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Tragedia Montepaschi, comprare tempo è stato l’errore fatale

27 Dicembre 2016

Da settembre a dicembre sono stati chiusi conti correnti per 6 miliardi di euro. Temporeggiare è servito solo ad aumentare i guai dell’istituto di Rocca Salimbeni. Ora non ci sono certezze, ma solo il rischio concreto che Mps trascini a fondo pure l’aumento di capitale di UniCredit

Proviamo a farla semplice e a rispondere alla domanda più banale di tutte: com’è possibile che per salvare il Monte dei Paschi di Siena servissero fino a ieri 5 miliardi e oggi ne servano 8,8? Potremmo avventurarci in mille disquisizioni tecniche sui requisiti minimi di capitale, o in retroscena sulla dialettica e sulle contraddizioni interne dentro la Banca Centrale Europea, dove la nebbia pare regni sovrana. O ancora, potremmo chiederci questo continuo cambio in corsa delle regole dove finirà per portarci, con gli obbligazionisti di Mps trattati coi guanti bianchi, dopo aver preso a pesci in faccia quelli delle “quattro banche”.

Eppure il punto è uno solo. E sta in un dato che fa tremare i polsi: da fine settembre al 13 dicembre sono stati chiusi conti correnti per 6 miliardi, 2 miliardi dei quali dopo il 4 dicembre. Comprare tempo è stato un pessimo affare, in poche parole. Perché ha messo in ginocchio una banca che anche nei famigerati stress test dello scorso luglio veniva dichiarata solvente, capace di rispettare i requisiti minimi di capitale. Perché ha fatto scappare i correntisti, seminato incertezza fra gli investitori, fatto fallire sul nascere ogni possibile piano alternativo all’aumento di capitale made in Jp Morgan. E reso molto più costoso e molto più difficile l’attuale tentativo di salvataggio pubblico.

Si poteva chiudere la partita prima del voto, come lo stesso Renzi aveva promesso di fare lo scorso 4 settembre a Cernobbio, quando ammise anche la «grande sottovalutazione da parte di tutti del problema banche». Una sottovalutazione che evidentemente è perdurata nel tempo. A Palazzo Chigi, dove si è continuati imperterriti a pensare che al dissesto della terza banca italiana si potesse anteporre la fine del bicameralismo paritario.

Ora servirebbe solamente che la questione si chiuda in fretta. E invece, con ogni probabilità, ci avviteremo in una stucchevole trattativa con la Banca Centrale e la Commissione Europa, che non si capisce ancora come vogliano risolvere la crisi bancaria della terza economia del continente. Con il rischio concreto che il lento naufragio di Mps finisca per trascinare a fondo anche l’aumento di capitale da 13 miliardi di UniCredit. Avviso ai governanti: dovesse accadere, i guai di questi mesi ci sembrerebbero acqua fresca.