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Software spia: il silenzio del Mise sulle vendite ai regimi

18 Aprile 2017

Rifiutato a L43 l’accesso agli atti per «evitare di ledere sicurezza e difesa nazionale». Tre organizzazioni di diritti umani in pressing per la divulgazione delle informazioni. E anche il Copasir lavora sul dossier.

Se c’è un tema su cui un ministro come Carlo Calenda, negli ultimi mesi al centro di temi politici ed economici, non si è mai esposto è quello dell’esportazione di materiale a doppio uso, ovvero con possibilità di utilizzo sia a fini civili sia militari. Perché la competenza è proprio del suo dicastero, ovvero lo Sviluppo Economico. Non bastano i tour per la promozione e la retorica sulla cosiddetta «industria 4.0», nelle ultime settimane la pressione sul tema dell’export dei software per la sorveglianza di massa sta aumentando. Anche perché le ipotesi che questi software progettati ed esportati dall’Italia finiscano in mano a regimi dittatoriali o Paesi che violano i diritti umani prendono sempre più corpo.

IL RIFIUTO DEL MISE. Nei mesi scorsi Lettera43.it ha chiesto al ministero – tramite una regolare richiesta di accesso agli atti – di avere un quadro almeno numerico e geografico sui «software spia» esportati. La risposta è stata prima in legalese, poi lapidaria. Tra gli organi di informazione e i dati sulle vendite si frappone una normativa del 1996 che sottrae dall’accesso tutti gli «atti procedimentali concernenti il rilascio o il diniego di autorizzazioni e relativa documentazione con riferimento alle operazioni di esportazione e transito di prodotti ad alta tecnologia di uso civile e militare». Inoltre, specifica il Mise in coda alla risposta alla nostra richiesta, che «la sottrazione all’accesso di tali documenti si è resa necessaria al fine di evitare una lesione, specificate ed individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, nonché alla continuità ed alla correttezza delle relazioni internazionali».