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Anch’io sono stata stigmatizzata come nemica dello Stato

di Ana Camusso, Tlaxcala, 10 febbraio 2017, traduzione italiana di Milena Rampoldi, edito da Fausto Giudice.

Ricordandomi della fuga precipitosa dalla nostra amata Argentina liberale penso a Yakub Abu Al Kiyan partendo nella sua macchina, forse per evitare di vedere la sua casa nuovamente demolita.  
Una delle case demolite nel villaggio beduino di Um al-Hiran dove Yakub Abou al-Kiyan fu assassinato il 18 gennaio 2017. Foto di Eliyahu Hershkovitz
Ero un’adolescente quando iniziai a capire che il mio paese aveva stigmatizzato me e la mia famiglia come nemici. Anche se nessuno ci aveva puntato il dito addosso o ne parlava, era talmente evidente che nel corso di un anno fui costretta ad errare di casa in casa, alla ricerca di un rifugio.
Il regime militare in Argentina fu appoggiato dalla maggioranza della popolazione. Molti offrirono i loro servizi per aiutare la distruzione totale della democrazia del paese, che già era fragile. Il supporto principale proveniva dall’oligarchia e dai media che accettavano tutte le menzogne del regime. Per loro le persone come i miei genitori rappresentavano le forze del male. Furono trattati come se fossero agenti di governi stranieri con l’obiettivo di trasformare l’Argentina in uno stato comunista e laico.
Questa idea fu inventata dalla giunta militare al potere e un numero incredibile di gente di lo credette. La giunta rappresentava la chiesa e gli imprenditori benestanti. Loro avevano numerosi privilegi, ai quali non erano disposti a  rinunciare.

I miei genitori erano intellettuali liberali e forse più di questo: erano persone che volevano cambiare il mondo ed erano piene di ardore rivoluzionario, anche se non fecero mai parte ufficialmente di nessuno partito politico. Ma per la loro visione del mondo umanista dovettero pagare un prezzo pesante.

Buenos Aires, Argentina, 30 marzo 1982
Progressivamente il regime assunse il controllo delle università. Quando mia madre un giorno si recò al suo lavoro come assistente universitaria, le fu vietata l’entrata. Ricordo come tornò a casa con le lacrime agli occhi, non riuscendo neppure a dirci quello che era successo. La nostra situazione finanziaria peggiorò finché alla fine rimanemmo senza niente. I miei genitori cercarono di andare avanti, dando lezioni private, ma era molto difficile.
Un giorno, un amico di mia sorella venne a casa mia e disse di andarcene subito. Sembrava che qualcuno avesse denunciato mio padre. Entro pochi minuti tutti eravamo montati in macchina. Non credo che i miei genitori in quel momento immaginassero che ci sarebbero voluti anni per poter ritornare a casa.
Da questo momento in poi smisi di frequentare la scuola. Passammo da un nascondiglio all’altro. Mia madre voleva far ritorno a casa per recuperare un paio di cose, ma un’amica con la quale si incontrò la avvertì di non avvicinarsi alla casa, circondata da soldati. I soldati diedero fuoco alla magnifica biblioteca dei miei genitori e trasformarono la casa in un luogo di interrogatorio e di tortura. I miei amici smisero di chiamarmi. La gente aveva paura di avvicinarsi a noi. Era un periodo in cui tutti avevano paura di tutti.
Entro pochi giorni avevamo abbandonato la nostra amata Argentina liberale. Per tutta una vita cercai invano di dimenticare questa orribile uscita in autobus da Buenos Aires. Anche se era mattina, mi ricordo di quel momento come se fosse avvolto dall’oscurità. All’inizio pensavo che questo ricordo fosse stato influenzato dal mio stato d’animo triste, ma poi – idiota come ero – mi accorsi che il tutto era dovuto ai vetri polarizzati dell’autobus. Attraverso di essi tutto sembrava vago, grigio, come le immagini di un film poliziesco o di un incubo, come se fossimo morti e giungessimo ad un mondo diverso. Come se stessimo lasciando una città fantasma.
Umm al-Hiran in Palestina, 18 gennaio 2017
Sto pensando a Yakub Abu Al Kiyan partendo nella sua auto, forse per evitare di vedere la sua casa nuovamente distrutta, come oramai era successo diverse volte. Era circondato dalla nebbia mattutina, dai soldati e dalla polizia. Penso alla sua famiglia, di nuovo senza casa. E penso ai bambini rimasti senza niente. E ai cittadini palestinesi del paese che il regime ha deciso di etichettare come nemici.