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Brasile, il colpo di Temer al cuore dell’Amazzonia

29 Agosto 2017

Il presidente dà il via libera alle trivellazioni in un’area protetta di 46 km. In un anno, persi 8 km2. A questi ritmi si rischia il disastro entro fine secolo. Interessi, tribù a rischio, precedenti: le cose da sapere.

E’bastato un tratto di penna per mettere a rischio uno degli ultimi territori vergini del pianeta. Appena l’inchiostro della firma del presidente del Brasile, Michel Temer, si è asciugato, la notizia è stata diffusa: la National Reserve of Copper and Associates, un’area protetta di 46 mila chilometri (10 mila più del Belgio, 3 mila più della Danimarca) nel cuore dell’Amazzonia è stata abolita per fare posto alle trivellazioni, in quella che appare come una nuova, devastante, corsa all’oro

1. Il piano: scavi alla ricerca di giacimenti di metalli preziosi
Il piano, approvato dall’esecutivo brasiliano, prevede di scavare negli stati di Parà e Amapà, posti sulla foce del Rio delle Amazzoni e ricoperti ancora dall’intricata e lussureggiante vegetazione tropicale, alla ricerca di giacimenti di metalli preziosi (oro, ferro, nichel e rame). Secondo le compagnie, filoni di notevole importanza si troverebbero infatti nella «Floresta Nacional de Mulata», il cuore della Riserva Biologica di Maicuru.

2. Il governo: debole con i colossi dell’alta finanza
Il governo di Temer difende la propria scelta sostenendo che «la misura è finalizzata ad attrarre investimenti esteri e creare nuovi posti di lavoro nel pieno rispetto della sostenibilità ambientale» e la inserisce tra le mosse necessarie per tirare fuori il Brasile dalla recessione nella quale è caduto nel 2014 (per gli analisti, la peggiore crisi economica degli ultimi 80 anni). Sono però in molti a credere che l’esecutivo, sempre più asservito ai mercati finanziari e ai grandi imprenditori, abbia ceduto alle pressioni dei colossi mondiali dell’estrazione mineraria. Anche le recenti privatizzazioni, dalla compagnia elettrica Eletrobas al gestore delle autostrade Ecorodovias, le cui azioni sono finite sopratutto a gruppi esteri, hanno allertato le opposizioni, che sostengono che il Presidente non stia tutelando gli interessi del Paese ma stia svendendo i gioielli di famiglia nazionali.

3. L’opposizione: «Il più grande attacco all’Amazzonia degli ultimi 50 anni»
Per il senatore dell’opposizione Randolfe Rodrigues, rappresentante proprio di uno degli stati interessati dal piano del governo, «questo decreto è il più forte attacco all’Amazzonia degli ultimi 50 anni, nessuno immaginava che l’esecutivo Temer potesse osare tanto». Ma non saranno le opposizioni o gli ambientalisti a fermare Temer, che è appena scampato all’accusa di impeachment per corruzione grazie al voto favorevole del Parlamento e può, con l’appoggio delle lobby, contare sui voti dell’Assemblea.

4. Le conseguenze: a rischio la sopravvivenza delle ultime popolazioni primitive
Sul piatto che Temer intende offrire alle multinazionali, non ci sono solo 46 mila chilometri quadrati di foresta pluviale incontaminata. Secondo gli studiosi, infatti, la foce del Rio delle Amazzoni è la casa delle ultime tribù “incontattate” che vivono nella giungla allo stato primitivo. Lo stesso governo in passato ha stilato una mappa secondo la quale sarebbero una quindicina le zone occupate dagli Indios negli stati di Parà e Amapà. Un migliaio circa il numero degli indiani sopravvissuti, ma la decisione di non stabilire alcun tipo di rapporto per tutelarli (nel recente passato epidemie di raffreddore e morbillo hanno decimato le popolazioni che sono entrate in contatto con l’uomo moderno, come è accaduto al popolo dei Matis) ha reso impossibile fare stime attendibili. Si sa solo che oggi i gruppi isolati dal mondo sarebbero un centinaio, alcune tribù conterebbero più di 300 esemplari, altre, già sull’orlo dell’estinzione, sarebbero ormai ridotte a pochi nuclei familiari.

