General

Ugo Giannangeli – come lottare oggi per i palestinesi

Di Milena Rampoldi, ProMosaik. Qui di
seguito una mia intervista con Ugo Giannangeli, avvocato penalista, comunista
italiano, sempre disponibile a difendere gli umili e gli indifesi oggetto delle
“attenzioni” di una polizia palesemente al servizio della classe dominante.
Raggiunta l’età della pensione e abbandonata l’attività forense, si dedica a
tempo pieno alla difesa dei diritti del popolo palestinese. Tra l’altro ha
diretto il collettivo editoriale che ha pubblicato il titolo “Palestina:
pulizia etnica e resistenza”, ora disponibile anche in tedesco (Palästina:
Ethnische Säuberung und Widerstand). Vorrei ringraziare Ugo per le sue
dettagliate risposte e il suo coraggio nel dire quello che va detto.

La storia di questa intervista: Ugo Giannangeli, in occasione della giornata della memoria dell’ANPI a Carbonate in provincia di Como, il 27 gennaio 2017, avrebbe voluto leggere una poesia di Faten el-Dabbas sulla memoria e sull’oblio. Alla fine dell’intervista trovate la poesia incriminata e quello che avrebbe voluto dire Ugo, se lo avessero lasciato…. 



ProMosaik crede che la poesia rappresenti un
mezzo importante per trasmettere temi sui diritti umani. Che ne pensa di
questo?

La difesa dei diritti umani deve rivolgersi al
cuore oltre che al cervello e deve coinvolgere i sentimenti oltre che la
ragione. Esprimersi con le forme dell’arte, soprattutto con la poesia, aiuta a far
vibrare anche queste corde. La poesia di impegno sociale e politico ha, del
resto, una grande tradizione.

Ci parli della poesia di Faten el-Dabbas da Lei
scelta e delle tematiche che voleva trasmettere leggendola in occasione della
Giornata della Memoria dell’Olocausto.

Sapendo che l’abbinamento tra indifferenza verso
la questione palestinese e memoria della Shoah avrebbe incontrato resistenze,
ho scelto la poesia “Devi dimenticare” perché “sbatte in faccia” l’evidenza del
nesso tra i due temi. Ai profughi palestinesi, infatti, è negato non solo il
diritto al ritorno ma anche il diritto al solo ricordo della terra natia. Lo
Stato che  giustifica la propria nascita
con i suoi testi sacri e con la memoria della Shoah vorrebbe imporre agli altri
l’oblio dei propri crimini, successivi ai testi sacri ma precedenti anche alla
Shoah e alla propria nascita. Gli ebrei vogliono il monopolio della memoria
così come vogliono l’esclusiva sul genocidio (solo la Shoah). Commemorare la
Nakba è reato! La giornalista di Haaretz Amira Hass, in un recente incontro a
Monza, ha raccontato di un suo dibattito in Israele con alcuni aderenti a
“Breaking the silence”. Alla domanda “ Qual è il tallone di Achille di Israele
?” ha risposto “ I palestinesi”. Quello che sorprende sempre nei palestinesi,
che frequento dal 1988, è la tenacia, la fermezza, l’ostinazione. La chiave
della vecchia porta di casa in Palestina è sempre lì, appesa a portata di mano.
Nonostante tutto. Se perfino le giovanissime generazioni, come nel caso di
Faten, avvertono questo legame con la propria terra e la propria storia,
Israele incontrerà ancora a lungo insormontabili ostacoli al suo tentativo di
imporre l’oblio.

Come funziona l’hasbara in Italia? E perché’ continua a funzionare?
L’hasbara in Italia, come nel resto del mondo,
opera su due livelli, fondamentalmente. Uno pubblico, ostentato e manifesto: le
frequenti iniziative pro-Israele; la presenza di Israele ovunque, dai
campionati di calcio europei alla Borsa del turismo, la battente pubblicità dei
propri siti turistici. A questo livello è importante per i propagandisti
presentare Israele come un luogo bellissimo, sicuro, frutto del duro lavoro che
“ ha trasformato il deserto in giardino” ( una delle più antiche menzogne
storiche insieme all’altra “ Una terra senza popolo per un popolo senza
terra”).
Poi c’è l’altro livello, quello subdolo, sotterraneo.
Qui è pressante il richiamo alla religione e al perenne status di vittima
dell’ebreo. Ogni pretesto, ogni occasione è buona per l’accusa di
antisemitismo. L’infamante accusa vuole spingere al silenzio o, almeno,
all’autocensura. Non a caso amici residenti in Germania mi dicono che lì
l’attivismo per la causa palestinese è estremamente difficile. Anche l’Italia ha
avuto immani responsabilità verso gli ebrei, dalle leggi razziali alla
collaborazione coi nazisti nella deportazione. Credo, però, di poter dire che
siamo riusciti ad emanciparci, soprattutto grazie alla Resistenza, così che il
ricatto psicologico funziona meno: abbiamo chiara e netta la cesura tra l’ex
vittima e l’attuale carnefice. L’abbiamo, però, chiara noi attivisti per la
Palestina, meno altri settori della società; a questi si rivolge il subdolo
lavoro dell’hasbara che, ad esempio, ha indotto il Presidente di una sezione
ANPI a ritenere non opportuno l’abbinamento del tema Palestina con la giornata
della memoria e un Presidente della Repubblica a sdoganare l’infamante
identificazione tra antisionismo e antisemitismo.

