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Caro Renzi, la cooperazione non è la risposta all’immigrazione

14 Luglio 2017

La cooperazione negli ultimi 30 ha fallito il suo obiettivo di sviluppo nel Terzo Mondo; l’unico strumento in grado di creare benessere è l’industrializzazione, che stanno portando Cina e Russia, non l’Italia, non l’Europa

I cacofonici tentativi del Governo italiano di diminuire i flussi migratori dall’Africa stanno creando in queste ultime settimane una situazione paradossale e altamente strumentalizzata a livello politico. Ogni schieramento politico lancia proposte che apparentemente potrebbero risolvere il problema. Proposte che sembrano ragionevoli per il cittadino comune ignaro della realtà in quanto politici e media nazionali abdicano al loro dovere di informarlo correttamente e inquadrare il fenomeno migratorio sui corretti binari informativi e di soluzioni logiche, che tutelino sia i cittadini italiani che i fratelli immigrati.

Non entriamo nel merito dei distinguo tra rifugiati e immigrati economici né, tantomeno, di dubbiosi accordi che il Governo italiano sta tentando di portare a termine con bande di beduini e tagliagole in Libia e Sudan, che avranno il solo effetto di aumentare il numero di vittime tra gli immigrati che tentano di giungere le coste del Mediterraneo, rafforzando un regime disumano nel Sudan (quello del dittatore Omar El Bashir, Paese dal quale passa il ‘tragitto della morte‘) e di armare nuove fazioni e milizie tribali in Libia che per logica allontaneranno di decenni la possibilità per il Paese africano di ritrovare pace e stabilità.

Limitiamoci ad analizzare un cavallo di battaglia di Matteo Renzi, sempre più vittima di consensi elettorali proprio a causa del ‘problema’ immigrazione. Un cavallo di battaglia preso in prestito dalla destra che da dieci anni lo presenta come la soluzione finale alla ipotetica invasione dei ‘disperati‘ del Terzo Mondo. «Serve il numero chiuso. Aiutiamoli a casa loro», dice Matteo Renzi. Una proposta presentata come una bacchetta magica per risolvere l’aumento dei flussi migratori, ma basata su falsità ben note non solo agli esperti del settore, ma anche dai nostri politici che siano della attuale o della futura maggioranza di Governo.

Il concetto di ‘numero chiuso‘ potrebbe essere una ragionevole soluzione solo se regolamentata da accordi bilaterali tra Stati, accordi capaci di abbinare la necessità del capitalismo europeo di avere mano d’opera e la tutela di chi intenda immigrare per cercare nuove opportunità occupazionali. L’associazione flussi migratori e richiesta di mano d’opera non rappresenta di certo una novità. Fu applicata a partire dal primo decennio del Novecento in Belgio, Germania e Stati Uniti. Gli immigrati economici (tanti gli italiani) giungevano in questi Paesi in piena crescita economica ma carenti di mano d’opera. Il loro arrivo era regolamentato dagli accordi bilaterali tra Stati. Viaggiavano regolarmente e una volta giunti a destinazione gli attendeva un lavoro, duro, certo, ma pur sempre una garanzia di dignità. Questi accordi di regolamentazione dei flussi economici evitarono che centinaia di migliaia di italiani diventassero vittime delle mafie locali, della micro-criminalità e le loro moglie divenissero delle prostitute di strada.

Questi accordi non risolsero immediatamente i sentimenti razzisti nutriti da americani, belgi e tedeschi nei confronti dei ‘buoni a nulla’ italiani, ma permisero ai nostri disperati in fuga dalla povertà di accedere ad una vita dignitosa, poiché solo il lavoro garantisce all’immigrato la dignità umano che gli spetta per diritto e salvaguarda l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale del Paese ospitante. I pregiudizi razziali contro i ‘bastardi italiani’ sparirono gradualmente, proprio perché a quei immigrati, spesso semi-analfabeti, non furono offerte misure repressive o assistenzialismo caritatevole ma lavoro, concordato e regolamentato da quote che rispondevano alle necessità del mondo imprenditoriale del Paese ospitante.

