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I Paesi asiatici contro il terrorismo

7 Dicembre 2016

La Dichiarazione di Amritsar potrebbe gettare le basi di una pacificazione mediorientale

Dalla tragica data dell’11 settembre 2001, una parola è entrata nel vocabolario della politica estera occidentale e da allora ha convissuto con tutti quei vocaboli utilizzati per parlare di sicurezza e difesa delle Nazioni: il terrorismo. Il terrorismo, specialmente quello di stampo estremista islamico, diventa argomento sempre più attuale man mano che si verificano attentati in Occidente come in Oriente: il terrorismo è il nemico numero uno dei nostri tempi.
Difficile da combattere, in grado di sopravvivere e di rimanere quiescente per lunghissimi periodi, un tale tipo di organizzazione risulta essere simile ad un pericoloso virus, dal quale non si può mai essere certi di essere guariti. La cura contro il terrorismo non è certo facile da trovare, tantomeno da applicare: occorre possedere una conoscenza antropologica completa e priva di ogni fazioso pregiudizio sugli strati sociali e sulle popolazioni dove le organizzazioni terroristiche (e in questo caso le jihadiste) fanno più proseliti, per poi cancellare i presupposti che spingono gli adepti ad aderire o a continuare un tale tipo di lotta. Questa formula viene già applicata da moltissimi Paesi occidentali, i quali tentano con ogni mezzo di combattere e annientare le cellule e le reti jihadiste che si vengono a creare inevitabilmente in ogni zona del Mondo: il terrorismo del 21° secolo è globalizzato e viaggia sui social e sulla rete.
A dispetto di quanto si possa pensare (o possa essere divulgato da una propaganda dalle tendenze xenofobe) il jihadismo in Occidente non è strettamente connesso agli ultimi fenomeni migratori, come non lo è al solo Credo religioso: la maggior parte dei musulmani immigrati in Europa negli scorsi anni mostra di non volersi associare o supportare le azioni dei terroristi europei, i quali sono nella maggioranza dei casi immigrati di seconda generazione, oppure, addirittura, occidentali convertiti ad un Islam che poco ha a che vedere con i precetti del Corano. Gli sforzi degli attentatori in occidente sembrano più che altro dovuti ad un desiderio nichilista di generare caos, desiderio di destabilizzare il Mondo in cui sono cresciuti o in cui vivono; le circostanze vogliono che essi sguainino la ‘Spada del Jihad’ esclusivamente per trovare una qualche legittimazione alle loro azioni. Logicamente questo ragionamento, fatto su basi esclusivamente statistiche, non inquadra ogni singolo caso di jihadismo europeo, di cui bisognerebbe analizzare anche gli aspetti psicologici e comportamentali.
Non è soltanto l’Occidente, tuttavia, sotto il mirino del terrorismo jihadista; l’area geografica che noi etichettiamo approssimativamente come Medio Oriente, è letteralmente devastata da una crescente escalation di violenza, dove la guerra si alterna con guerriglia e terrorismo, dove gli attacchi si verificano con spietata monotonia.