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Barconi, cannibali, morti: l’Odissea dei veneti di fine 800

29 Agosto 2017

Trecento contadini vennero convinti a trasferirsi in un’isola del Pacifico, da cui i superstiti fuggirono poco dopo. Lo scrittore Marzo Magno ripercorre le loro storie, simili a quelle dei disperati che oggi sbarcano in Italia.

Non sceglievano di emigrare: venivano convinti a lasciare case e proprietà da veri e propri “agenti” che battevano le campagne, promettendo agli aspiranti coloni terre di latte e di miele, ricchezze, riscatto. E così alla fine partivano, non prima però di aver venduto tutto per un biglietto, il lasciapassare per una nuova vita. La realtà però era ben diversa da quella réclame: le navi erano barconi malandati, salvati non si sa come dalla demolizione e le mete non certo piane miracolose e fertili, ma luoghi impervi e inospitali. Che solo i più fortunati tra l’altro riuscivano a calpestare visto che durante le traversate oceaniche si moriva. E i primi erano i più deboli: i bambini.

LA TRUFFA DEL MARCHESE. No, non è l’Odissea dei migranti che dall’Africa centrale arrivano in Libia e sfidano il Mediterraneo, anche se purtroppo ci somiglia molto. È la disavventura di 270 contadini veneti e friulani che nel 1880 lasciarono le loro case a Oderzo, Francenigo, Codognè, Sacile per le Isole Bismarck (al largo della Papua Nuova Guinea) oggi Nuova Irlanda. Migranti italiani, come racconta Alessandro Marzo Magno in Storie straordinarie di italiani del Pacifico (a cura di Marco Cuzzi e Guido Carlo Pigliasco, Odoya) che avevano abboccato, complici la povertà e l’arretratezza industriale della regione, alle promesse di truffatori come il marchese de Rays, un bretone che, spiega Marzo Magno a L43, «con l’idea di restituire lustro alla Francia dopo la sconfitta con la Prussia aveva pensato di rifondarla agli antipodi». Il Regno di Nuova Francia nel quale, ricorda il giornalista-scrittore, lui non aveva mai messo piede, veniva descritto come un luogo meraviglioso, un paradiso terrestre. A essere truffati dal nobile non furono solo gli italiani, ma pure altri europei. Poco prima, infatti, erano partite due navi di tedeschi. E nel Vecchio Continente il marchese continuava ad avere credito e seguito. «In una convention a Marsiglia», continua Marzo Magno, «fu applauditissimo…»

TRENTA VITTIME DURANTE LA TRAVERSATA. Quando nel febbraio 1880 i nostri connazionali si imbarcarono a Barcellona le autorità italiane che avevano addrizzato le antenne non poterono fare molto. «Addirittura la nave era destinata alla demolizione», continua il giornalista, «ed era stata riacquistata dal marchese». Un barcone, leggeremmo oggi sui giornali. Durante la traversata verso la Papua Nuova Guinea morirono in 30. E una volta attraccati a Port Breton (così lo aveva ribattezzato il marchese) quello che si trovarono davanti era tutto fuorché un paradiso terrestre. «I superstiti Trovarono solo una specie di capannone costruito dai precedenti coloni», continua Marzo Magno, «l’isola era aspra. Una baia scura, con alture alle spalle, una vegetazione fittissima». Non solo. «I nativi si rivelarono ostili, erano antropofaghi…». Non che fosse una novità. Anche chi era partito per il Brasile si era dovuto adattare alla convivenza non facile con le popolazioni locali e con la foresta.

Per qualche mese i veneti-friulani giunti sull’arcipelago sperduto delle Bismark resistettero senza perdersi d’animo, dissodando il terreno. Ne morirono altri 48 prima della “resa”. Cinque, racconta il giornalista, fuggirono su una lancia ma finirono catturati dai cannibali. Solo uno venne risparmiato perché piangendo a comando divertiva i suoi carcerieri. Scampato agli antropofagi e con problemi mentali, si imbattè però in un vascello di schiavisti i quali, dopo averlo lavato, si accorsero che era un bianco e che quindi sul mercato non ci avrebbero fatto granché. Lo abbandonarono al suo destino. Quel che restava della comunità di Port Breton costrinse poi il comandante a salpare tanto «la nave era stata sempre ormeggiata in rada e i coloni dormivano e mangiavano a bordo», aggiunge Marzo Magno. Nel frattempo il marchese de Rays era stato smascherato e imprgionato in Spagna nel 1882. Truffatore nell’anima, cambiò poi core business. «Fece lo gigolò per turiste americane in Francia e arrivò persino a vendere agli statunitensi granito macinato spacciandolo per polvere da sparo».

COSÌ NACQUECEA VENESSIA. I sopravvissuti di Port Breton «arrivarono in Nuova Caledonia, dove però la nave venne sequestrata lasciando la compagnia in braghe di tela». Alcuni riuscirono a raggiungere l’Australia dove, in un primo momento, furono ben accolti. «I bimbi si narra nelle cronache erano così scheletrici da sembrare pupazzi. Naturale che questi italiani suscitassero pietà…», fa notare lo scrittore. Ma dopo poco si riproposero nel nuovo mondo le distanze del vecchio. «Gli italiani, pochi a dire il vero, che già si trovavano in Australia erano anticlericali per di più in un Paese protestante. I nuovi arrivati, invece, erano cattolici e richiedevano un prete». Per questo furono ghettizzati. Col tempo riuscirono a creare una vera colonia che ribattezzarono Cea Venessia, Piccola Venezia, e raggiungere un relativo benessere specializzandosi nella produzione di vino. Nel 1901 una legge australiana impose l’uso della lingua inglese e Cea Venessia, bandita, divenne New Italy. L’«ultimo rappresentante morì negli Anni 50 ormai 90enne», aggiunge Marzo Magno.

DAI CANNIBALI AGLI ALLIGATORI. Storie tragiche, sogni finiti nello stomaco di un antropofago del Pacifico o nelle fauci di un alligatore come nel caso di coloni scozzesi truffati intorno al 1820 da tal Gregor Mac Gregor che «inventò uno Stato in Centroamerica: il regno di Poyais», racconta ancora Marzo Magno. «Scrisse una guida turistica dedicata ai coloni e aspiranti tali. Partirono in centinaia su cinque o sei navi, ma quando arrivarono ad attendenderli c’erano solo paludi infestate da alligatori».

Il traffico di esseri umani, di migranti, è sempre stato un business sfruttato da truffatori, criminali, scafisti ante-litteram. Un giro di affari che, stando a un rapporto Europol-Interpol, nel 2015 ha fruttato alle organizzazioni criminali tra i 5 e i 6 miliardi di euro. «La verità è che la storia non ci insegna nulla», allarga le braccia Marzo Magno. «Non ne traiamo conclusioni utili per il presente. Oggi come allora c’è chi si arricchisce con questi traffici e bisognerebbe tagliare queste radici».

EUROPA A RISCHIO. La cosa più incredibile, è il ragionamento dello scrittore, è che l’Europa nata per evitare nuove guerre, per eliminare confini che ora stanno rimettendo, per avere una moneta unica che adesso è additata come il male assoluto rischia di sgretolarsi a causa dell’immigrazione. Di chi cavalca la paura e la rabbia dei cittadini e di chi sottovaluta il fenomeno non presentando risposte alternative. «Non dimentichiamo», fa notare Marzo Magno, «che il primo stop all’Ue è stato lo stop della Francia alla Costituzione. Un no per la paura dell’idraulico polacco…».