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Cuba e l’immagine degli USA in America Latina

12 Luglio 2017

Il passo indietro di Trump sull’embargo cubano rischia di essere controproducente

Nel dicembre del 2014, l’allora Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, dichiarò che, per la prima volta dal 1962, Washington avrebbe riaperto i rapporti diplomatici con Cuba e posto fine all’embargo.

La notizia fece il giro del mondo: Obama, assieme al Presidente di Cuba, Raúl Castro, era l’uomo del momento, colui che era stato in grado di superare una impasse lunga più di cinquant’anni. I rapporti tra Cuba e gli USA, infatti, avevano cominciato ad incrinarsi già nel 1959, anno della vittoriosa rivoluzione di Fidel Castro, fratello dell’attuale Presidente, e Ernesto ‘Che’ Guevara. Dopo la rivoluzione del ’59 e la fuga del dittatore Fulgencio Batista, la piccola Cuba si era avvicinata sempre più all’Unione Sovietica fino a divenire una Repubblica Socialista. Il sostegno iniziale di Washington a Batista e l’azione delle grandi aziende statunitensi che controllavano tutte le principali risorse dell’isola contribuirono a spingere il Governo rivoluzionario, che in un primo momento non era così filo-sovietico, in quella direzione: a sua volta, la nazionalizzazione delle industrie, con conseguente esproprio di proprietà delle grandi aziende USA, voluta da L’Avana provocò la reazione del potente vicino.

Nel 1961 si ebbe lo sbarco alla Baia dei Porci: il tentativo di un gruppo di fuoriusciti, sostenuti dal Governo degli Stati Uniti, di invadere l’isola ed abbattere abbattere Fidel Castro. Il tentativo fallì e sancì definitivamente l’ingresso di Cuba nella sfera di influenza sovietica. L’anno seguente, lo stesso in cui entrò in vigore l’embargo, ci fu la crisi dei missili di Cuba che sembrò sul punto di trasformare la Guerra Fredda in una guerra nucleare e tenne il mondo intero con il fiato sospeso.

Da allora, i rapporti tra i due Paesi sono stati tesi: da un lato gli Stati Uniti garantivano accoglienza e sostegno agli oppositori del Governo di L’Avana e tenevano ben stretto il nodo dell’embargo, dall’altro, Cuba si appoggiava all’Unione Sovietica per garantirsi un sostentamento economico altrimenti molto difficile; da parte sua, l’Unione Sovietica era ben lieta di sostenere un alleato così vicino alle coste del proprio nemico.

La situazione cambiò nel 1989 con la caduta del blocco sovietico: a questo punto Cuba si trovò veramente isolata ma, anziché tornare sui suoi passi e cedere alla potenza statunitense, L’Avana divenne l’ultimo baluardo della rivoluzione socialista. Questi furono gli anni più duri per l’isola che, privata dell’appoggio di Mosca, dovette vivere chiusa in sé stessa e schiacciata dall’embargo. Questo fino all’apertura di Obama che, oramai a fine mandato, ha voluto lasciare il suo segno nei rapporti politici tra i due Paesi: da allora Cuba ha cominciato gradualmente ad aprirsi al turismo statunitense e a nuovi investitori che, se da un lato rischiano di fagocitare l’isola e trasformarla in una sorta di grande resort, dall’altro hanno iniettato nella popolazione caraibica un forte entusiasmo per la fine di un’era.

L’entusiasmo è stato spezzato dal cambio di guardia alla Casa Bianca. Con l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti, si è subito temuto che sulla questione sarebbero stati fatti dei passi indietro.

In effetti, il 16 giugno del 2017, Trump ha dichiarato che gli USA non possono abrogare l’embargo contro un regime intollerabile come quello di L’Avana. Certamente bisogna tener conto del fatto che il discorso è stato tenuto a Miami, alla presenza di numerosi esiliati cubani che, da sempre, rappresentano un ghiotto bacino di voti (in particolar modo per i repubblicani); inoltre va tenuto presente che, nonostante le dichiarazioni di intenti di Obama, per l’effettiva abrogazione dell’embargo sarebbe necessario il voto favorevole del Congresso che, adesso come allora, è tutt’altro che scontato.

