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Le tragiche vicende dei Rohingya tra Myanmar e Bangladesh

28 Agosto 2017

S’è fatta di nuovo drammatica la situazione al confine tra Myanmar e Bangladesh, a causa degli attacchi violenti perpetrati dall’Esercito del Myanmar contro la comunità etnica minoritaria dei Rohingya, nei pressi dell’abitato di Rathedaung, dove si registra un numero imprecisato di vittime che più fonti media attestano intorno al centinaio. Venerdì 25 Agosto si sono contate 71 vittime, dodici tra di esse erano militari dell’Esercito regolare birmano impegnati in compiti di monitoraggio e difesa dei confini, i quali hanno perso la vita a causa di ripetuti attacchi effettuati da miliziani di etnia Rohingya.

La scena dei combattimenti e dei conseguenti atti di ritorsione militare contro i Rohingya è stata anche questa volta lo Stato Rakhine, posto nella zona Nord del Myanmar. Si tratta della giornata più sanguinosa da annotare sin dallo scoppio definitivo del conflitto da datarsi allo scorso anno.

Le truppe dell’Esercito regolare del Myanmar andavano ammassandosi intorno all’abitato di Rathedaung da giorni, proprio a causa delle vittime di numerosi attacchi condotti da gruppi informali, il successivo esodo di civili e di rifugiati attraverso i confini col vicino Bangladesh non ha fatto altro che peggiorare il tutto.

Circa una ventina di postazioni di Polizia di frontiera son finite sotto attacco nella giornata di Venerdì 25 Agosto nella sezione Nord del Paese a causa di centinaia di insorgenti, alcuni dotati di armi e con esplosivi manufatti in proprio, almeno stando a quanto affermano fonti militari ufficiali del Myanmar. In un dispaccio ufficiale emesso dal Comandante in Capo delle Forze Armate del Myanmar, Min Aung Hlaing, si riporta: «I membri delle Forze militari e di Polizia stanno combattendo congiuntamente contro estremisti terroristi di origine bengalese», così ha definito –nella dizione ufficiale- i miliziani Rohingya. L’Ufficio del Consigliere di Stato del Myanmar presso Aung San Suu Kyi Premier in pectore della Nazione, ha poi sottolineato circa dodici vittime tra esponenti delle Forze di Sicurezza e 59 miliziani uccisi.

Resoconti locali confermano di fughe in massa di civili, anziani e donne cercano ricovero dove possono, per tenersi fuori dalle zone di conflitto. Nel frattempo, i militari birmani hanno cercato di penetrare i villaggi nello Stato Rakhine ed hanno sparato ovunque, uccidendo Rohingya di varia età. Colpi di arma da fuoco sono stati sentiti anche nel vicino villaggio buddhista di Maungdaw. Aumenta il terrore tra centinaia di Rohingya che sono stati sospinti verso il villaggio di Zay Di Pyin, nei dintorni della cinta abitata di Rathedaung a causa della spinta violenta attuata da locali abitanti dei villaggi buddhisti armati persino di spade e bastoni, in azione fin dalla fine di luglio.

Nonostante -da svariati anni- la comunità minoritaria di estrazione islamica sia stata fatta oggetto di numerose persecuzioni da parte della maggioranza buddhista del Myanmar, essa è rimasta sostanzialmente pacifica. Ma un gruppo mai conosciuto prima di miliziani è emerso lo scorso Ottobre 2016 sotto i colori della bandiera dell’Arakan Rohingya Salvation Army ARSA che afferma di guidare una vera e propria insurrezione a partire dalla remota regione montuosa di May Yu, ai confini col Bangladesh. Un account Twitter @ARSA-Official che posta con una certa frequenza temi condotti dal Gruppo, ha confermato che i suoi miliziani combattenti stanno combattendo contro i militari birmani regolari nell’area ed ha accusato i soldati di condurre atrocità nelle ultime settimane. Il Myanmar afferma che il gruppo è guidato da jihadisti Rohingya che sono stati addestrati sebbene non si sappia da parte di chi né è chiaro quanto il network affine sia effettivamente grande e numeroso.

La Border Guard Bangladesh (BGB) conferma l’utilizzo di armi di vario calibro e mortai da parte dell’Esercito regolare del Myanmar contro i civili di etnia Rohingya in fuga dalle zone di combattimento. Allo stesso tempo, i civili che cercano rifugio ed ospitalità in Bangladesh vengono respinti, anche in quel caso con l’uso delle armi. L’etnia Rohingya è reietta e respinta da ambo le parti, dal Bangladesh che non li vuole come profughi sul proprio suolo e dal Myanmar che li ritiene un corpo etnico estraneo, di religione musulmana in una Nazione con netta prevalenza del Buddhismo e con lingue poco affini con quelle correnti in Myanmar.

La European Rohingya Council, che ha base nella cittadina svizzera di Solothurn ha ricevuto notizie di attacchi effettuati da estremisti xenofobi birmani e militari dell’Esercito regolare tutti uniti contro i Rohingya che fuggono alla sola ricerca di un luogo protetto dove sostare e di poter persino esibire documentazione filmata di tali attacchi verso civili inermi. Centinaia di migliaia di rifugiati di etnia Rohingya sono già sul territorio del Bangladesh e 87.000 sono arrivati solo nel periodo da Ottobre 2016 ad oggi, cioè dallo scoppio definitivo degli scontri tra i soldati regolari birmani ed i miliziani ribelli locali.

Aung San Suu Kyi, che di fatto è il Premier che guida la Nazione, ha solo fatto dichiarazioni ufficiali in difesa dell’operato dell’Esercito regolare, lodando il coraggio dei soldati regolari nel combattere contro i miliziani che hanno finora compiuto brutali attacchi terroristici contro le forze regolari dell’Esercito birmano. Per il Myanmar i Rohingya sono gente del Bangladesh che pratica l’Islam ed è quindi ritenuta un corpo estraneo etnico e sociale sul suolo birmano. Dal canto suo, il Bangladesh non accetta la presenza di Rohingya sul proprio territorio, in quanto li ritiene birmani sebbene siano una etnia minoritaria e che comunque non possono sostare sul territorio del Bangladesh. L’ONU ha più volte chiesto alle parti in causa di instaurare dei tavoli di dialogo tra le parti e comunque ha chiesto al Governo di Yangoon di fermare le violenze contro l’etnia minoritaria dei Rohingya. Anche Sua Santità Papa Francesco, nel suo Angelus di Domenica 27 Agosto ha chiesto di fermare le violenze contro i Rohingya, il che è un paradosso, in quanto il leader della Cristianità nel Mondo si erge in difesa di una piccola comunità musulmana assaltata e ferita dalle forze militari del Myanmar, Paese in netta prevalenza buddhista.