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Aids/Hiv, i numeri che spaventano (anche) l’Europa

23 Marzo 2017

La mortalità cala, ma i contagi da 10 anni sono costanti. Nel continente 153 mila nuove diagnosi nel 2015: un record. Colpa della poca prevenzione. I migranti? S’ammalano qui. Terapie, costi, falsi miti: l’inchiesta.

Se la prima parte della nostra inchiesta era dedicata a ricostruire la storia della diffusione del virus dell’Hiv, la seconda ha invece lo scopo di aggiornare i dati sulla malattia, sulle nuove diagnosi d’infezione e sugli investimenti sostenuti per contrastarne la propagazione. Una mappatura che obbligatoriamente parte dagli Stati Uniti, primo donatore al mondo nella ricerca attraverso il Fondo Globale, grazie a un investimento pari a 4,3 miliardi di dollari, a fronte di risorse complessive del Global Fund equivalenti a circa 13 miliardi di dollari per il triennio 2017-19. Per questo motivo, quando si parla d’infezione Hiv un’attenzione particolare va rivolta al Paese sede dei principali studi e ricerche sulla malattia.

IL DIBATTITO SUL “PAZIENTE ZERO”. Iniziamo con una piccola curiosità storica: secondo quanto riporta l’agenzia Ansa non è mai esistito il “paziente zero”. S’è trattato solo di un equivoco, si legge nella nota, «che ha accompagnato la storia dell’Aids e di altre epidemie recenti, come l’Ebola. Questa definizione nasce, infatti, da una serie di errori e fraintendimenti. Alcuni sono legati alla storia di Gaetan Dugas, giovane steward dell’Air Canada, morto nel 1984 e additato in un libro degli Anni 80 come il primo responsabile della diffusione del virus Hiv negli Stati Uniti». A chiarire il malinteso, dopo più di 30 anni, è stata la ricerca pubblicata sulla rivista Nature e coordinata da Michael Worobey, del dipartimento di Biologia evoluzionistica dell’università dell’Arizona a Tucson.