In ogni caso, le dichiarazioni di Trump rischiano di avere effetti negativi per la politica statunitense in America Latina. Negli ultimi anni, infatti, il ruolo politico di Cuba nell’area caraibica si è rafforzato notevolmente: superati i giorni più duri seguiti alla caduta dell’Unione Sovietica e all’isolamento che ne è derivato, la piccola Repubblica è tornata nuovamente ad essere un attore importante.

In primo luogo, si pensi al forte rapporto che lega Cuba al Venezuela: l’amicizia e la stima personale tra Fidel Castro e il Presidente venezuelano Hugo Chávez era, al contempo, un’alleanza politica che è perdurata con i successori, Raúl Castro e Nicolás Maduro. La stretta relazione che lega Cuba al Venezuela diviene tanto più importante ora che Caracas attraversa una crisi senza precedenti: con il Presidente Maduro che tenta di far approvare una riforma costituzionale contestatissima e quotidiani scontri di piazza che sono costati ormai decine di morti, la situazione del Paese è estremamente delicata.

Al vertice dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), tenutosi a Cancún, il 20 giugno 2017, il Venezuela ha rifiutato ogni proposta di mediazione arrivando ad accusare la stessa OSA di essere uno strumento nelle mani degli Stati Uniti per interferire negli affari interni del Paese. La scelta del Venezuela di uscire dall’OSA è certamente stata favorita dal fatto che Cuba, sua principale alleata, non faccia parte dell’Organizzazione, dalla quale è stata espulsa nel 1962.

Un altro esempio del ruolo giocato da Cuba nell’area è l’accordo raggiunto tra il Governo della Colombia e le Fuezas Armadas Revolicionarias de Colombia (FARC: Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), l’esercito paramilitare di ispirazione marxista che, a partire dal 1964, ha condotto una violenta guerriglia contro il Governo di Bogotá.

Lo storico accordo per il cessate il fuoco è stato possibile grazie all’iniziativa cubana che, a partire dal 2012, ha favorito i colloqui di pace tra le parti in conflitto. Il risultato, seppur storico, non è però totalmente raggiunto: se le FARC, la principale formazione della guerriglia, hanno firmato gli accordi, altri gruppi, primo tra tutti l’Ejército de Liberación Nacional (ELN: Esercito di Liberazione Nazionale), non ha accettato di consegnare le armi.

A questo ruolo effettivo di Cuba nella diplomazia dell’America Latina, va aggiunto il ruolo di L’Avana nell’immaginario dell’America Latina. Tra gli abitanti di questa parte del mondo, infatti, l’immagine di Cuba è diametralmente opposta a quella degli Stati Uniti: se da un lato gli USA sono percepiti come il vicino, ricco, potente ed arrogante che tenta di imporre i propri interessi ai Paesi latini in maniera più o meno occulta (è ancora viva la memoria del sostegno economico, politico e militare fornito dagli USA a numerose dittature militari che hanno insanguinato molti Paesi latino-americani: solo per citare un esempio, si pensi al Cile di Augusto Pinochet, ma la lista è lunga e si può risalire fino al XIX secolo), dall’altro Cuba è percepita come il piccolo, eroico Paese latino che resiste all’avanzata degli interessi yankee.

La decisione di tornare indietro sul disgelo con Cuba, quindi, potrebbe avere effetti indesiderati per gli Stati Uniti sia sul piano pratico, ad esempio contribuendo all’isolamento del Venezuela e alla recrudescenza della crisi per il Paese o tagliando fuori un interlocutore utile a risolvere focolai di crisi nell’area, sia sul piano dei rapporti con le popolazioni latino-americane, confermando l’immagine poco lusinghiera che queste hanno dei loro cugini del nord.