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Sudan-USA: dialogo e diplomazia per gli interessi americani

20 Luglio 2017

Oltre le sanzioni economiche: le prospettive future tra Sudan e Stati Uniti secondo l’analisi dell’Atlantic Council

Il Sudan è da sempre un Paese strategico agli occhi degli attori internazionali; in prima linea, da lungo tempo, troviamo gli Stati Uniti.
Dal 1997 proprio gli USA hanno imposto delle sanzioni economiche allo Stato per il loro presunto sostegno ad organizzazioni islamiste e allo stesso leader di Al Qaeda, Osama bin Laden che visse proprio in Sudan dal 1992 al 1996. Le stesse sono poi state rinnovate a causa delle situazioni conflittuali in Darfur, in Sud Kordofan e nel Blu Nile. Sono passati ormai 20 anni da quella decisione e, da qualche anno, si è iniziato a parlare di possibilità concrete di revisione. Lo scorso anno, Barack Obama aveva provveduto ad eliminarne una parte. Il Sudan, già nel 2015, aveva cercato di convincere gli Stati Uniti a cancellare il suo nome dalla lista dei Paesi ad alto rischio di violazioni di diritti umani. L’America, in risposta, ha più volte chiesto al regime di Omar El Bashir una più concreta azione per riportare la stabilità e, soprattutto, un maggior impegno contro il terrorismo internazionale. La Corte Penale Internazionale, nel frattempo, ha aperto un procedimento proprio contro il Governo e il suo Presidente perché ritenuto responsabile dell’attacco contro le minoranze etniche presenti nel Darfur.

Anche l’Unione Europea ha il suo ruolo in questo scenario; a metà dello scorso Maggio, infatti, ha promosso un incontro sulle misure anti-terrorismo e anti-riciclaggio proprio a Khartoum. Al termine dei colloqui tra l’Ambasciatore europeo e le autorità sudanesi, si è reso noto lo stanziamento di 6 milioni di euro per finanziare lo Stato del Sudan contro la criminalità ed il terrorismo. Si è parlato, inoltre, di altri due finanziamenti, uno di 12 milioni di euro per la sanità e uno di 22 milioni di euro per l’educazione che si sommano ai 100 milioni già dati per il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini sudanesi e dei rifugiati. Sempre a Maggio hanno avuto luogo anche degli incontri organizzati dalle istituzioni sudanesi che hanno visto protagonisti gli americani per la discussione dell’eventuale revisione delle sanzioni economiche.

Anche l’Italia aveva dimostrato interesse a «cogliere le opportunità economiche che può offrire il Sudan», come aveva dichiarato qualche mese fa Fabrizio Lobasso, Ambasciatore italiano a Khartoum. Queste aperture nei confronti del Sudan, presente nell’elenco dei Paesi che sponsorizzano il terrorismo internazionale, sono culminate nel tentato incontro tra El Bashir ed il presidente americano Donald Trump. Questo si sarebbe dovuto tenere in occasione dell’Arab Islamic American Summit organizzato in Arabia Saudita, ma non appena la notizia è trapelata, l’imbarazzata Amministrazione Trump ha subito cambiato le carte in tavola annullando tutto e voltando faccia al dittatore. Non si è, quindi, trattato di Trump, ma l’incontro è avvenuto lo stesso tra i rappresentanti dei rispettivi Governi.

La chiave di lettura di queste aperture e concessioni di UE e USA nei confronti di un regime islamico dittatoriale come quello di El Bashir, si cela dietro un’analisi approfondita del ruolo che il Sudan ha nella lotta al terrorismo e nel controllo dei flussi di migranti che dall’Africa sbarcano sulle nostre coste. Si teme che lo Stato intenzionalmente si astenga dal controllare le partenze servendosi delle migrazioni come fonti di guadagno per le forze dell’ordine stesse; questa la denuncia dell’’African Express‘ che parla anche delle violenze perpetrate verso queste persone. 900 dollari a persona: questa la somma richiesta dall’organizzazione di trafficanti in accordo con il Governo sudanese per il viaggio che condurrebbe i disperati da Khartoum alla Libia.Secondo gli ultimi dati il Sudan è tra i Paesi dell’Africa dell’est che più soffrono per la carenza di cibo e acqua; 26.5 milioni di persone coinvolte dai drammi della siccità. Questo si collega strettamente anche con i ben 93.292 immigrati sbarcati sulle coste italiane dall’inizio dell’anno ad oggi, secondo le stime del Ministero degli Interni; 4.172 proverrebbero proprio dal Sudan. L’Italia, inevitabilmente coinvolta, data la sua posizione nella questione migrazione, ha delineato la strategia di contenimento dei flussi riconoscendo a Libia e Sudan un ruolo determinante e affidando loro il blocco delle partenze dietro compenso per aiuti umanitari, di carattere economico e politico.

