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Città del Capo, l’Africa che sembra Europa

14 Agosto 2017

Dal turismo enogastronomico alla piscina pubblica più bella al mondo. E poi street art, birrifici artigianali, giardini. Ma anche segregazione e favelas. Su pagina99 istantanee da un Sudafrica che non ti aspetti.

Arrivato nell’avveniristico aeroporto di Città del Capo mi vengono in mente le esclamazioni di chi pontifica: «Quella non è Africa!». Come se la città più a Sud del Continente fosse un’entità a sé, separata dallo stereotipo africano fatto di strade polverose e case fatiscenti. Mi chiedo perché ogni anno oltre 10 milioni di turisti vanno in Africa a visitare un luogo che, a detta loro, non la rappresenta?

EMBLEMA DI FALLIMENTI E SPERANZE. Cinque anni dopo e con migliaia di chilometri alle spalle su e giù per il Continente ho acquisito due certezze: Cape Town incarna i desideri del turista fatti di ricerca dell’esotico senza abbandonare i comfort quotidiani; non esiste città più emblematica nel racchiudere contrasti, fallimenti e speranze dell’intero continente africano.

A VOLO D’UCCELLO SULLA CITTÀ. La prima foto da scattare è dall’alto. L’Oceano Atlantico, le ville vista mare, sua maestà Table Mountain, i Cape Flats. Natura estrema e genere umano racchiusi in un solo fotogramma. In ogni viaggio c’è un punto di partenza e uno d’arrivo: spesso coincidono. Nel 1600 era il porto, un miraggio per le navi che uscivano indenni dalle correnti del Capo di Buona Speranza. Oggi è l’aeroporto, meno romantico, ma più accomodante, Cape Doctor – il forte vento che soffia da Sud-Est e scuote la città – permettendo.

Modello urbanistico studiato dagli architetti dell’apartheid
In un percorso immaginario che taglia in due la città da Sud a Nord, la prima sosta equivale al fallimento: Cape Flats. Un’area geografica dove vivono un milione di persone dietro Table Mountain, l’enorme montagna a forma di tavola simbolo di Cape Town. Un modello urbanistico studiato dagli architetti dell’apartheid mirato a separare il genere umano sulla base del colore della pelle. I bianchi in prossimità dei riflessi dorati dell’Oceano Atlantico; i colorati e i neri nascosti dalla mastodontica catena rocciosa.

CI SONO 11 LINGUE UFFICIALI E 12 GANG. Khayelitsha, Nyanga, Gugulethu e Langa. Dal più recente al più antico sono i cosiddetti insediamenti informali (townships), dove si vive principalmente all’interno di baracche di lamiera senza luce e servizi igienici. Un mondo misterioso, disconnesso dal resto della città. Si comunica in isiXhosa, una delle 11 lingue ufficiali del Sudafrica. I tatuaggi indicano l’appartenenza alle 12 gang che, secondo l’autore Don Pinnock, hanno trasformato Cape Town in Gang Town.

Turismo nelle favelas: bisteccherie e birre autoprodotte
Luoghi contradditori che hanno attirato l’attenzione del mlungu – che significa uomo bianco nella lingua isiXhosa – alla ricerca di nuovi confini da esplorare. Da qui la nascita di ristoranti e festival enogastronomici per tutti. A Gugulethu c’è Mzoli’s, una bisteccheria nel cuore della township dove il turista può assaporare il locale barbecue, ilbraai, a ritmo di kwaito, un mix musicale house-afropop.

UN TOUR PER LE STRADE COSTA 40 EURO. Poi ci sono i tour organizzati da agenzie di viaggio che, per 40 euro, portano i turisti per le strade di Langa, gli fanno assaporare l’umqombothi, la birra autoprodotta a base di grano, garantendo al visitatore, una volta rientrato in patria, un racconto adrenalinico magari condito da un pizzico di afro-pessimismo. Luoghi trasformati in giardini zoologici umani dove i “colorati” sono osservati come specie in via d’estinzione.

Il giardino botanico, patrimonio dell’Unesco
Non lontano dalle townships, proseguendo sull’N1 che porta in centro, c’è un luogo che non mi stanco mai di visitare: Kirstenbosch. Un giardino botanico immenso, il più grande in Africa, patrimonio dell’Unesco. Una varietà di piante e fiori indigeni che per colori e profumi lasciano inebriati. Passeggiando nei viali tra le settemila specie presenti, per dimensioni e rarità, spicca la Protea, simbolo del Paese. È possibile portare una cesta da picnic e restare il giorno intero immersi in questo parco surreale.

