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Siria effetto Trump: ora Assad è davvero vicino alla vittoria

3 Dicembre 2016

Dopo una lunga guerra le forze del governo sembrano aver assestato dei colpi vincenti. Hanno spezzato la morsa dei ribelli su Aleppo e, con il sostegno diretto di Mosca (e quello indiretto di Trump), si avvicinano alla vittoria

Dopo più di cinque anni di guerra, cinquecentomila morti e dieci milioni di profughi, le sorti della guerra in Siria sembrano volgere a favore di Bashar al Assad e dei suoi alleati. Non si può dire che l’esito sia oramai scontato, visti i capovolgimenti della situazione già avvenuti in passato, tuttavia dal terreno nelle ultime settimane sono arrivati dei segnali precisi.

In primo luogo la battaglia di Aleppo sembra stia per concludersi con la vittoria dei lealisti. Dall’inizio del conflitto la città – seconda della Siria, un tempo economicamente dinamica e artisticamente meravigliosa, ora ridotta in molte zone a un cumulo di macerie – è stata divisa tra le forze di Assad e i ribelli. Da inizio settembre 2016 i quartieri controllati dagli insorti, quelli orientali, erano sotto assedio, costantemente martellati dall’aviazione russa e siriana. Quasi tre mesi dopo, tra il 27 e il 28 novembre, le difese dei ribelli sono crollate in tutta la parte nord, immediatamente conquistata dai lealisti. Il 30 novembre il regime avanza anche da sud e da est. I civili stanno abbandonando i quartieri ancora sotto assedio a migliaia.

Al netto delle difficoltà che gli uomini del regime e i propri alleati (iraniani, iracheni sciiti, afghani, libanesi, russi) potranno incontrare nel liberare gli ultimi quartieri, con un’estenuante guerriglia casa per casa, le chance per gli insorti paiono ridotte a zero. Le ripercussioni, tattiche e psicologiche, di una vittoria del regime saranno da verificare, ma di sicuro lealisti e alleati metteranno al sicuro il corridoio Aleppo-Damasco – fondamentale strategicamente – e avranno il “momento” dalla propria parte.


Accanto alla battaglia di Aleppo, il regime ha poi incassato altre vittorie nei dintorni di Damasco. Dopo mesi di assedio diverse sacche ribelli hanno accettato l’accordo proposto dal regime: passaggio sicuro verso la provincia di Idlib (ancora saldamente in mano ai ribelli, in particolare a una coalizione di sigle islamiste) per chi vuol continuare a combattere e parenti, amnistia per chi rinuncia alla lotta. E anche le aree controllate dagli insorti a nord di Homs e a nord di Hama – altre due importanti città del Paese – sono state attaccate e indebolite nelle ultime settimane dall’aviazione russa e dalle forze di terra del regime di Assad. Nel medio periodo si può ipotizzare che il governo riprenda il controllo della quasi totalità dell’area costiera (la più ricca e popolosa) ancora controllata dagli insorti, con l’eccezione della provincia di Idlib, che potrebbe essere attaccata in forze in un secondo momento, e di alcune zone a sud, dove i ribelli sono spesso collegati più direttamente a Giordania e Usa (pertanto meglio equipaggiati ed addestrati) e dove Israele è molto attenta a colpire gruppi che ritiene pericoloso avere ai propri confini (su tutti, l’Hezbollah libanese).

Lo scontro con l’Isis è invece rinviato a un momento futuro, probabilmente quando non ci saranno più altri ribelli da combattere visto che la sola presenza dello Stato Islamico ha portato al regime di Damasco un forte consenso internazionale, e la strategia del regime di schiacciare l’intera ribellione sul “fanatismo islamico” ha finora pagato.


Questa “riscossa” di Assad nasce da una molteplicità di fattori. Principalmente ha pagato nel medio periodo l’intervento di Mosca, iniziato nel settembre 2015 e cresciuto di intensità nel corso dei mesi, ma non solo. Le divisioni tra fazioni ribelli, gli scontri di queste ultime coi curdi siriani e il massiccio contributo delle milizie sciite alla causa di Assad sono tutti fattori interni importanti. Se ne aggiungono poi altri esterni: si ragiona su un possibile “effetto-Trump” sulla situazione in Siria: in base alle dichiarazioni del neo-presidente sembra ci si possa aspettare un accordo con Putin (e Assad) sulla Siria a tutto svantaggio dei ribelli, oltre che dell’Isis. E questo potrebbe aver già causato un rallentamento nel sostegno americano ad alcune sigle di insorti, se non un freno all’aiuto che altri alleati (Sauditi e non solo) danno per abbattere Assad. Anche la Turchia, dopo aver sponsorizzato fortemente i ribelli per anni, pare abbia rallentato il suo sostegno in cambio del benestare di Putin all’operazione in territorio siriano “Scudo dell’Eufrate”, con cui Ankara mira a ripulire il confine meridionale dall’Isis e soprattutto dai curdi siriani.

Ma qui il quadro si complica nuovamente: un’altra mossa che pare abbia rafforzato sul terreno Assad è infatti l’alleanza sempre più stretta tra lealisti e curdi siriani del YPG. Insieme stanno combattendo ad Aleppo contro i ribelli, e soprattutto insieme stanno combattendo contro Turchia e ribelli filo-turchi più a nord, contendendosi la cittadina strategica di Al Bab, ora in mano all’Isis (fondamentale per i curdi, tanto da praticamente interrompere l’offensiva su Raqqa, per unificare i propri cantoni e fondamentale per Ankara per l’opposto motivo). Erdogan specularmente è tornato a parlare di “abbattere il regime siriano”, dopo mesi in cui pareva aver abbandonato il proposito, e ha dichiarato che l’operazione “Scudo dell’Eufrate” ha la caduta di Assad come obiettivo ultimo.

Come possa dunque la Turchia fare accordi con la Russia, quando quest’ultima è alleata di Assad che si è ora alleato coi curdi, rimane un mistero. Forse alla fine verranno sacrificati i curdi, forse verrà sacrificata la Turchia, di sicuro chi dà le carte è Putin, e Assad per ora ne trae il massimo beneficio.