Se l’attuale Governo per quote intende seguire le politiche migratorie del Primo Novecento attuate nei Paesi occidentali dell’abbondanza, allora è sulla strada giusta, e riuscirà ad evitare le migliaia di vite innocente perse non solo nelle fredde acque del Mediterraneo, ma nelle roventi sabbie dei deserti nigerini, maliani, sudanesi e libici.

Certo che le quote abbinate alla richiesta di mano d’opera genereranno un flusso minore di immigrati rispetto agli Stati Uniti, Belgio e Germania dell’inizio Novecento, in quanto ora l’Italia non si trova di certo in una fase di crescita economica, sana e bilanciata. Avranno, comunque, le quote, il pregio di regolamentare flussi migratori ora anarchici, distruggere il mercato controllato dalle mafie occidentali e dalle organizzazioni terroristiche salafite (spesso soci d’affari) e renderanno la prima accoglienza gestita dalle nostre ONG più efficace e meno assistenzialistica.

Le quote devono essere abbinate ad uno sviluppo nei Paesi africani di maggior immigrazione verso le nostre coste. Si contano sulle dita della mano destra questi Paesi, quindi il compito potrebbe risultare facile. Etiopia, Eritrea, Senegal, Nigeria, Mali, Ghana, e pochi altri. La maggioranza dei Paesi africani (che i nostri media continuano a presentarci come ‘Stati falliti’, abitati dagli ultimi dannati della terra) conoscono uno sviluppo economico annuo del 6% e da almeno sei anni i loro cittadini non immigrano più nella ‘povera Europa‘ e soprattutto nel nostro Paese che, tecnicamente, è classificabile come ‘Failed State’ (Stato Fallito) alla pari di Grecia, Spagna e Portogallo.

Il Governo italiano -e Renzi, visto che stiamo rispondendo alla sua ‘considerazione’ di questi giorni- individua nella Cooperazione Internazionale la soluzione più efficace per garantire uno sviluppo economico in grado di aumentare il tenore di vita nei Paesi africani di origine degli attuali flussi migratori in modo che i ‘negri stiano felici a casa propria’. Purtroppo questa soluzione si basa sull’atroce falsità di cui ogni Governo italiano dal 1996 in poi è pienamente cosciente. La cooperazione negli ultimi trentanni ha fallito il suo obiettivo originario di creare le condizioni di sviluppo nel Terzo Mondo, nonostante i miliardi di dollari spesi ogni anno. Al contrario, ha creato una casta di ‘baroni‘, di pseudo-esperti (gli uni e gli altri con stipendi mensili totalmente fuori dalla realtà e moralmente ingiustificabili) e un ridotta ma utile valvola di sfogo per nostri giovani laureati spesso tanto inesperti quanto arroganti nei Paesi del Terzo Mondo.

Non desidero entrare nei mille segreti di questa mala-cooperazione, in quanto non è mia intenzione scrivere, almeno al momento (magari, un giorno, si vedrà) un dossier sui mille scandali (anche recentissimi) che accompagnano la Cooperazione Internazionale. Per offrire un quadro equilibrato della situazione basta ricordare che dopo 40 anni di ‘Aiuti Umanitari’ non un solo problema è stato risolto nei Paesi beneficiari.

La situazione ora si fa ancora più caotica in quanto la nuova Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), figlia della legge di riforma della cooperazione (125/2014) che e ha iniziato ad operare nel gennaio del 2016, non è, al momento, uno strumento professionale, stabile ed efficace per promuovere complessi piani di sviluppo tesi a diminuire i flussi migratori.

