennaio 2016 per la progressiva caduta delle sanzioni commerciali e finanziarie, in un anno e mezzo le restrizioni bancarie verso Teheran restano ancora in piedi, nonostante l’adempimento dell’Iran ai punti sottoscritti sul nucleare certificato dai controlli dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica).

CON TRUMP RAPPORTI PEGGIORATI. Con Donald Trump alla Casa Bianca, dal 2017 lo stallo si è tutt’altro che sbloccato: il tycoon ha anzi preso a minacciare verbalmente e con violenza la Repubblica islamica (suo secondo bersaglio dopo la Corea del Nord), moltiplicando le sanzioni contro lo sviluppo militare dell’Iran – mai parte dell’accordo sul nucleare, ergo mai tolte né dagli Usa né dall’Onu – già rafforzate da Obama, quelle in bilanciamento proprio alla concessione del nucleare civile a Teheran e alla rimozione dell’embargo economico contro la precedente Amministrazione ultraconservatrice di Mahmoud Ahmadinejad.

Presidente dell’accordo sul nucleare, Rohani ha tuonato contro le «minacce e le sanzioni» di Washington: di questo passo l’Iran potrebbe riavviare «in un’ora e un giorno» il suo programma nucleare delle centrali smantellate, a un «livello molto più avanzato» tra l’altro dello stop alla ricerca e all’arricchimento dell’uranio, per scopi potenzialmente anche bellici, disposto nel 2015. Non è un buon segno che a prospettare la fine dell’accordo sia un moderato come Rohani e non, come di consueto, militari dei Guardiani della Rivoluzione (Pasdaran) e loro referenti politici oltranzisti.

«VIOLATE LE PAROLE DELL’ACCORDO». Prima dell’avvertimento del presidente iraniano sull’«inaffidabilità degli Usa di Trump», come controparte, si era pronunciato severo il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif: «Finora l’Aiea ha dichiarato sette volte che l’Iran adempie completamente e onestamente ai propri obblighi. Lo stesso purtroppo non si può dire degli Usa», chiosava l’artefice dell’accordo a Vienna con la sua delegazione, parlando di «una violazione da parte loro delle parole stesse dell’accordo, che non proibisce all’Iran di sviluppare un programma nucleare pacifico».

Amico di famiglia del premier israeliano Benjamin Netanyahu, il discusso neo presidente degli Usa ha più volte promesso di fare carta straccia dell’accordo sul nucleare di Obama: un suo chiodo fisso. In più verso l’Iran le banche e gli istituti finanziari americani – ma su pressione degli statunitensi anche europei e filo-occidentali – pena ritorsioni mantengono in atto forti limiti alle transazioni internazionali che per effetto del protocollo di Vienna avrebbero dovuto invece essere rimosse: un boicottaggio obliquo che non fa decollare le aziende persiane nei circuiti dell’economia globale.

BANCHE E BIGLIETTI AEREI BLOCCATI. In concreto, da mesi l’Iran può vendere oltre un milione di barili al giorno di petrolio all’Europa e prima di tutto secondo i dati del 2017 all’Italia, rimettendo così in moto il suo import-export di greggio (e in prospettiva di gas naturale dal maxi giacimento del South Pars nel Golfo persico) e sbloccando anche miliardi di asset congelati per l’embargo dal 2009. Online non si possono per esempio ancora acquistare biglietti aerei per volare nel mondo con IranAir e altre compagnie persiane. Nonostante le medesime abbiamo dal 2016 nuovi voli dall’Europa, anche low cost.

Un artista come il regista iraniano Mehdi Noormohammadi, tra i premiati al 20esimo Gran Paradiso Film Festival del 2017, non ha potuto incassare subito la somma meritatamente vinta in Italia a causa di un embargo sulla carta – un accordo internazionale firmato dalle principali potenze – caduto ma di fatto vigente. Dai paletti della finanza viene penalizzato anche il presidente Rohani, riconfermato il 19 maggio 2017 al primo turno con una maggioranza netta, ma criticato non poco in campagna elettorale per la promessa e non realizzata svolta economica con l’Occidente.

TEHERAN PARLA DI «PROVOCAZIONE». In merito all’accordo sul nucleare si tirano continuamente in ballo le nuove restrizioni imposte dagli Usa, ancora a luglio e ad agosto, a persone e società iraniane legate in un qualche modo al contestato sviluppo di armamenti balistici da parte dei Guardiani della rivoluzione: non al programma concordato – e rispettato – sul nucleare, che è tutt’altro dossier con altri vincoli. «Misure provocatorie» per Teheran, che mischiano e confondo le carte sulla questione per far saltare i nervi agli ayatollah, alle quali il governo iraniano ha promesso di «reagire in modo intelligente».

Il Comitato speciale iraniano per il controllo sull’attuazione dell’accoro sul nucleare, presieduto da Rohani, porterà dati e fatti sul rispetto o meno delle parti alla valutazione neutrale dell’Aiea. In risposta alle sanzioni inasprite da Trump contro il riarmo dell’Iran (e nello stesso pacchetto di Russia e Corea del Nord), il Majiles ha approvato l’aumento delle spese per il programma missilistico. Distinto dal programma sul nucleare, ma con un comportamento sleale di Trump sui patti governo moderato e Difesa dei Pasdaran potrebbero tornare a parlare la stessa lingua.