General

La lezione di Fa’afafine ai genitori genderofobi

14 Febbraio 2017

Gira per i teatri la storia di un bimbo indeciso se essere maschio o femmina. E l’Italia reagisce con raccolte di firme, indignazione, striscioni di Forza nuova, cordoni di polizia. Non capendo che è un inno alla famiglia.

Devo preoccuparmi di più perché mio figlio, nove anni, uscendo da Lego-Batman ha chiesto di andare a vedere domenica prossima il film Ballerina, o perché suo padre gli ha detto di sì senza batter ciglio? Visto che non siamo una famiglia di danzatori, saremo sicuramente una famiglia di degenerati, anzi, de-genderati, perché in ballo c’è quello che si intende per «identità di genere».

AMARE UN FIGLIO PER QUELLO CHE È. Ballerina corrisponde esattamente al titolo, e racconta le peripezie di una ragazzina decisa a diventare étoile all’Opéra di Parigi. Non è ingannevole come Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro, che, a dispetto del titolo, non è uno spettacolo teatrale ambientato fra i lucertoloni della preistoria, ma una pièce che si svolge ai nostri giorni, nella cameretta di un ragazzino. La mette in scena il regista Giuliano Scarpinato insieme con Michele Degirolamo e Gioia Salvatori, e ha vinto il Premio Scenario infanzia 2014. Che dev’essere stato assegnato da una giuria di de-genderati, perché Fa’afafine è proprio la storia di un «gender-creative child», cioè un bambino che non ha ancora scelto se essere maschio o femmina («a’fafafine» è una parola samoana che indica una persona che non si identifica in nessuno dei due sessi). Alex insegnerà anche ai suoi genitori a essere «creative parents», cioè ad accettarlo e ad amarlo per quello che è, condizione sempre necessaria (anche se non sufficiente) per preparare un figlio ad affrontare la vita con il coraggio di essere se stesso.