General

Intervista a Khaled, durante la protesta per i prigionieri palestinesi


Di Antonietta Chiodo, ProMosaik, Il leader di Al Fatah, Marwan Barghouti dopo
la pubblicazione del suo articolo shock sul New
York Times
pochi giorni fa è riuscito a dare vita ad una protesta che
resterà leggenda, definita “la battaglia degli stomaci vuoti”. 
Marwan è
riuscito a trasportare nella sua direzione di lotta non violenta ad oggi almeno
1.300 detenuti delle carceri israeliane, iniziando così uno sciopero della fame
per far sì che il resto del mondo si accorga di loro e di ciò che accade in
queste terre dai diritti negati. Dal suo lungo articolo pubblicato sul
famosissimo media risuonano dichiarazioni estremamente dure nei confronti delle
forza militari israeliane, la totale mancanza e violazione giornaliera dei
diritti umani, torture quotidiane sia fisiche che psicologiche, cibo scadente. 
La
popolazione in queste ore si augura che gli organi competenti si prendano la
responsabilità di sanzionare uno stato che della forza e del potere ha fatto
sino ad oggi legge propria su di una popolazione inerme, ma da ciò che
osserviamo oggi, non ancora esausta. Il premier palestinese Abu Mazen ha
dichiarato in queste ore la sua totale solidarietà con i detenuti palestinesi,
mentre da ultime notizie le frange affiliate ad Hamas ed al partito islamico
non hanno ancora delineato una scelta precisa che possa coinvolgere i propri
sostenitori oggi detenuti nelle carceri.
Il
giorno dopo la pubblicazione dell’articolo e l’alta adesione dei prigionieri,
la Knesset ha scelto di spostare ad un regime di isolamento a tempo
indeterminato il leader Marwan Barghouti insieme ad altri tre capi saldi della
protesta, trasferendoli così nel carcere di massima sicurezza nella zona nord
della Cisgiordania, alle porte della città di Jenin. Gli scontri e gli arresti
dall’ inizio delle proteste soprattutto tra le zone di Nablus, Hebron e Betlemme
sono in aumento.
Oggi
sono andata sulle strade e ho parlato con un gruppo di manifestanti. Tra loro
si trovava anche un bambino con handicap di circa otto anni. Alcuni di loro
portavano maschere a gas. Anche l’ambulanza era pronta per intervenire in caso
vi fossero degli scontri.
Ovunque
le sagome dei militari irsraeliani. E a vista il muro di separazione. Vi sono
dei cassonetti ribaltati che fanno pensare ad una giornata di tensione. Ho
parlato con Khaled per fargli un paio di domande sulla protesta. 
Ci sono novità dalle carceri in
queste ultime ore?
No,
Israele non lascia trapelare alcuna notizia, da quando è partito lo sciopero
della fame abbiamo solo saputo che i leader sono stati messi in isolamento ed a
molti detenuti non è stata concesso di incontrare il proprio avvocato.
Vi sentite supportati dall’ANP in
questi giorni?
Non
posso rispondere a questa domanda, … non posso dirti niente su questo …. sono
solo un uomo che in questi giorni scende in strada insieme a donne e bambini
per fare sapere al mondo cosa accade da settanta anni in queste terre. Ma la
politica è il cuore della Palestina, tutto il mondo gira intorno alla politica,
noi non vogliamo sapere se qualcuno sia o no dalla nostra parte, questa è la
nostra vita e la nostra libertà, noi continueremo, ogni giorno. Vuoi sapere se
confidiamo in un supporto da parte di Abu Mazen? No, la Palestina non crede più
in lui da molto tempo.
Ci sono stati molti scontri durante
queste proteste, pensi che oggi ne seguano altri?
Noi
manifestiamo a tutte le ore, anche di sera, di solito ci attaccano nel
pomeriggio o dopo il tramonto. Come vedi, siamo disarmati. Non abbiamo che
qualche bandiera, ma resistiamo…. perché è quello che sappiamo fare meglio. Non
è un caso che la maggior parte delle persone che aderisce a queste proteste
provenga dai campi profughi, soprattutto dal campo di Dheisheh. 
Pensi che l’ iniziativa di Marwan Barghouti
possa servire realmente a qualcosa?
Assolutamente
sì, è una luce, una finestra aperta perché il mondo possa guardare qui dentro e
oggi tutti sapranno quanto è grande la forza che risiede in noi palestinesi, …
infatti preferiamo morire di fame che continuare ad essere sottomessi o
torturati. Sono settant’anni che andiamo avanti così, i nostri compagni hanno
lanciato questa battaglia e noi dobbiamo sostenerli, sono uomini di grande
coraggio e dei veri esempi per noi.