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Ventimiglia, reportage dalla frontiera dei diritti sospesi

13 Luglio 2017

Migranti scivolati sui monti, investiti in autostrada, schiacciati dai treni, annegati nel fiume Roja. E chi sopravvive viene spedito a Taranto. Viaggio di L43 tra i vessati dalla macchina repressiva franco-italiana.

Alleggerire temporaneamente la pressione su Ventimiglia senza risolvere alcun problema: è questa la costosa “non strategia” del ministero dell’Interno per la questione dei migranti che premono sulla frontiera con la Francia. Servono 10 mila euro per ogni pullman che fa la spola con l’hotspot di Taranto, dove i profughi passano più volte senza riuscire a capire cosa gli stia accadendo. Da Ventimiglia ne partono almeno due al giorno, un business redditizio per la Riviera trasporti s.p.a, partecipata tra gli altri anche dal governo tedesco.

«ABBIAMO VIAGGIATO PER 15 ORE». Ma per Mohammed, 18enne sudanese che è stato a Taranto due volte nelle ultime settimane, non è cambiato niente: «Mi hanno preso per strada con altri, ci hanno tenuti due ore in commissariato mentre cercavano altra gente per riempire il pullman, poi abbiamo viaggiato per 15 ore. Arrivato a Taranto ho dato le impronte, mi hanno solo chiesto se volevo rimanere in Italia e io, che non sapevo di Dublino, ho risposto di no. Mi hanno dato una espulsione. Voglio andare in Francia perché lì ho degli amici».

Il Regolamento Dublino impone ai migranti di chiedere protezione internazionale nel Paese di primo arrivo ma, come Mohammed, molti cercano di ricongiungersi a familiari o amici in altri Stati europei. La carenza cronica di informazioni date nei centri di primo soccorso fa nascere credenze sbagliate e pericolose, come quella molto diffusa che il foglio di espulsione dall’Italia faciliti l’entrata in Francia.

IN FUGA DAL GENOCIDIO DEL DARFUR. Mohammed quest’estate avrebbe dovuto sostenere gli esami di maturità, ma la guerra glielo ha impedito. La sua famiglia è in un campo profughi in Sudan, nella regione del Darfur, dove il genocidio della popolazione ordinato dal presidente Omar al-Bashir va avanti da 15 anni. Quando gli viene mostrata sul cellulare la cartina del suo Paese indica dove crede siano i suoi congiunti: è la zona del Jebel Marra, la “Montagna cattiva”, dove il conflitto è iniziato.

A stento trattiene le lacrime. «Siamo dovuti scappare perché hanno bruciato il nostro villaggio e quelli vicini. Mi hanno portato forzatamente nel deserto al confine con la Libia, per lavorare come cercatore d’oro. Da lì sono scappato in Libia dove mi hanno arrestato e tenuto 18 mesi in carcere. Sono due anni che non sento la mia famiglia, mi mancano molto e sono preoccupato per loro».

«STRESS CONTINUO E GASTRITE CRONICA». Alessandro Verona, medico di Intersos, lo accompagna a mangiare qualcosa al bar Hobbit, uno dei pochi porti franchi per gli stranieri, sempre più mal sopportati dalla popolazione. «Lo stress dei continui viaggi lo ha indebolito, soffre di una gastrite cronica contratta in Sudan per le condizioni inumane a cui era sottoposto nel deserto e che si è acutizzata nelle carceri libiche».

SENZA RIPARO IN BALÌA DEL VENTO LIGURE. Mohammed ha la febbre, e mentre fa ritorno al fiume Roja, dove dormirà con l’unica maglietta e i pantaloncini corti, rischia di cadere a ogni folata del forte vento che spazza la costa ligure. «Avevo una coperta, ma l’hanno portata via assieme alle poche cose che avevamo per ripararci dal freddo».

L’ordinanza del sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano aveva seminato il panico tra i migranti. C’era bisogno di ripulire il greto del fiume per questioni sanitarie e anche perché il 2 luglio 2017 si è disputata l’annuale gara dei canotti. Mohammed con un sorriso amaro dice che per lui «i gommoni rappresentano solo sofferenze». L’imam chiamato a tradurre l’ordinanza ha usato parole forse più dure di quelle contenute nel documento e 400 migranti, la maggioranza sudanesi, hanno deciso di seguire in massa le strade di montagna per scappare da quello che avevano inteso essere un rastrellamento.

CACCIATI CON ELICOTTERI, DRONI E CANI. Racconta Sayed: «Alcuni di noi sono partiti sabato, altri domenica a mezzanotte. La salita è stata durissima non avevamo né acqua né cibo, e molti avevano solo le ciabatte». La paura è stata tanta e si è rischiato la strage perché la caccia al migrante delle forze dell’ordine francesi, con elicotteri, droni e cani, poteva spingere a una fuga disordinata, mortale su quegli angusti sentieri.

