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Poesia del giorno. Herberto Helder

Quello che è scritto nel mondo è scritto da lato

Quello che è scritto nel mondo è scritto da lato
a lato del corpo − e tu, pura allucinazione della memoria,
entra nel mio cuore come un braccio vivo:
il giorno porta i paesaggi dal loro interno, la notte è un grande
buco selvaggio −
e la voce si afferra a tutto lo spazio, dall’epicentro alle costellazioni
dei membri aperti: e irrompe il sangue
delle immagini feroci:
le rotule unite ai denti e,
come un sesso solcato:
la bocca espelle tra le ginocchia il suo grido con la profondità
di un paesaggio − un paesaggio strappato al mezzo della notte, con getti
di luce
precipitati: perché non c’è ricordo
dei giardini raffreddati con i loro piccoli pianeti
fotostatici
che levitavano − la follia è così vicina che il mio braccio
penetra nell’acqua, e questo studio dove scrivo
sale
dai precipizi curvi, forte fin dal profondo:
quello che si scrive è il corpo stesso inchiodato come una stella
alla porpora dei legnami, alle lenzuola
offuscanti piene di sangue, di acqua
magnetizzata − e questa sala che brilla si appoggia alle spalle,
e in basso la bruciatura
degli intestini arde del cibo: i capelli rilucono, il viso
piantato
nel suo palo di sangue come una grande vena animale –
ho il sangue fino alle orbite: la stella chiusa si leva
nel vortice della gola – e alzo la mano ed esplode
cinematograficamente
l’immagine della stessa mano
affogata
– perché io muoio della mia vita grave: la lunga palpebra
del corpo si serra
sulla fessura nera aperta al paesaggio che corre
come una fiamma
per tutta la casa – mietetemi i capelli alla luce
panoramica: e nelle radici sanguinanti
la testa si brucia come la luna brucia le vesti
alzate – il vento che cresce in quei capelli cresce
dentro di me: il mio cuore aumenta come una pietra
aumenta
esposta alle mani come un’altra mano
di carne larga – questo
osso proibito che rischiara il fondo della chioma che tagliano
come si taglia la notte
con una talee, e le ossa si tagliano a piena voce,
nella terra, in un incendio completo, mentre
mietono: perché c’è una testa al centro
dello choc
del corpo: una testa mossa dal riflusso oscuro dei giorni
senza fratture: la testa
che vede e odora e che si apre e chiude
e sente e rifulge e morde
e mangia in fretta e respira in dentro e in fuori –
e la voce ascende da tutte le radici intrecciate
– la vastità, il sangue, il movimento: la frutta in chiarore
tra le unghie,
fiamme, un puro genio mondiale – tutto come una forma limpida,
sutura
del cuore, una leggerezza tremenda
nel potere: quando il giorno è molto vicino, una stella lunga
– le madri brillavano: quel che io scrivo, loro lo scrivevano
nell’ustione del paesaggio: una visione
chiusa dalla forza: e una cometa nasce
dalla bianca carneficina della memoria, ribollendo
tra ascelle e falangette come
un braccio, o una danza risplendente nel suo tessersi fino alle palpebre –
quel che si ricorda e pulsa: fibre
vive
di un bastone immerso nell’acqua,
e intorno i pianeti oscillano come foglie che cantano
dall’abisso –
le dita delle madri nelle linee sanguinanti che cuciono
profondamente
lo specchio e l’immagine, come con le arterie si cuce
il cuore
ai pezzi di carne, tra orifizi
neri, risacche
folgoranti, il corpo aperto con il centro fermato nella terra.