General

Una donna musulmana verso la guida della Romania

23 Dicembre 2016

Il governo della Shhaideh ubbidiente strumento nelle mani di Dragnea



Sevil Shhaideh non è un nome nuovo della politica rumena e, in alcuni ambienti almeno, è abbastanza conosciuto anche all’estero, essendo stata nel 2015 per qualche tempo ministro dello sviluppo regionale nel governo guidato da Victor Ponta. Fu chiamata a sostituire Liviu Dragnea, socialista e suo compagno di partito, costretto a dimettersi a seguito di una condanna per una serie di comprovate falsificazioni da lui messe in atto durante il referendum del 2012 per l’impeachment contro l’allora presidente Traian Basescu.
La cerimonia di giuramento dei ministri in Romania avviene tenendo una mano sulla Bibbia e la Shhaideh ha rappresentato il primo caso di un ministro rumeno che ha giurato sul Corano. La Shhaideh appartiene alla minoranza tatara della Dobrogea, una regione sulla costa occidentale del Mar Nero assegnata alla Romania da un Congresso europeo nel secondo Ottocento. Fino a quel momento aveva fatto parte dell’Impero ottomano. Da allora i tatari hanno quasi del tutto perso la loro lingua ma sono rimasti fedeli alla religione mussulmana, nell’esercizio della quale non sono mai stati impediti dalla maggioranza rumena ovvero cristiano-ortodossa. Anzi i rapporti interconfessionali in Dobrogea possono valere come esemplari per il loro carattere pacifico e anche di reciproco rispetto.
Ora la Shhideh potrebbe diventare la prima mussulmana e la prima donna in assoluto a diventare capo del Governo rumeno. A designarla è stato lo stesso Liviu Dragnea che nonostante la condanna di cui si è detto, è riuscito nella primavera del 2015 a scalare i vertici del Partito socialista (PSD), grazie ai guai giudiziari in cui erano incorsi l’allora segretario Victor Ponta e i dirigenti suoi alleati. Si trattava in quel caso di arricchimenti personali illeciti, oggi non ancora sanzionati con sentenza definitiva. Proprio le penose condizioni, morali prima che politiche, del PSD avevano favorito nel dicembre 2014 l’elezione a presidente della Repubblica del candidato liberale Klaus Iohannis, appartenente alla minoranza tedesca e luterana di Romania (non si era trattato di una novità, dato che anche il primo re rumeno era tedesco e luterano). L’onda che ha portato alla Presidenza Iohannis si è rivelata però di corto respiro e alle elezioni parlamentari di due settimane fa il Partito socialista, guidato con mano di ferro da Dragnea, ha sbaragliato il campo ottenendo il doppio dei voti rispetto al partito liberale e sfiorando la maggioranza assoluta, che in Parlamento supera agevolmente grazie al docile alleato Alleanza liberal-democratica (ALDE). In condizioni normali nessun dubbio che la carica di primo ministro sarebbe toccata a Dragnea, ma la condanna per frode elettorale da lui riportata lo ha inibito a quella funzione per il periodo di due anni. Si trattava per l’ambizioso leader socialista di trovare, se non proprio un prestanome, un’alternativa che lo garantisse dall’insorgere di un possibile rivale politico capace di avvantaggiarsi dalla pubblicità che comporta essere alla guida del governo. Ogni collega di prima fila del partito rischiava di rivelarsi personalmente pericolosa per Dragnea, che ovviamente intende prendersi quel che gli spetta appena il periodo di inibizione arriverà a scadenza nel 2018 (attualmente Dragnea deve accontentarsi della carica di Presidente della Camera. I deputati lo hanno eletto al primo scrutinio a grande maggioranza in aperta polemica con i giudici che hanno confermato la sua condanna). Ecco allora che la scelta è caduta sulla Shhaideh. La signora, che ha passato la maggior parte della sua carriera prima nell’amministrazione e poi nel Consiglio provinciale di Costanza in Dobrogea, ha l’ambizione di occupare una posizione di primo rincalzo ma non di leader. Un governo a lei affidato, a meno di sorprese clamorose, sarebbe un obbediente strumento controllato da Dragnea, in attesa che questi se ne assuma anche formalmente la responsabilità. Al momento attuale gli altri baroni del PSD restano defilati, perché la netta vittoria elettorale del partito ha lasciato loro poco spazio e dunque l’ostacolo maggiore alla realizzazione dei progetti di Dragnea è rappresentato dal Presidente Iohannis. All’annuncio della scelta del leader socialista Iohannis ha risposto in maniera piuttosto seccata. In primo luogo ha lamentato il fatto di avere appreso delle intenzioni socialiste soltanto leggendo i giornali e poi ha reso noto di non avere alcuna fretta di procedere all’incarico, rimandandolo quanto meno alla prossima settimana, se non all’anno nuovo. In effetti il governo tecnico attualmente in carca è stata una creazione di Iohannis, e i suoi risultati non sembrano disprezzabili (la Romania ha un tasso di crescita poco inferiore al 5%) ma ci si può chiedere se l’ostruzione presidenziale non finisca con l’essere peggiore del male che, nelle intenzioni, vuole curare. Non c’è dubbio che la strategia personalista di Dragnea lasci intravedere uno scarso rispetto per la dignità delle istituzioni, ma in democrazia non si può neutralizzare il voto popolare.
La probabilità che una mussulmana sieda nel prossimo Consiglio europeo, l’organo che riunisce i capi di governo dell’Unione europea, è dunque molto concreta. A rendere ancor più piccante la situazione è il fatto che il marito della Shhaideh è un cittadino siriano (alle loro nozze Dragnea fece da testimone). I due si sono conosciuti negli anni ’80 quando egli arrivò a Costanza con una borsa di studio. Trasferitosi poi in questa città, dove è attualmente impiegato nella locale amministrazione, mantiene comunque diverse proprietà nel paese di origine. E si è, fra l’altro, reso noto per alcune rumorose prese di posizione in favore del presidente siriano Assad.
È probabile che le critiche dell’opposizione rumena e, soprattutto, dei media internazionali alla scelta di una figura di secondo piano e manipolabile come la Shhaideh saranno comunque meno pesanti in ragione del particolare doppio status della signora. Un’eventuale critica o un giudizio negativo avanzati a una mussulmana possono facilmente essere fatti passare come antislamici o antifemministi. L’esperienza della Shhaideh arricchirà la casistica del vocabolario corretto politicamente, una delle maggiori passioni e linee direttive dell’attuale politologia europea.