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Le infiltrazioni mafiose a Roma nella relazione della Dia

26 Luglio 2017

Camorra, ‘ndrangheta, cosa nostra. Business che vanno dalla droga alle scommesse fino al riciclaggio. Il rapporto del secondo semestre 2016 parla chiaro: la piovra nella Capitale si muove da decenni.

“A Roma la mafia esiste”Ma i giochi non sono ancora chiusi. Lo sa bene proprio Pignatone che, in attesa delle motivazioni della sentenza che dovrebbero essere depositate il 20 ottobre, si prepara a ricorrere in appello. L’ex numero uno della procura di Reggio Calabria, da anni impegnato contro la ‘ndrangheta, lo ha spiegato in diverse interviste, al Corriere della Sera e a Repubblica: «La sentenza ha riconosciuto la sussistenza di gravi fatti di violenza e corruzione. A Roma la mafia c’è».

«VA EVITATA UNA VISIONE AGONISTICA DEI PROCESSI». Per Pignatone va evitata «una visione agonistica dei processi. Comunque non mi sento sconfitto. È crimine organizzato, noi andremo avanti». E, ancora: «Non si può accettare l’idea che a Roma la corruzione sia un fatto normale o addirittura utile. Attendiamo le motivazioni della decisione, anche perché noi ci siamo mossi nel solco tracciato da precedenti e successive sentenze della Cassazione». Inoltre, ha aggiunto, «in questi anni abbiamo dimostrato che a Roma la mafia c’è, a differenza di quanto sostenuto in passato, e non solo per via del riciclaggio, ma anche nella gestione del traffico di droga, dell’usura e altri fenomeni criminali».

MAFIE CAPITALI. Anche Giovanni Fiandaca, professore di Diritto penale all’Università di Palermo, profondo conoscitore del mondo mafioso, lo ha ribadito in un’intervista a Radio Radicale: «Pignatone non ha affatto perso». Posizioni in controtendenza rispetto a diversi commenti apparsi in questi giorni sulla stampa, dove si è cercato di sminuire il maxi processo. «A Roma la mafia è una bufala» o di «cupola a Roma c’è solo quella di San Pietro». La Dia dice altro, perché al netto di Buzzi e Carminati, ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra a Roma e provincia ci sono entrate eccome. Gli investigatori lo sottolineano ricordando la conferma dell’operatività dei Casamonica e degli interessi che alcuni appartenenti alla Banda della Magliana hanno ancora «verso il settore degli stupefacenti, delle sale scommesse, del gioco d’azzardo e degli investimenti immobiliari».

Poi c’è il pregresso, la storia. Dagli interessi di Pippi Calò ad Angelo Consentino, referente a Roma del capomafia siciliano Stefano Bontate, fino ai camorristi Michele Zaza e Ciro Mariano. Già negli Anni 80 l’attuale procuratore capo di Perugia Luigi de Ficchy aveva sottolineato la presenza della mafia a Roma. In tempi più recenti, inizi Anni 2000, sono state le inchieste Appia e Mythos ad aver tracciato le attività della cosca Gallace di Guardavalle tra Anzio e Nettuno. Oppure gli interessi del clan Fasciani in quel di Ostia dove assieme ai Triassi, considerati luogotenenti del clan siciliano Cuntrera Caruana, hanno dettato legge sul litorale romano con il boss camorrista Michele Sense, detto o’ pazzo. Anche in questo caso, nonostante la condanna a 10 anni di reclusione per il ‘capofamiglia’ Carmine Fasciani, in giudizio sono cadute le accuse di mafia tipiche della formulazione dell’articolo 416 bis del codice penale. Però la Dia, nella relazione inviata mercoledì al Senato, rimarca come «la criminalità siciliana» sia «presente nel Lazio attraverso famiglie da tempo stanziatesi sul territorio, ove oggi operano elementi delle nuove generazioni portatrici di un imprinting mafioso stemperato dalle mire imprenditoriali ma, non per questo, meno pericoloso».

CONCORRENZA ANNIENTATA. Penalizzati sono quelli che seguono le regole. Si assiste, appuntano gli investigatori della Dia, all’adozione di strategie volte a sbaragliare al concorrenza, in modo da favorire le aziende direttamente o indirettamente gestite dai soggetti delle organizzazioni criminali. Fino ad arrivare a «comportamenti estorsivi che incidono negativamente sul rendimento dell’impresa vessata da prelievi forzosi». Una conferma in questo senso è arrivata lo scorso novembre con l’arresto di sei persone riconducibili ai clan siciliani Mazzei-Carcagnusi, tra cui un latitante già condannato per associazione mafiosa trovato nell’hinterland romano. Allo stesso modo, sempre lasciando da parte la banda del «mondo di mezzo», Roma ha visto in questi anni sequestri e confische di locali alla moda e ristoranti riconducibili ai clan della criminalità organizzata calabrese, come il Cafè de Paris o il Pantheon, nella disponibilità del clan Alvaro di Sinopoli.

SEQUESTRI PER 1 MLD E MEZZO. Le mafie a Roma, dove la stessa Dia negli ultimi cinque anni ha sequestrato patrimoni per 1 miliardo e mezzo di euro, sono soprattutto impegnate nell’ambito del riciclaggio del denaro sporco che frutta dal narcotraffico. Quando nella Capitale si parla di fornitura di droga il fornitore è uno: la ‘ndrangheta. E quando si sgarra si paga. Come è capitato a Vincenzo Femia determinato a mettersi in proprio sulla piazza romana senza fare i conti con il cartello di clan di San Luca. È stato ucciso il 24 gennaio del 2013 da Giovanni Cretarola, che iniziò la collaborazione con la giustizia facendo aprire una indagine a carico di 37 persone legate ai clan calabresi. I miliardi di euro incassati dalla droga diventano appunto locali, imprese, società di costruzioni e piccole finanziarie. Insomma, si può dire che a Roma, nonostante il primo grado del processo sulla cosiddetta «mafia capitale», la mafia esiste. E se non è romana de Roma, si è radicata con i clan delle altre regioni.. La Direzione Investigativa antimafia diretta dal generale di divisione Nunzio Antonio Ferla, a dispetto di quanti hanno dato la Capitale per “immacolata” dopo la pronuncia della sentenza di quella che era stata ribattezzata «mafia Capitale», lo sottolinea sciorinando indagini e mappe scaturite dalle attività del secondo semestre 2016. La sentenza del tribunale di Roma che ha fatto cadere le accuse di mafia nei confronti della banda di Carminati e Buzzi è di pochi giorni fa, ma gli investigatori della Dia (organismo interforze tra polizia, Guardia di finanza e Carabinieri) ha riservato un intero paragrafo alle infiltrazioni della criminalità organizzata a Roma, che di certo non si esauriscono con la sola inchiesta sulla cosiddetta «mafia capitale» portata avanti in Aula dal procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e dall’aggiunto Paolo Ielo.

CONDANNE PESANTI. Ai limiti dell’isteria ci si è dimenticati che nonostante la caduta dell’aggravante mafiosa, Massimo Carminati e Salvatore Buzzi sono stati condannati per associazione a delinquere semplice rispettivamente a 20 e 19 anni di carcere in primo grado. Il “Cecato” è uscito da pochi giorni dal regime di carcere duro, il 41 bis, e il suo avvocato Ippolita Naso in un’intervista al Dubbio ha parlato di una «vittoria nostra o forse una sconfitta della Procura, che su quest’indagine dalla grande eco mediatica aveva puntato molto».