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La crisi dei rifiuti a Roma è ciclica e ha bisogno di interventi strutturali

1 Giugno 2017

Cumuli di immondizia accanto ai cassonetti, le emergenze cicliche, l’inadeguatezza di un’assessora iperattiva e inquisita come Paola Muraro: nell’ultimo anno si è parlato molto di rifiuti a Roma, tanto che sono diventati familiari alcuni personaggi come le assessore all’ambiente – prima Muraro, adesso, da quattro mesi, Pinuccia Montanari – e anche più chiare alcune questioni tecniche, a partire da una certa terminologia.

Per esempio si è imparato a sapere cosa sono gli impianti di trattamento meccanico e biologico (tmb) che selezionano e lavorano i rifiuti indifferenziati; si è capito che a Roma questi tmb sono quattro, due pubblici (dell’Ama, l’azienda partecipata al 100 per cento dal comune, la quale gestisce i rifiuti della città attraverso un contratto di servizio) e due privati (della Colari di Manlio Cerroni); si è capito che nel territorio di Roma finisce solo una piccola parte dei rifiuti prodotti in città, mentre il grosso va in discariche, inceneritori, altri impianti nelle regioni centrosettentrionali, oltre che in Austria e in Germania, dove può essere riciclato o trattato in modo tale da diventare una risorsa anche economica.