Come possiamo oggi impegnarci per Palestina?

Ci possiamo impegnare innanzitutto contrastando
l’hasbara con continue campagne di controinformazione o, meglio, di
informazione a contrasto della disinformazione e della mistificazione. Poi
aderendo e promuovendo iniziative BDS. Se in Italia si è giunti all’assurdo di
un disegno di legge che criminalizza l’adesione al movimento BDS ( nel senso
tecnico del termine perché l’adesione è reato ed è  punita con il carcere) vuol dire che il BDS
fa paura, è efficace. Il boicottaggio può creare danni economici ad Israele ma
è anche un potente strumento di informazione. La campagna contro TEVA o
Sodastream, ad esempio, sono ottime occasioni per spiegare alla gente che cosa
sono i Territori palestinesi occupati, che cosa sono le colonie e così via.
Sono utili anche le campagne di adozione a distanza, come fa da oltre 10 anni
ad esempio “Per Gazzella” che si occupa dei bambini feriti a Gaza; queste
campagne coinvolgono famiglie, consigli di fabbrica ma, soprattutto, non fanno
sentire soli i palestinesi. Le società civili sono a fianco dei palestinesi,
non così i governi e gli Stati. Il boicottaggio del Sudafrica era praticato
dagli Stati; quello di Israele dalle società civili che, per questo, sono
criminalizzate.

Come possiamo spiegare in modo chiaro che Israele non è che un progetto
coloniale e va dunque trattato come tale?

E’ la realtà territoriale a spiegare che Israele
è un progetto coloniale ( a vocazione genocidiaria, è stato anche detto). La
famosa foto delle quattro cartine geografiche con le aree palestinesi in
continua riduzione è efficace. Bisogna anche aggiungere che è in atto la
peggiore forma di colonialismo: quello di insediamento. Prevede non solo
l’espropriazione di terra e risorse naturali, ma anche l’espulsione e
l’eliminazione dei nativi ( donde la definizione “ a vocazione genocidiaria”).
Potrei rispondere alla domanda semplicemente
ricordando la lettera di Hannah Arendt e altri 26 intellettuali ebrei, tra cui
Einstein, che nel dicembre 1948 denuncia come fascista il partito fondato da
Begin nello Stato nato da pochi mesi. E’ meglio però approfondire questo
aspetto. L’antifascista non può non essere antisionista ma non trovo corretto
assimilare sionismo e fascismo, che hanno analogie ma anche significative
differenze. E’ peculiare del sionismo l’intento di creare uno Stato riservato
ai soli ebrei, quindi uno Stato etnico-confessionale. Lo Stato fascista è
anch’esso uno stato razzista che stipula patti con la religione tramite il
Vaticano; ha anche mire espansionistiche nelle colonie ma il fascismo si
instaura come forma di governo di uno Stato preesistente. Il fascismo è stata
una dittatura strutturata anche istituzionalmente come tale. Non così lo Stato
di Israele che ama definirsi “ l’unica democrazia del medio Oriente”. E’ vero
che Israele non ha una Costituzione, nonostante il diverso impegno assunto
nella Dichiarazione di fondazione del 1948, ma è dotata di un Parlamento, si
svolgono elezioni, c’è una relativa libertà di stampa e di opinione. Tutto,
però, si limita alla forma, per cui possiamo definirla una democrazia formale.
Soprattutto la pretesa di essere uno Stato confessionale, cioè riservato agli
ebrei, fa esplodere le contraddizioni: se, ad esempio, sono tutelati i diritti
civili di gay, lesbiche e transgender ( ben propagandata operazione di
““pinkwashing”), i matrimoni sono però solo religiosi e solo tra ebrei. Si
potrebbe ironizzare dicendo che si può fare sesso con chiunque ma devi sposare
solo un ebreo. Ho anche definito “relativa” la libertà di stampa ed opinione
perché se un certo giornalismo critico verso le politiche governative è
tollerato ( pensiamo ad Amira Hass e Gideon Levy su Haaretz), altre attività
critiche ben più incisive sono vietate, quando non anche duramente represse.
Pensiamo al divieto per gli attivisti di “Breaking the silence” di andare nelle
scuole con le loro dirette testimonianze sui crimini dell’esercito o agli
attivisti di Mesarvot, cioè i refusnik, che finiscono in carcere, per periodi
sempre più lunghi. Un ulteriore esempio: i palestinesi con cittadinanza
israeliana ( circa il 20 % della popolazione) hanno diritto di voto e hanno
rappresentanza parlamentare ma poi un complesso di leggi, circa 50, li
discrimina nella società riducendoli a cittadini di rango inferiore.
Una ideologia fascista certamente è diffusa
nella società: i governi degli ultimi anni sono sempre più a destra e godono di
un larghissimo consenso popolare anche verso il loro operato più criminale come
i periodici eccidi a Gaza. Formazioni di estrema destra operano nella società.
Piace l’immagine di un ebreo nuovo, forte, combattente: da Woodi Allen si è
passati a Schwarzenegger. Si ricorda il suicidio in massa di Masada ma si
commemora l’inizio della rivolta del ghetto di Varsavia con gli ebrei armi in
pugno ( l’orgoglio nazionale deve essere stato intaccato, però, quando il
vicecomandante della rivolta, Marek Edelmann, ha scritto nel 2002 a Marwan
Barghouti e ai combattenti palestinesi 
riconoscendo la legittimità della loro lotta).
Gli ebrei che scrivono ai governanti israeliani
chiedendo la cancellazione dei nomi dei loro congiunti dallo Yad Vashem hanno
ben chiara la profonda cesura che c’è tra questo Stato e la storia ebraica
precedente.
La progressiva “fascistizzazione” dello Stato di
Israele, nei termini e coi limiti che ho detto, ha provocato affermazioni drastiche
come quella del 1992 del rabbino Weissfich: “ Il nazismo ha distrutto il
giudaismo fisicamente, il sionismo lo ha distrutto spiritualmente”. Del resto,
prima ancora della dichiarazione di Balfour (1917) e in coincidenza con il
settimo congresso sionista, Tolstoj nel 1905 ha detto:” Il sionismo è la
negazione di tutto quello di sacro che abbiamo nella vita”. I grandi hanno il
dono della preveggenza!
Sharon, intervistato nel 1982 da Amos Oz, ha
detto:” Il lavoro sporco del sionismo non è finito, poteva essere finito nel
1948 ma voi lo avete fermato”. Il rimpianto per una Nakba a metà emerge chiaro.
Il progetto quindi deve proseguire, sia pure con metodologia diversa.
La lotta contro il fascismo e l’avanzata delle
vecchie e delle nuove destre non può, per tutto quanto detto, non includere
anche la lotta contro il sionismo.
Un’ultima precisazione: ho specificato perché
non condivido la definizione di Israele come Stato fascista. Trovo invece
corretto definirlo Stato terrorista anche dal punto di vista tecnico-giuridico,
facendo riferimento alla definizione di terrorismo più accreditata, adottata
nel 1999 nella Convenzione internazionale per la soppressione delle attività di
finanziamento del terrorismo: “ Ogni atto
finalizzato a causare la morte o lesioni personali gravi a un civile…….quando
lo scopo di questo atto….è quello di intimidire una popolazione ovvero di
costringere un governo o una organizzazione internazionale a compiere o
astenersi dal compiere un determinato atto”.
Israele va ben oltre l’”intimidazione di una popolazione”!


