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Il Myanmar e lo sviluppo: non è tutto oro quel che luccica

31 Luglio 2017

Gli investitori stranieri sostengono l’economia del Myanmar ma le condizioni del Diritto ed il rispetto del lavoro minorile o delle etnie minoritarie sono ancora terreni tutti da ammodernare e portare al passo coi tempi del resto del Mondo


Il Myanmar oggi è una realtà politica, sociale ed economica che sta sorprendendo molti, nel Mondo, per la sua capacità di crescere e svilupparsi rapidamente. Anzi, alla luce del fatto che per la gran parte del Tempo recente, il Paese sia stato soggiogato dalla dittatura militare e tenuto fuori dai circoli dello sviluppo globale, il moderno Myanmar giganteggia, dopo aver riconquistato la sua dimensione democratica, aver restituito senso e dignità alla sua leader politica nazionale, ovvero il Premio Nobel per la Pace ’91 Aung San Suu Kyi e dando solo uno sguardo alla gioventù birmana, così simile nel suo aspetto e nei suoi consumi alla gioventù di ogni angolo del Pianeta, tra una bottiglietta di Coca Cola, un I-Phone ed un jeans.

I consumatori ed i lavoratori del mercato interno birmano sorridono constatando la mole degli investimenti stranieri che sostengono lo sviluppo dell’economia nazionale, ne traggono vantaggio le multinazionali ed i Paesi che finora hanno investito in Myanmar e ne gode certamente la società, l’economia e lo sviluppo del Paese. Allo stesso tempo, però, oggi ci si interroga anche sul fatto che –proprio quell’immenso ammontare di investimenti diretti stranieri- non siano oggi una specie di appoggio esterno anche per aspetti estremamente negativi del Myanmar come lo sfruttamento nel mondo della produzione oppure alla palese violazione dei Diritti Umani che viene perpetrata in specie nei confronti delle minoranze etniche e religiose del Myanmar.

E questo tipo di riflessioni, oggi, campeggia in special modo nella Nazione che si è fatta capofila nell’irrigidire le sanzioni internazionali contro il Myanmar quando c’era la giunta militare al comando fino a comprendere l’Amministrazione di Barak Obama e che oggi è capofila –invece- nell’implementare gli investimenti diretti stranieri a sostegno dello sviluppo economico e sociale della ex Birmania, ovvero gli Stati Uniti.

I cambiamenti politici che hanno preceduto l’afflusso di investimenti stranieri sono stati davvero stupefacenti. La libertà di associazione è stata resa legale nel 2012 e sono state notevolmente ridotte le limitazioni gravi sulla libertà di espressione. Il 2015 ha anche segnato le prime elezioni libere e senza alcun controllo da parte di militari o entità terze nel Paese in oltre 50 anni, con la conseguente vittoria spettacolare del partito di opposizione cioè la Lega Nazionale per la Democrazia NLD di Aung San Suu Kyi. Cambiamenti epocali, insomma.

E tutti questi cambiamenti storici hanno condotto il Governo degli Stati Uniti a ridurre significativamente il regime di sanzioni economiche contro la Birmania nel 2012. Questa mossa ha reso l’economia in rapida espansione della Birmania ancora più attraente per tutte le aziende occidentali e dei Paesi a sviluppo avanzato, soprattutto le stesse aziende americane.

Bisogna essere sinceri fino in fondo, però: non è tutto oro quel che luccica. La trasformazione politica della Birmania è tutt’altro che completa e in alcune aree del Paese, soprattutto quelle più “periferiche” è giunta fiacca ed impallidita rispetto ai fasti della Capitale o dei maggiori centri economici e commerciali. Il lavoro minorile e persino certe forme di lavoro compulsivo continuano ad essere dilaganti in tutto il Paese, attualmente è pari a circa il 10% della intera forza lavoro.

Le minoranze etniche non-birmane ed i membri sindacali continuano ad affrontare –ancor oggi- la truce discriminazione sul posto di lavoro. Le espropriazioni terriere effettuate dal Governo, spesso in assenza di adeguate compensazioni, hanno colpito indiscriminatamente birmani e non-birmani. Il debole stato del Diritto nel Paese e gli inefficaci meccanismi che regolamentano le controversie hanno forzosamente condotto il processo al punto attuale nel quale molte di queste conflittualità vengano risolte con mezzi etra-giudiziali o del tutto al di fuori dei canoni di Diritto, talvolta coinvolgendo la violenza, minando così, ulteriormente il processo di riforma generale del Paese.

In questo scenario, gli investitori stranieri possono essere parte della soluzione o parte del problema. Da un lato, è facile immaginare uno scenario in cui le aziende multinazionali riescano così a mantenere bassi i costi di produzione, diventando però, complici nei processi di espropriazione forzosa dei terreni o nella diffusione dei sistemi di lavoro compulsivi. Questo tipo di comportamento è stato documentato come uno dei principali motivi per cui gli sforzi iniziali nella direzione della riforma in Birmania (e altrove nel mondo in via di sviluppo) sono stati fortemente scoraggiati.

Da un’altra parte, si può dire che proprio grazie agli investitori multinazionali si possono importare in Myanmar robusti meccanismi di rivalità interna (nella forma di più trasparente e corretta competitività) e di stato di Diritto che potranno riverberarsi in tutta l’economia birmana, servendo da modello di riferimento e definendo uno standard per le pratiche commerciali trasparenti e affidabili nell’intero Paese.

Il Governo degli Stati Uniti ha optato decisamente nella direzione del garantire che gli investitori americani prendano quest’ultima strada, ovvero innalzare l’affidabilità e la applicazione delle più alte sfere del Diritto Internazionale anche e non solo in materia di Diritti Umani. A tal fine, il Dipartimento di Stato ha emesso una lista vera e propria di obblighi da divulgare racchiusi in un documento di riferimento denominato “Requisiti nel reporting” da intendersi come condizione preliminare per investire in Myanmar.

I requisiti stabiliscono che i nuovi investitori rendano pubbliche le politiche nel novero della loro operatività sul territorio birmano per ridurre al minimo le violazioni dei Diritti Umani, nonché la misura in cui tali politiche si applicano ai partner locali ed ai fornitori. Gli investitori devono anche riferire sulle procedure adottate per verificare la proprietà dei terreni nelle proprie posizioni nel Paese. I requisiti sono attualmente in fase di revisione interna e c’è un pericolo reale che il Dipartimento di Stato possa effettivamente revisionare o emendare parte dei requisiti descritti nel documento governativo procedurale USA.