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Gerusalemme massacrata


di Antonietta Chiodo, ProMosaik. Luglio 2017. Ciò che sta
avvenendo nel territorio palestinese in questi ultimi giorni potrebbe essere
definito come un’indescrivibile vergogna umanitaria che, per come la penso, ha
raggiunto livelli inammissibili ormai da troppo tempo.

Come responsabile e
ideatrice del progetto “La PACE dei BIMBI”, e come reporter indipendente, quest’anno
ho svolto, per un periodo di quasi tre mesi, un lavoro delicato con un gruppo
di venti ragazzini di un villaggio della Cisgiordania chiamato Yaqo, situato nei
pressi di un insediamento israeliano.

In queste ultime
ore, i massacri nella città di Gerusalemme stanno lasciando sbigottita la
popolazione occidentale, che osserva in silenzio gli uomini – i quali chiedono
semplicemente il rispetto del loro culto e dei luoghi ad esso dedicati, come la
moschea di Al Aqsa e la Spianata delle Moschee – brutalmente presi a calci e
colpi di manganello mentre sono raccolti in preghiera.
Da tempo l’esercito
israeliano sembra aver intrapreso una campagna di odio e di oppressione allo
scopo di ottenere la supremazia su una terra resa ormai arida dall’eradicazione
degli ulivi e dalla distruzione della vegetazione, andando così a colpire i
contadini, le donne e i bambini.
Nelle ultime ore il
bilancio è salito a 3 morti e 200 feriti palestinesi nella zona est di
Gerusalemme, mentre il quotidiano israeliano Haaretz parla di 3 coloni
israeliani accoltellati e uccisi nell’insediamento di Halamish. Le salme dei 3
palestinesi sono state immediatamente sepolte per evitare violazioni da parte
dell’esercito israeliano.
Mentre nei villaggi
che circondano le grandi città palestinesi le incursioni notturne sono ormai all’ordine
del giorno, nel villaggio di Toqu i morti salgono a due: ragazzi poco più che
ventenni uccisi dal fuoco militare senza giusta causa.
Considerato che
questa violenza non risponde ad alcuna logica, e che si assiste, attraverso i
media nazionali e internazionali, ad un’ondata di follia che dilaga non solo a
Gerusalemme, ma in tutta la Cisgiordania occupata, gli adulti del villaggio,
tra cui insegnanti e assistenti sociali, cercano di proteggere i più giovani
tenendoli lontano dalle strade.
Mentre i militari
lanciano gas chimici, la popolazione, riparandosi sotto gli ulivi, prova a
difendersi a colpi di pietre.
Come molti altri villaggi
in queste zone, anche Toqu denuncia la mancata tutela da parte dell’ANP – come
spesso e volentieri accade anche durante gli scontri che vedono coinvolti
esclusivamente i minori. Inoltre, la polizia palestinese non sembra
intenzionata ad intervenire nel gioco di forza imposto da Israele.
Nei mesi che mi
hanno visto impegnata in territorio palestinese, sia io, come responsabile e
ideatrice del progetto, che i miei collaboratori palestinesi siamo stati lasciati
totalmente soli e trascurati da molte associazioni e Ong italiane.
In quei giorni abbiamo
vissuto gli scontri provocati dallo sciopero “degli stomaci vuoti” nelle
carceri; abbiamo visto l’arrivo di Trump, come sempre plateale, con conseguenti
blocchi stradali e controlli armati; abbiamo letto sui giornali, dopo il suo
rientro negli Stati Uniti, della stretta di mano con Abu Mazen per il rispetto
dei diritti dei detenuti, taciti accordi non chiari neanche alla stessa
popolazione palestinese. Abbiamo dovuto proteggere i nostri ragazzi dai
fumogeni lanciati direttamente nelle aule delle scuole pubbliche a ridosso dei
villaggi. Due dei bambini del nostro progetto sono stati incarcerati per giorni
senza alcuna accusa formale.
Nel piccolo
ministero della città di Toqu c’è una stanza con grandi scrivanie e sedie, in
cui per parecchie ore ci siamo confrontati, e con i nostri ragazzi abbiamo
inventato storie e disegnato per sfuggire a tutto questo, leggendo l’assenza
nei loro occhi, ascoltando il loro bisogno di capire e gestendo la loro
diffidenza, tramutatasi poi in profonda amicizia. Nel gruppo vi è Ammer, un
ragazzino di tredici anni, di statura piccola ma con grandi occhi verdi. Ogni
volta che vedeva i colori sulle scrivanie, Ammer si appartava in un angolo
della stanza rifiutandosi di disegnare, mi osservava da lontano e scriveva i
suoi pensieri su fogli volanti per fare uscire il dolore che, seppur così
piccolo, da anni porta dentro: il ricordo del corpo di suo zio, ucciso dai
militari israeliani, che è stato costretto a tenere tra le braccia sino
all’ultimo istante.
Questi ragazzi sono
stati obbligati a crescere troppo in fretta e la violazione dei diritti umani e
la mancata protezione di questi bambini da parte dell’ Onu fa sì che il futuro
vacilli, portando la loro psiche a non credere nel prossimo; arrancando nell’unico
chiaro messaggio che gli viene inviato dalla comunità occidentale: “ Alzati e
impegnati a sopravvivere”.
Il potere armato e
i governi delle guerre sono ormai signori dell’ombra; continuano, e
continueranno in futuro, a sovrastare e annientare qualsiasi forma di ideale
che non li rappresenti, con atti che a chiunque potrebbero apparire innaturali.
Possiamo lasciare
che tutto il peso della colpa ricada sulle spalle di uno Stato sionista come
Israele? No. La responsabilità del rischio, sempre più vicino, della fine di un
popolo, sono convinta debba essere pienamente condivisa non solo dagli Stati
occidentali che hanno permesso in tutti questi anni la tacita violazione dei
diritti umani, ma anche da quella parte di popolazione che ha lasciato che la
globalizzazione infettasse i propri ideali, divenendo in tal modo silenziosi
discepoli di una carità europea.
Mi sono trovata,
come molti altri colleghi, a denunciare la supremazia di molte associazioni
europee sorrette politicamente, sia internamente che esternamente, ma anche lo
sfruttamento a livello volontario dei palestinesi e il monopolio delle
sovvenzioni internazionali che hanno reso la Palestina un’inconsapevole schiava
di sé stessa.
Come descritto
anche nel nostro libro, “La PACE dei BIMBI” è stato sin dall’inizio un progetto
dedito a restituire sogni e aspirazioni a ragazzini a cui è stata strappata
l’infanzia; ragazzini a cui la politica è stata spiegata troppo presto, mentre
a quell’ età l’unico vero ideale dovrebbe rammentare la speranza di poter
volare alti, più alti della aquile, sfiorando le nuvole, salvandosi così dalla
follia guerrafondaia degli adulti.