Ecco per concludere la poesia incriminata di Faten el-Dabbas:

 Devi dimenticare
Devi dimenticare
Quel luogo lontano
Quel suolo mai toccato
I momenti che non hai vissuto
E comunque vedi quel luogo
E quegli eventi dinnanzi ai tuoi
occhi
Devi dimenticare
Il dolore che ha afflitto alla tua famiglia
Le ferite impresse nella tua memoria
Tutti i racconti che rafforzano il
tuo anelito
E sfociano nei sogni in cui si cela
la speranza
Devi dimenticare
Il profumo nel giardino di tuo nonno
Che vi piantava un futuro florido
Che però non è fiorito
Ma ha sanguinato.
E ti dicono:
“Devi dimenticare”.
Ma tu rispondi:

“Datemi una memoria per l’oblio”. 

                                      Giornata
della memoria 2017
Solo l’indifferenza è peggiore dell’oblio.
Ce lo hanno insegnato Gramsci, Brecht, Pasolini,
Hessel….
L’oblio fa dimenticare qualcosa di accaduto.
L’indifferenza fa ignorare qualcosa che sta
accadendo e su cui si potrebbe intervenire.
Al Memoriale della Shoah al binario 21 della
Stazione di Milano campeggia una grande scritta: “
INDIFFERENZA” ad accusare il mondo di avere
girato lo sguardo dal genocidio degli ebrei.



Lo studioso ebreo Bruno Segre ha detto tempo fa:
“ I palestinesi sono gli ebrei del nostro tempo”.
Facciamo allora in modo che non debba un giorno
campeggiare una scritta analoga a Gaza o a Jenin.
I palestinesi, vittime delle vittime, non
dimenticano, nè quelli cacciati nel 1948,nè quelli cacciati nel 1967,
 né quelli
che non hanno mai visto la loro terra, come Faten El-Dabbas, nata nel 1990 in
Germania. 
Laureata in scienze politiche, è anche una
poetessa; una sua raccolta di poesie sta per essere tradotta in 
italiano e pubblicata.
E’ stata in Palestina solo nel 2012 ma  conosceva la storia  della sua terra d’origine soprattutto per i racconti di suo nonno e per le opere di Mahmud
Darwish.

Ho scelto una sua poesia che, non a caso, si
intitola “ Devi dimenticare”.