Il rischio è che El Bashir, però, si serva degli Stati che lo aiutano senza realmente avere intenzione di collaborare, ma muovendosi solo per fini personali, come quello di veder cancellato il processo che lo vede accusato alla Corte Penale Internazionale. Il Governo del Sudan, che mai si è mostrato aperto verso i migranti e i rifugiati, sta inasprendo i controlli dopo le somme promesse dall’Unione Europea, delineando un peggioramento nelle violenze a danno dei migranti e della situazione in generale.

La scadenza della decisione sulle sanzioni aveva come termine lo scorso Mercoledì: da un lato l’eventualità della revoca definitiva e, dall’altro, l’estensione del periodo di ‘prova’ o in extremis il ripristino totale delle sanzioni. Il Sudan ha sperato nella tanto desiderata fine delle sanzioni americane da parte di Donald Trump. «E’ giunto il momento di revocare definitivamente le sanzioni», ha dichiarato un ufficiale del Ministero degli Esteri sudanese, Abdelghani Elnaim circa una settimana fa. «Contiamo sul presidente Trump affinché prenda questa coraggiosa decisione che renderà felice non solo il popolo sudanese, ma anche tutta l’Africa».
Le sanzioni Usa hanno duramente segnato l’economia del Sudan. Ma già la scorsa settimana erano arrivate le prime voci sull’eventuale non revoca delle sanzioni da parte di Washington. Ricordiamo che proprio l’Amministrazione Trump ha incluso il Sudan nel contestato decreto che ha bloccato le frontiere USA ad alcuni Paesi musulmani. Secondo un diplomatico europeo, infatti, non è logico che, da una parte vieti l’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini sudanesi e, dall’altra, levi le sanzioni.
Varie voci si sono elevate in proposito. Una ONG sudanese a New York ha lanciato una petizione per chiedere di non togliere le sanzioni economiche contro il Sudan, macchiatosi di insopportabili violenze contro la popolazione del Darfur, ancora in atto. Darfur Women Action Group (DWAG) denuncia anche che la decisione di alleggerire le sanzioni di Obama non ha corrisposto ad un rispetto delle condizioni previste da parte dello Stato africano. Per la cessazione delle sanzioni infatti, il Sudan avrebbe dovuto rispettare dei punti: porre fine al genocidio nel Darfur, consentire corridoi umanitari, disarmare il gruppo armato Janjaweed, favorire il rispetto dei diritti umani e la pace nel Paese, nonché, tagliare i finanziamenti ai movimenti armati terroristi. Secondo la ONG tutti i punti sono stati disattesi.
Anche 53 deputati bipartisan hanno chiesto a Trump di posticipare di almeno un anno la fine del blocco economico e commerciale, secondo il quotidiano ‘The Sudan Tribune’, insieme alla proposta di monitorare l’effettiva fine del conflitto tra Sudan e Sud Sudan. «Porre fine all’isolamento commerciale, come ricorda l’ONG Dwag, significherebbe permettere il pieno accesso del Sudan ai mercati internazionali e agli investimenti esteri». Questo porterebbe, quindi, ad un «disastroso risultato», perché, l’aumento dei fondi governativi potrebbe portare ad un impiego in altri crimini.
Tutti si aspettavano una revoca delle sanzioni ma Trump, trovatosi a dover affrontare la questione, ha deciso di aggiungere altri tre mesi al periodo per l’eventuale revoca, firmando un ordine esecutivo che rinvia tale decisione al prossimo 12 Ottobre. «Pur riconoscendo che il Governo del Sudan ha compiuto notevoli progressi in molti settori, l’Amministrazione ha deciso che ha bisogno di più tempo per questo periodo di prova», ha detto la portavoce della diplomazia USA, Heather Nauer, in un comunicato. Si rende anche noto che le sanzioni saranno revocate in maniera definitiva «se il Governo sudanese porterà avanti le sue azioni positive, in particolare per quanto riguarda la cessazione delle ostilità nelle zone di conflitto in Sudan, un migliore accesso umanitario in Sudan e la cooperazione con gli Stati Uniti per risolvere i conflitti regionali e la minaccia del terrorismo».

Il Sudan ha visto disattese le sue aspettative. Khartoum ha espresso delusione per il rinvio: «ci dispiace che si sia arrivati a questa decisione dopo i lunghi negoziati tra Sudan e Stati Uniti», ha detto il Ministro degli Esteri, Ibrahim Ghandour. «Gli Stati Uniti, l’Europa, l’Africa e la comunità internazionale hanno riconosciuto il fatto che il Sudan ha rispettato i propri impegni per quanto riguarda i cinque settori, motivo per cui non vediamo alcuna ragione per prorogare il periodo di revisione. Ma speriamo ancora che le sanzioni vengano revocate in modo permanente». Posizioni diverse si sono registrate sia da parte del Presidente Bashir che ha dichiarato sospese le discussioni sul tema, che dal vice del suo partito, Ibrahim Mahmoud; quest’ultimo ha dichiarato che, se in questi ulteriori mesi il Sudan dovesse incorrere in problemi politici o di sicurezza derivanti dal blocco economico, «la responsabilità sarà degli Stati Uniti».

