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Siria, Al Tanf: perché contano gas e petrolio

23 Giugno 2017

Un valico di confine. Una linea rossa per tutti. La base militare di Al Tanf, nel sud della Siria, è a pochi chilometri dal confine iracheno. Attorno sembra non esserci niente, se non sterpaglia e deserto. Ma in questa zona brulla si incontrano tre paesi: Siria, Iraq e Giordania. Al Tanf è una delle porte del Medio Oriente.  Chi la controlla, governa la regione: la più ricca al mondo di gas e petrolio. Ad al Tanf ci sono tutti. All’interno della base sono presenti militari americani, inglesi e norvegesi. Ufficialmente addestrano i ribelli dell’Esercito siriano libero. Fuori, a meno di 20 chilometri, è schierato l’esercito del presidente siriano Bashar Al Assad,  composto per lo più da milizie sciite finanziate dall’Iran: secondo l’agenzia turca ‘Anadolu’ si tratterebbe di circa 18.000 uomini. Il 50 per cento sarebbero libanesi di Hezbollah. Al di là del confine, in Iraq, le milizie sciite irachene delle Forze di mobilitazione popolare, alleate dell’Iran, sono poco lontane. Tra loro agli inizi di giugno è apparso pubblicamente in un video il generale iraniano Qassem Suleimani, capo della Forza Quds, responsabile delle operazioni in Iraq e Siria: una provocazione. Quindici giorni dopo gli americani hanno trasferito dalla Giordania ad Al Tanf un potente sistema missilistico a lungo raggio, l’HIMARS (High Mobility Artillery Rocket System). Gli scontri diretti tra americani e milizie sciite ad Al Tanf sono iniziati alla metà di maggio. L’ultimo risale al 20 giugno quando i militari statunitensi hanno abbattuto un drone iraniano, il secondo, sopra la base. La posta in gioco è alta per entrambi i fronti: quello dei paesi arabi sunniti, sostenuti dagli Stati Uniti, e quello  dell’Iran, alleato della Russia. In palio ci sono l’Iraq e il petrolio. E un oleodotto che dovrebbe collegare Bassora, a una cinquantina di chilometri dalla costa irachena sul Golfo Persico, a due paesi sunniti: Giordania ed Egitto. Siamo nel marzo 2016, in piena guerra civile siriana. Al Cairo, in Egitto, si incontrano i rappresentanti di tre governi: il ministro del petrolio iracheno, Adel Abdel Mahdi, il ministro dell’energia e delle risorse minerarie giordano, Ibrahim Saif, e la loro controparte egiziana, Farooq Al-Mullah. I tre firmano un protocollo d’intesa per la collaborazione su petrolio, gas, raffinerie, estensione di oleodotti, infrastrutture. Il progetto dell’oleodotto che deve unire Bassora, in Iraq, ad Aqaba, sul Mar Rosso in Giordania, risale al 2013, ma è con questo incontro che prende forma. L’oleodotto sarà duplice: uno per il gas e l’altro per petrolio. Punto di partenza: Bassora sul Golfo Persico. Rotta: Giordania. Di qui gas e petrolio passeranno all’Egitto attraversando oleodotti già esistenti.  Poi, forse, arriveranno in Europa. A costruirlo saranno due società: una, la Mass Global,  giordana, l’altra, la China Petroleum Pipeline, cinese. Forse parteciperanno anche due società irachene. Il petrolio verrà raffinato in Giordania ed Egitto. L’affare è lucroso per tutti.  Manca solo una cosa: la conferma finale di Baghdad. La costruzione dei due oleodotti avrebbe dovuto partire agli inizi del 2017. Adesso si parla del 2018. Si aspettano gli esiti della guerra civile siriana. Non ci sono dubbi: l’oleodotto Bassora Aqaba è un colpo basso per l’Iran che, con le sue milizie sciite, sta cercando di tenere sotto controllo il governo iracheno di Hayder al Abadi. Teheran ha lo stesso progetto di Egitto e Giordania: portare il suo petrolio e il suo gas dal Golfo Persico al Mediterraneo verso l’Europa. Magari con un tragitto più breve, senza passare dai paesi sunniti:  incrociando Al Tanf, in Siria. Ne potrebbero beneficiare anche i libanesi di Hezbollah, che nella guerra civile siriana hanno perso uomini e finanze. È significativo che nell’ottobre del 2016, pochi mesi dopo l’incontro al Cairo dei ministri dei tre paesi sunniti, si sia svolta a Beirut la terza edizione della conferenza “Basra Oil, Gas & Infrastructure”.  Ministri iracheni e libanesi hanno discusso fianco a fianco lo sviluppo del governatorato di Bassora e delle sue risorse. Non è frutto del caso che nella base americana di Al Tanf, tra le truppe della coalizione internazionale, ci sia un grande assente, in passato protagonista della guerra civile siriana: la Francia. I Francesi se ne stanno fuori dopo essere riusciti a strappare all’Iran, con la Total, un contratto per lo sviluppo del bacino di gas ‘South Pars’ nel Golfo Persico. Una parte di questo bacino appartiene al Qatar. Vi dice niente?