Musica, cori di bambini e cammelli nel deserto
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Traduzione
italiana di Milena Rampoldi |
Tre anni fa (assassinare è una parola vietata) Israele
tra il 21 e il 28 luglio uccise 37 bambini palestinesi sotto i 7 anni. Concerto nel deserto. Fotografia di
Amira Hass
1. La mia amica B. vive a Kobar. Nel
corso dei quattro anni di vita di suo figlio ancora bambino è riuscita a tenerlo lontano dai rapporti sull’esercito, la morte e l’occupazione e dal tiro e dai fucili. Insieme a suo marito ha costruito un’isola di libri per bambini e di giocattoli, assicurandosi che la televisione con le sue terribili immagini non venisse accesa in sua presenza.
La settimana scorsa la realtà è irrotta nella
sua vita. Ogni giorno venivano i bulldozer dell’esercito per alzare ed estendere le batterie all’entrata del luogo e per approfondire un buco nell’asfalto. Ogni giorno gli abitanti scavavano la terra sui bordi della barriera per permettere alle loro automobili di passare. E quando la mia amica voleva passare con la sua macchina, con il figlio seduto vicino a lei, questo si meravigliava e chiedeva chi aveva accumulato questo grande mucchio di terra. Al Dscheisch, l’esercito, gli rispondeva. All’inizio pensava che avesse detto “al Dschag” (la gallina) ed era molto perplesso. E poi gli ha dovuto spiegare che cos‘era l’esercito, di che esercito si trattava e se questo è grande o piccolo per affrontare gli altri.
Commento 1: Se B. fino ad ora era in
grado di poter proteggere suo figlio dall’enciclopedia della violenza delle forze di difesa dei coloni. E questo fatto la dice lunga sulla relativa calma nel villaggio di Kobar (nonostante gli attacchi mirati per arrestare le persone). Ma quasi una settimana dagli attacchi notturni con dozzine di soldati che si muovevano tra le case e picchiavano gli abitanti, le granate stordenti, i gas lacrimogeni e i proiettili di metallo ricoperti di gomma sparavano in giro e le ricordavano che la rispettiva calma non era che un’illusione.
Commento 2: I servizi di sicurezza di Shin
Bet e le forze di “difesa” israeliane questa settimana sono stati oggetto di una lode del tutto particolare. Il posizionamento dei metal detector all’entrata del cosiddetto Monte del Tempio infatti provava che avevano compreso il quadro generale. In altre parole: La campagna di vendetta collettiva condotta la scorsa settimana a Kobar non era causata dalla mancanza di comprensione o di informazione sul fatto che tormentare un intero villaggio e perseguitare tutti i suoi abitanti risveglierebbe ancora più ira anche tra coloro che sono contrari ad un attacco contro la colonia cisgiordana di Halamish o hanno i loro dubbi e scrupoli. Questa vendetta collettiva non consiste in un’azione avventata. Fa parte del piano. Fa parte del controllo logico. Voi degenerate, incitate, arrestate più giovani, ferite più bambini per avere più motivi per agire in modo preventivo e per opprimere e mantenere l’apparato come è.
2.: T., un ragazzo carino di 11 anni si
unì a me nelle mie visite presso diverse famiglie di Kobar le cui case erano state assaltate dall’esercito. Durante una breve pausa tra le loro testimonianze disse: “Omar al-Abed ha provato di essere un uomo” (Omar è l’uomo che ha ucciso tre membri della famiglia Salomon a Halamish). Allora io chiesi da T.: “Vuoi dire che pensi che gli altri palestinesi per questo non siano uomini?” In un certo senso T. era confuso. “No, ovviamente no, non voglio mica dire questo”, rispose.
Soldati israeliani nei pressi di Halamish dopo l’attacco di Omar al-Abed,
il 21 luglio 2017
Commento: Le parole che esprimono la
comprensione per i moventi di Abed non deve comunque indurci a dimenticare due fatti: Se consideriamo l’intensità e la durata dell’ingiustizia in cui vivono sono pochi i palestinesi che hanno optato per il percorso intrapreso da Abed. Dall’altra invece ci sono/erano decine di migliaia di israeliani (correggetemi se sbaglio, forse sono centinaia di migliaia) coinvolti direttamente nell’uccisione (infatti la parola assassinare è vietata) di palestinesi; per non parlare di tutte le altre violazioni che commettiamo contro di loro.
3. Noor, Malak, Miar e Dareen cantano
nel coro Amwaj. Hanno più o meno 12 anni. Li abbiamo incontrati in un luogo inaspettato: nel deserto. Una processione di cammelli correva verso il tramonto del sole. Gli archi dell’ottava sinfonia di Beethoven e i toni del flauto piccolo nel Bolero di Ravel sorvolavano la fila di sedie di plastica che erano state messe nella sabbia.
Il coro Amwaj (che in italiano significa
“le onde”) di Betlemme e l’orchestra di Ramallah, fondato dal conservatorio di al-Kamandjati, offrono una serie di concerti pubblici, diretti da Diego Masson. Il concerto che si terrà venerdì nella casa dei bambini Dar al Tifl a Gerusalemme è stato disdetto a causa delle circostanze. Ramzi Abu Radwan, il fondatore del conservatorio al-Kamandjati e abitante del centro profughi di al-Amari, hanno subito telefonato a Abu Ismail.
Abu Ismail dirige l’agenzia per
l’ospitalità beduina e le escursioni nel deserto per coloro che desiderano fare una camminata nel deserto sul lato orientate del suo villaggio di Arab al-Rashayida, a sud di Betlemme. Disse subito: “Ovviamente, il concerto si terrà qui”. Il giorno dopo: I tecnici del tono e dell’illuminazione di Kamandjati hanno lavorato tutto il giorno per installare i sistemi e per garantire che funzionino. Bambini tra i 3 e i 12 anni provenienti dal villaggio beduino stavano sedute sulle sedie di plastica, immerse nel miracolo acustico e visivo, che si presentava davanti ai loro occhi. Domenica il concerto si tenne nel palazzo delle conferenze di Betlemme, come previsto. E lunedì si terrà presso il teatro cittadino di Ramallah. Fotografia di Amira Hass
4. Il coro di Amwaj comprende 30
bambine e bambini di al Khalil/Hebron e altri 30 provenienti dalla zona di Betlemme, inclusi i villaggi e i campi profughi. Fu fondato circa tre anni fa. Non ci sono audizioni. Si richiedono solo un impegno di otto ore di esercizio alla settimana e la partecipazione ai corsi estivi. Al momento nel coro ci sono 25 ragazzi e 35 ragazze. La cantante più giovane ha sei anni.
5. Tre anni fa – tra il 21 e 28 luglio – abbiamo ucciso (usare il termine “assassinare”
è vietato) 37 bambini palestinesi nella striscia di Gaza che avevano tra i pochi mesi e i 6 anni di età. Vicino al nome di ogni bambino ucciso (incluso nella lista di B’tselem dei 546 bambini uccisi nel 2014) stava scritto il commento arido “non aveva partecipato ai combattimenti.”
Commento: Non vogliamo più sporcarci le mani
con il sangue. Siamo esperti nell’uccidere (dire assassinare è vietato) a distanza con gadget di alta tecnologia, con fucili e pistole. In questo modo uccidere mantiene sani di mente, è meno disgustoso e meno terrificante. |