5. I campesinos: i contadini senza terra sono una minaccia
È facile ipotizzare cosa accadrebbe a queste popolazioni che non sono mai entrate in contatto con l’uomo moderno se, di colpo, enormi macchine per lo spostamento della terra facessero irruzione nel loro habitat immutato da millenni. Il vero pericolo per gli ultimi primitivi è però rappresentato dai «campesinos», i contadini senza terra, che attendono l’apertura di nuove strade nel cuore della foresta per iniziare a coltivare i terreni diventati raggiungibili.

6. Il precedente: dai Piripkura all'”Uomo della buca”
Già in passato intere tribù sono state trucidate in questo modo, come è accaduto ai Piripkura del Mato Grosso (si ipotizza che i pochi sopravvissuti alle mattanze siano morti negli Anni 90), ai Tucan o all’ “Uomo della buca”, ultimo esponente di un popolo ucciso dagli allevatori di bestiame, che ha vissuto buona parte della sua vita in assoluta solitudine, riparandosi in piccole buche nel terreno, braccato dai contadini che gli sparavano a vista. Il governo brasiliano aveva voluto preservare le zone in cui era stato avvistato, lasciando intatti pochi chilometri di foresta assediati dalle brulle distese arate e dai pascoli. La decisione aveva però indispettito gli allevatori, che avevano intensificato le battute di caccia per procedere col disboscamento anche di quelle aree. Le ultime sue tracce risalgono al 2009 e si teme possa essere morto, portando con sé i segreti di una tribù che non conosceremo mai e che abbiamo contribuito a estinguere.

7. La deforestazione: mai così veloce, persi 8 mila km2 in un anno
Uno studio condotto dall’Istituto di ricerca ambientale dell’Amazzonia (Ipam) fa correre i brividi lungo la schiena: la giungla amazzonica, il “polmone verde” del pianeta, sta scomparendo a ritmi vertiginosi. Tra l’agosto 2015 e il luglio 2016, avrebbe perso 7.989 chilometri quadrati di territorio coperto da vegetazione. È come se ogni ora – calcola l’Ipam – nella foresta si aprissero radure grandi come 128 campi da calcio. Il tasso di deforestazione, dopo l’annus horribilis del 2008, pareva essersi ridotto: tra il 2009 e il 2015 si era stabilizzato a un livello medio annuo di circa 6 mila chilometri quadrati, per poi scendere, nel 2012, a 4.571 km2.

8. La cementificazione: verso una giungla di strade e ferrovie
Se la National Reserve of Copper and Associates cadrà nelle mani delle compagnie minerarie, altri migliaia di chilometri di giungla verranno rasi al suolo per edificare autostrade, ferrovie e strutture per la lavorazione dei metalli. E poi, sui tavoli del governo ci sono altri 250 progetti di costruzioni di grandi dighe per imbrigliare gli innumerevoli corsi d’acqua e 20 progetti di altrettante nuove vie di comunicazione che, se approvati, aumenteranno la portata del disastro.

9 L’ecosistema: con l’Amazzonia è minacciato il 10% delle specie viventi del pianeta
Secondo quanto riporta il Wwf nel Living Amazon Report 2016, sarebbero 31 i fronti della deforestazione che minacciano l’integrità di un ecosistema unico al mondo. A rischio, assieme alla giungla, l’habitat del 10% delle specie viventi sulla terra. Di queste, oltre 2.000 tra piante e vertebrati sono state scoperte e descritte solo a partire dal 1999. Molte di più sono però quelle che rischiano di scomparire per mano dell’uomo ancora prima di essere classificate. A oggi, è andato irrimediabilmente perso il 17% della foresta, su di un totale di 6,7 milioni di chilometri quadrati.

10. Le stime: con simili ritmi, la foresta sparirà entro la fine del secolo
In un altro rapporto, sempre del Wwf, si legge: «Negli ultimi 50 anni abbiamo perso quasi un quinto di questo incredibile mondo di foreste […], gli attuali trend relativi all’espansione dell’agricoltura e dell’allevamento, agli incendi, alla siccità e al taglio illegale di legname potrebbero far sparire o danneggiare gravemente il 55% della foresta pluviale amazzonica entro il 2030». E le conclusioni sono drammatiche: «L’allarme va dunque ben oltre il dieback (un collasso della vitalità della foresta) di fine secolo, previsto per la giungla, da alcuni modelli […] perché l’Amazzonia rischierebbe di diventare emettitore netto di CO2, invece di essere il polmone che oggi ci permette di assorbire questo gas serra e di regolare il clima globale».