COM’È TRENDY L’EX ZONA INDUSTRIALE. Dal verde di Kirstenbosch alla gentrificazione di Woodstock. Ex zona industriale e roccaforte dello spaccio, si è trasformato in uno dei quartieri più trendy di Cape Town, nonostante continuino i problemi di sicurezza e resti difficile l’integrazione. Albert Road la taglia in due. Su ambo i lati pullulano piccoli laboratori di artigiani che lavorano il legno, negozi di design si alternano a birrifici artigianali e spazi di co-working. Murales e street art arredano gli angoli delle strade fino a The Old Biscuit Mill, il cuore pulsante di Woodstock.

THE TEST KITCHEN MIGLIOR RISTORANTE. Soprattutto il sabato mattina quando capetonians, il soprannome degli abitanti di origine inglese della città, e turisti si ritrovano nel food market, uno spazio dove gustare cibi di strada. Per i più raffinati, con antecedenza, si può prenotare un tavolo al The Test Kitchen, eletto nel 2016 miglior ristorante d’Africa.

Le ferite della segregazione non ancora rimarginate
Con mezzi pubblici quasi inesistenti, l’unico modo per spostarsi da una parte all’altra della città è con i piccoli minibus gestiti da cooperative più o meno lecite. Quando mi avvicino a District Six, l’area più iconica di Cape Town, mi vengono in mente le parole di Jean-Jacques Rousseau: «Le città sono l’abisso della specie umana».

NERI COSTRETTI A LASCIARE LE ABITAZIONI. In questo fazzoletto di terra, c’è la memoria viva di quella ferita profonda ancora non rimarginata dell’apartheid. Visitando il museo, una raccolta di testimonianze in grado di catapultarti nel contesto dell’epoca, ho capito solo in parte la sofferenza delle 60 mila persone colorate e nere che negli Anni 70 furono costrette ad abbandonare le proprie case perché troppo vicini ai quartieri nobili.

PROMESSE NON MANTENUTE DALLO STATO. A 40 anni di distanza, District Six è un cratere nella città: emblema delle promesse non mantenute da uno Stato che avrebbe dovuto restituire la terra ai parenti di chi era stato forzatamente sfrattato.

Balconi vittoriani: qui si può sorseggiare birra e brandy locale
Cammino nel centro, le strade della movida Long e Bree Street: i numerosi locali con i balconi in stile vittoriano dove poter sorseggiare birra e brandy locale. Più nascosto The Heritage Vine, il vigneto più antico dell’intero emisfero australe. Piantato a fine ‘700 in un cortile, 10 anni fa è miracolosamente tornato a dare frutti con una produzione annuale di pochi litri di Chenin Blanc.

SCORCI DI INTEGRAZIONE CHE FUNZIONA. Una lunga salita e all’improvviso mi trovo catapultato in un puzzle di minareti e case colorate. È Bo-Kaap, un’area a netta prevalenza musulmana, risultato di una perfetta integrazione tra diverse culture: una delle storie positive del post-apartheid.

Il “sacro” tramonto: ogni sera decine di persone assistono al rituale
Ormai manca poco all’incontro con l’Oceano, lo si sente dall’aria salmastra che pervade le strade dell’ex zona portuale di De Waterkant. Si entra nel regno incantato della comunità bianca. Attici che guardano l’orizzonte infinito del mare. Ogni sera lungo la promenade decine di persone assistono al rituale quasi sacro del tramonto. A SeaPoint, uno dei quartieri più esclusivi della città, c’è quella che è considerata la piscina pubblica più bella al mondo. CapeTown, a causa dell’Oceano gelido, è ricca di piscine all’aperto. Si è scritto e detto tanto sul ruolo sociale che hanno avuto durante la segregazione razziale, ma oggi si sono trasformate in luogo di integrazione e conoscenza.

UNO DEI PANORAMI NOTTURNI PIÙ BELLI. È notte. Alzo lo sguardo verso Lion’s Head, un monte di 700 metri con l’estremità simile a una criniera di un leone. Ci sono tanti piccoli lumini a intermittenza. Sembrano stelle cadenti. Ogni sera scalatori amatoriali arrampicano fino alla vetta per poter godere di uno dei panorami notturni più belli dell’emisfero australe.