Dal gennaio 2016, quando la AICS entrò in funzione, questa agenzia è ancora priva di regole amministrative trasparenti per gestire il denaro pubblico, di strategie di sviluppo,  vittima di interferenze politiche, gruppi di interessi, lobby  -politiche e non solo- tutte tese a prendere il sopravvento e la direzione della AICS, creando purtroppo confusione e alti rischi di disfunzione. Le uniche realtà credibili nel campo della cooperazione si sono dimostrate le Ong cattoliche, all’epoca demonizzate e presentate come un covo di fanatici religiosi intenti a convertire i ‘selvaggi’. Nel 2017 in Africa la Chiesa Cattolica soffre di un calo di fedeli, ma è l’unica istituzione occidentale in grado di offrire una cooperazione credibile in quanto basata su due semplici concetti: condivisione e serietà di programmi di sviluppo. I tecnocrati ex Ministero Affari Esteri -neo AICS- e le Ong di sinistra hanno miserabilmente fallito, diventando autoreferenti e perdendo la credibilità dinnanzi alle popolazioni africane e ai loro governi.

Anche se la Cooperazione Internazionale subisse un processo di moralizzazione e di maggiore efficacia non servirebbe a creare sviluppo ‘a casa loro‘ in quanto l’unico strumento in grado di creare benessere è totalmente alieno alla cooperazione: è, infatti, l’industrializzazione.

I Paesi africani, compresi quelli di maggior afflusso migratorio in Italia, necessitano di rivoluzione industriale e non di cooperazione, o aiuti umanitari. Anche le Ong cattoliche, nel loro serio e costante impegno quotidiano, non riescono a risolvere il problema, pur offrendo un valido aiuto ai governi per rafforzare i loro sistemi di welfare sociale.

I Paesi africani sono 40 anni che chiedono la rivoluzione industriale, sempre negata dall’Occidente, che basa i suoi rapporti con l’Africa sull’economia coloniale. Gli africani sono ora stufi di ‘chiedere’ a interlocutori sordi e si sono rivolti a governi certamente meno democratici, ma con un spiccato senso degli affari, tra i quali la Cina e Russia.

Pechino e Mosca stanno offrendo la rivoluzione industriale richiesta, non Roma, Bruxelles o Washington. Gli imprenditori cinesi stanno delocalizzando le loro industrie, creando benessere nella società africana che automaticamente diminuisce i flussi migratori, non gli imprenditori europei o americani.

Mentre il Governo italiani – e Renzi – propone soluzioni che in realtà non solo tali (in linea con gli altri governi europei che propongono la stessa cosa), la Cina sta ponendo le basi necessarie affinché l’Africa, piena di materie prime e petrolio, diventi una potenza mondiale.

Il pubblico italiano (e parte quello europeo) non è cosciente di questa trasformazione. Una trasformazione che per l’Occidente si tramuterà in una cronica carenza delle materie prime e in un collasso economico tra meno di dieci anni.

Nessun governo, sia di destra o sia di sinistra, ci spiega che i ‘dannati della terra‘ siamo proprio noi, vittime della nostra prepotenza, che ha indotto potenze emergenti ad unirsi politicamente ed economicamente per la resa dei conti finali, che sta arrivando a marce forzate, e in chiave strettamente anti-occidentale.

I flussi migratori diminuiranno entro i prossimi dieci anni, non grazie alla Cooperazione Internazionale, ma all’industrializzazione offerta dai Paesi del BRICS. Nel nuovo ordine mondiale che si sta delineando l’Europa, e l’Italia, saranno in quarta posizione se non quinta, e l’antica civiltà si ripiegherà su se stessa, priva di nuovi mercati e di materie prime. Paradossalmente gli africani sono consci di ciò, e sanno che tra un decennio tutte i dibattiti e le tensioni razziste che stiamo vivendo ora in Europa le dovranno affrontare nei loro Paesi, soggetti a flussi migratori al contrario: dal Vecchio Continente al Nuovo.

Fantascienza, dite voi?! Wait and see (aspettate e vedrete), dicono già ora gli africani. Può servire un piccolo indizio? Eccolo: Angola-Portogallo

Mentre il processo si sta sviluppando sotto i nostri occhi, noi crediamo che quel 0,01% di immigrati africani, che creano la cosiddetta ‘emergenza migrazione’ in Europa, siano i rappresentanti di un mondo senza speranze, i ‘dannati della terra’, come recentemente li ha definiti un editoriale de ‘Il Corriere della Sera‘. Un errore di valutazione che risulterà fatale, purtroppo per noi…