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Iran, Turchia, Israele: guerra fredda a tutto gas

16 Luglio 2017

È l’11 giugno. Il sito di ‘Press Tv’, la televisione di stato iraniana in lingua inglese, ipotizza una futura guerra dell’acqua nella regione. Il ministro iraniano dell’Energia, Hedayat Fahmi, interviene per parlare del Gap Project turco. Una serie di dighe sul Tigri ed Eufrate, nella regione sud orientale dell’Anatolia, che hanno ridotto l’afflusso di acqua nei paesi a valle dei due fiumi: Siria e Iraq. Il ministro iraniano precisa che è l’Iran a occuparsi del problema perché gli altri due paesi al momento ne hanno di più gravi. Alla fine di giugno ‘Press Tv’ torna ancora sul tema accusando la Turchia di gravi danni ambientali.

L’acqua è solo una delle questioni aperte tra Ankara e Teheran. Nella guerra civile siriana le due capitali sembrano avere trovato una forma di accordo al tavolo dei negoziati di Astana, in Kazakistan. Ma l’equilibrio è fragile.

Il controllo dell’acqua nella regione non è l’unica arma in mano al presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Se l’Iran spartisce con il Qatar il più grande bacino di gas naturale nel Golfo Persico, la Turchia è un passaggio quasi obbligato per i gasdotti verso l’Europa. Quasi obbligato, perché Teheran avrebbe un’idea alternativa: un gasdotto che attraversa Iraq, Siria ed eventualmente il Libano, senza passare per la Turchia.

Certo, il fatto che Siria e Iraq siano esposti al ricatto turco dell’acqua, complica i piani iraniani.

La Turchia non è un produttore di gas. Per portarlo in Europa, lo deve prendere da altri paesi.

Il primo potrebbe essere il Qatar: è ovvio che nella disputa che divide Doha dagli altri paesi del Golfo, Erdogan abbia preso le sue parti. Lo ha fatto in grande stile mandando truppe turche nella base militare inaugurata in Qatar un anno prima.

Il secondo fornitore della Turchia potrebbe essere Israele, uno dei migliori nemici dell’Iran.

Pochi giorni fa, il 12 luglio, il ministro israeliano dell’Energia, Yuval Steinitz, ha annunciato alla stampa che la controparte turca, Berat Albayrak, sarà in visita in Israele entro la fine dell’anno. Motivo: concludere un accordo per la costruzione di un gasdotto tra i due paesi. Albayrak è il genero di Erdogan. Secondo inviperiti media turchi sarebbe in contatto quasi quotidiano su ‘WhatsApp’ con ufficiali israeliani.

L’entrata di Gerusalemme nella mappa regionale del gas cambierebbe le carte in tavola per tutti. Israele ha già firmato con la Giordania accordi preliminari per l’esportazione di gas naturale dal bacino Leviathan, al largo delle sue coste. Secondo il quotidiano israeliano ‘Haaretz’, agli inizi di quest’anno il passaggio di gas oltre confine avrebbe già iniziato. Non direttamente, ma utilizzando una società americana di facciata. Gli arabi si muovono con cautela quando scendono ad accordi con il governo di Gerusalemme. La rete di gasdotti israeliana è già collegata a quella delle compagnie giordane Arab Potash e Jordan Bromine. La via che porterebbe il gas del Qatar in Turchia è parzialmente spianata.

L’unico neo sarebbe una probabile opposizione di Cipro: il gasdotto Turchia Israele dovrebbe passare per le sue acque territoriali. Turchi e ciprioti si sono incontrati alla fine di giugno per risolvere le dispute che dividono l’isola in due da oltre 40 anni: i colloqui sotto l’egida dell’Onu sono ancora una volta falliti.

A dire il vero, nel risiko del gas mediorientale, ci sarebbe anche un altro progetto, cui partecipa il nostro paese. Un gasdotto che da Israele dovrebbe passare da Cipro, Grecia e Italia tagliando fuori la Turchia. La società che lo sovrintende è italiana, la Igi Poseidon, come italiano è uno dei partner, l’Edison. L’accordo preliminare tra le parti è stato firmato in aprile. Il gasdotto coprirà una distanza di 3.500 chilometri. Per raggiungere l’Italia bisognerà spendere oltre sei miliardi di euro. Se ne parlerà nel 2020, quando verrà presa la decisione finale sull’investimento. La Turchia deve fare in fretta a siglare l’accordo con Israele: Erdogan ha già pensato di mandare avanti il genero.

In Europa oggi arriva solo gas russo. Tutti gli altri gasdotti per ora sono solo sulle mappe. Ma valgono miliardi di dollari e hanno già fatto centinaia di migliaia di morti in Medio Oriente. I russi, impegnati militarmente in Siria, mantengono un canale aperto di dialogo con tutti i protagonisti della partita del gas: Iran, Turchia e Israele.

Una piccola nota, quasi irrilevante nel quadro generale: nessuno di questi gasdotti toccherà la Cisgiordania. Mentre la leadership palestinese si culla con le risoluzioni dell’Unesco, l’economia della regione sta per tagliare fuori il futuro stato palestinese prima che sorga. Anche l’Egitto di Al Sisi ha voltato le spalle al presidente palestinese Abu Mazen. In questi giorni sta scendendo a patti con Hamas, il movimento islamico palestinese che da dieci anni controlla la Striscia di Gaza. È da qui che passava il gasdotto egiziano diretto in Israele via mare. In passato era stato più volte attaccato nei pressi di Al Arish, a pochi passi dall’enclave palestinese. Nel 2012, sotto la presidenza del Fratello Musulmano Al Mursi, il gasdotto aveva smesso di esportare in Israele. In questo momento è l’Egitto ad avere bisogno di gas. Al Sisi sa che deve controllare la situazione a Gaza per partecipare ai grandi progetti regionali. Anche perché al largo delle coste egiziane, in prossimità del Sinai, l’italiana Eni nel 2015 ha scoperto un giacimento di 30 trilioni di piedi cubi di gas.

In marzo una delegazione israeliana ha fatto tappa al Cairo per discutere la costruzione di un nuovo gasdotto, questa volta dal bacino Tamar, nel nord di Israele. I colloqui, come al solito, continueranno in gran segreto. Per la piazza araba, come per quella turca, Israele è ufficialmente un paria regionale con il quale nessuno ha rapporti. Ma se di mezzo ci sono gli interessi, la causa palestinese può attendere.