L’Atlantic Council, centro studi americano molto vicino alla Casa Bianca, scrive in un report che l’Amministrazione Trump ha ripreso il controllo della complicata relazione con il Sudan, «ma non deve essere per forza una relazione infruttuosa». Vista l’interessante posizione del Sudan, non è la strategia di isolamento a dover essere prescelta, ma «un impegno organizzato, ben meditato ed adeguatamente finanziato che potenzialmente assicuri un maggior progresso nelle relazioni bilaterali tra le due Nazioni e per i cittadini del Sudan stesso». Le sanzioni economiche, come altre misure punitive, sono un importante strumento, secondo gli autori del report, ma sono solo una parte della strategia complessiva.

Nonostante le burrascose relazioni diplomatiche tra i due Paesi, l’Amministrazione Obama ha deciso un cambio di rotta per «ricalibrare quella che potrebbe essere una relazione costruttiva in una parte critica del mondo». I passi in avanti che hanno portato alle recenti aperture devono essere più profondi e completi, scrivono nel report, ma comunque assicurano all’Amministrazione Trump «l’opportunità di crescere ed ampliare quel progresso che serve agli interessi degli USA – e supporta i sudanesi». Lo studio offre a questo scopo una serie di raccomandazioni rivolte alla politica a stelle e strisce sul come rendere più efficaci le relazioni con il Paese africano da quest’anno in avanti; nessuna politica di solo isolamento per massimizzare i risultati, ma qualcosa di più ampio e completo.

Le politiche passate non si sono dimostrate adeguate per il miglior interesse americano, si legge nel report; dall’anno di imposizione delle sanzioni, ad esempio, non c’è mai stato un ambasciatore americano in Sudan approvato dal Senato. «Gli USA dovrebbero chiarire che la nomina di un ambasciatore non connota l’accettazione delle politiche governative del Sudan ma, invece, intende facilitare un dialogo elevato e bilaterale per promuovere gli interessi americani». La presenza di un ambasciatore a Khartoum, in parallelo a quello che opera già in Sud Sudan, è uno dei passi consigliati all’Amministrazione Trump, insieme a quello di finanziare questo adeguamento con uno staff all’altezza di eseguire il mandato statunitense nella zona in questione. Secondariamente, si legge nel report, gli USA dovrebbero considerare le misure sanzionatorie «alla luce dei loro fini e con un occhio alle necessità che il progresso futuro potrebbe richiedere, tra cui la rimozione di alcune delle sanzioni rimanenti».

Tutto ciò senza smettere di controllare che il Sudan prosegua la sua strada verso il miglioramento dei cinque punti su cui da sempre l’America focalizza l’eventuale revoca delle proprie misure restrittive. Se poi il Sudan non dovesse fare miglioramenti in proposito, allora, «gli USA dovrebbero supportare politiche che regolarizzino, stabilizzino e facciano crescere la fragile economia dello Stato, che a sua volta cementificherà il progresso delle negoziazioni tra USA e Sudan». In ultimo, l’Atlantic Council parla di sostegno ai cittadini del Paese africano. «I problemi politici ed umanitari sono inestricabilmente connessi», si legge. Senza delle soluzioni politiche in questa direzione, non vi sarà una pace duratura in Sudan, quella pace di cui lo Stato ha tanto bisogno.

«La diplomazia americana dovrebbe proseguire anche in questa direzione, in coordinazione con i partner internazionali dell’African Union». Il Sudan storicamente ha sempre ricevuto aiuti nello sviluppo a lungo termine, ma il clima del Paese non l’ha resa un’impresa facile, né, tantomeno possibile. Come evidenzia il centro, gli USA dovrebbero dare priorità ai programmi che possano assistere decine di migliaia di sudanesi in settori incontrovertibilmente importanti quali la salute, l’educazione, l’agricoltura e la nutrizione.

Insomma, l’America dovrebbe sviluppare un dialogo maggiore con il Sudan per sfruttare al meglio i suoi stessi interessi. La parola chiave? Diplomazia. «La diplomazia è uno degli strumenti nazionali di sicurezza più forti a disposizione degli Stati Uniti», si legge nel report. La diplomazia, infatti, se ben usata, può dare al Paese la possibilità di «influenzare, persuadere o lusingare altre Nazioni a rendersi complici delle politiche vitali per gli USA». In Sudan, si palesa per l’America una delle grandi opportunità: migliorare le relazioni per un maggior dialogo ed una lotta efficace contro la violenza ed i problemi politici che affronta lo Stato africano; dialogo che può risultare di vitale importanza per gli Stati Uniti.