LA REPRESSIONE HA CAUSATO 15 MORTI. Una solidale dice: «Da quando la Francia, nel giugno 2015, ha deciso di chiudere le frontiere, si sono registrati un crescendo di decessi e gravi ferite, tra le quali anche i morsi di cane». E ancora: «La legione straniera effettua imboscate mimetizzandosi nella vegetazione, applicando strategie di guerra. Mano a mano che la macchina repressiva franco-italiana si è andata ad affinare, sono aumentati drasticamente gli incidenti mortali. In totale sono una quindicina le persone che hanno perso la vita a causa di questa politica: scivolate sui monti, investite in autostrada, schiacciate o folgorate dai treni, annegate nel fiume Roja a Ventimiglia. Ma i numeri sono approssimativi perché i media italiani non riportano i casi di decessi dei migranti e gli stessi francesi non pubblicizzano né i gravi incidenti né la caccia che ogni notte scatenano contro di loro».

Nei vari gruppi che hanno tentato la fuga verso una illusoria libertà c’erano una ventina di minori, anche loro catturati appena giunti sul versante francese. «Ci hanno separato dagli adulti e chiuso in una stanza, senza né acqua né cibo. Abbiamo dormito sul pavimento e il giorno dopo ci hanno messo su un treno e rimandati a Ventimiglia», racconta Elfaki. Questa consuetudine, denunciata più volte dagli attivisti, è una violazione.

LEGGE NON RISPETTATA SUI MINORI. L’avvocato Laura Martinelli dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione spiega: «Per legge un minore non accompagnato deve essere perso in carico dalle autorità che lo trovano e sistemato in una struttura protetta. Vanno poi attivate le ricerche per capire se ha parenti in quel Paese». Ma questo avviene poche volte e le autorità italiane difficilmente impediscono ai francesi di liberarsi dei minori.

CON GLI ADULTI E CARICATI SUI TRENI. Anche Osman ha subito lo stesso trattamento. Lui, minorenne sudanese, era stato messo nel gruppo degli adulti. La polizia francese ha provato a consegnarlo a quella italiana che però si è rifiutata. Il mattino successivo le autorità transalpine lo hanno fatto salire sul treno che da Mentone porta alla città ligure.

Il presidente francese Emmanuel Macron si è detto disponibile ad aprire ai migranti, ma non a quelli economici. Nel quartiere delle Gianchette a Ventimiglia, dove si ammassano le persone che anelano di andare in Francia o in altri Paesi europei, la distinzione tra chi scappa dalla guerra, dalla miseria o dai cambiamenti climatici scompare davanti alla comune sofferenza.

TORTURE E UMILIAZIONI IN LIBIA. Al vertice di Parigi del 2 luglio 2017 i ministri dell’Interno di Germania, Francia e Italia, insieme con il Commissario europeo per l’immigrazione Avramopoulos, hanno stabilito che per raggiungere lo scopo principale di limitare gli sbarchi è necessario finanziare il governo libico di Sarraj, che però ancora non ha un controllo reale sul Paese e nei cui centri di detenzione tortura e umiliazione sono la norma. Da lì passa il 97% dei migranti.

Vincent è nigeriano, parla perfettamente inglese e aveva quasi finito gli studi di ingegneria, ma è stato costretto a fuggire per le continue violenze di Boko Haram nella zona al confine col Ciad dove viveva. Come tutti i profughi ha il corpo pieno di cicatrici. «Nelle carceri libiche ti chiedono di chiamare a casa e farti mandare i soldi per liberarti. Se non li hai ti buttano benzina addosso e ti danno fuoco». Anche lui era in montagna e giura che ci tornerà: «La speranza di passare il confine è l’unica cosa che ci tiene in vita, ma si rischia di impazzire a vivere così».

CAMPO DELLA CROCE ROSSA DA AMPLIARE. Davanti al fiume e al cavalcavia che lo sovrasta, che fa da tetto ai migranti, c’è la chiesa di Sant’Antonio, nel cui sottosuolo trovano riparo una ottantina di persone. Daniela Zitarosa, operatrice legale di Intersos, dice che «sono esclusivamente famiglie con bambini che vanno dai 10 anni ai 2 mesi. Fino a qualche giorno fa anche i minori non accompagnati potevano risiedervi, ma la prefettura ha deciso che dovranno essere accolti nel campo della Croce rossa, che però al momento non è attrezzato adeguatamente per i minori né come struttura né come figure professionali specifiche». Il campo della Croce rossa dovrebbe essere portato nei prossimi mesi da 300 a 500 posti. «Quello che è certo è che non potrà accogliere donne vittime di tratta. Per loro servono strutture protette».
Mohammed raggiunge il suo posto nel letto del fiume. Ha appena smesso di piovere e sarà una notte fredda. Per distrarlo guarda su un cellulare i 10 gol più belli di Messi. Gli si illuminano gli occhi e la febbre sembra scomparire. A ogni azione inizia una telecronaca avvincente anche se incomprensibile perché in arabo. «Mi piacerebbe fare il telecronista sportivo, tifo Real Madrid: meglio Ronaldo di Messi».

LA NOTTE È IL TEMPO DELLE PARTENZE. È il tramonto, un 14enne eritreo si aggira intorno alla chiesa col suo zainetto. Ricci neri corti, viso paffuto e sguardo impavido. Non ha intenzione di dormire né in chiesa né nel campo della Croce rossa. La notte è il tempo delle partenze, anche per lui.