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Migranti, le politiche Ue dopo il flop di Orban

3 Ottobre 2016

Stop al referendum ungherese. Ora serve un piano comunitario a lungo termine. Ma tutti i leader devono fare concessioni. L’esperto Kahanec lo illustra a L43.

Più della metà degli elettori ha snobbato il premier ungherese Viktor Orban disertando il referendum del 2 ottobre contro le quote profughi dell’Ue.
Meno del 40% dei voti è tra l’altro risultato valido: una sconfitta per il governo conservatore che, capofila del gruppo dell’Est di Visegrad, ambisce a fermare le politiche d’accoglienza europee.
Orban è ora intenzionato a passare sopra la volontà popolare, ma la sua forza di contestazione si è indebolita.
TUTTI CONTRO ORBAN. Socialisti e sinistra radicale festeggiano in piazza l’astensionismo e, con l’estrema destra dello Jobbik, chiedono le dimissioni del premier anche per gli oltre 32 milioni di euro sprecati nella propaganda del referendum.
«Insistere nel bloccare i flussi che comunque aumenteranno non è solo inutile, ma anche dannoso per le economie nazionali. Piuttosto bisogna incanalarli», spiega a Lettera43.it l’esperto di Politiche migratorie a livello internazionale Martin Kahanec nel suo studio alla Central European University di Budapest, polo accademico liberal finanziato dall’ungherese naturalizzato americano George Soros.
UN PIANO A LUNGO TERMINE. Ricercatore a Harvard e advisor della Commissione Ue, l’economista è «contro i populismi e gli estremismi che stanno prendendo campo in Europa, un pericolo non solo per i migranti ma per la democrazia», e invita «tutti i leader degli Stati membri a sedersi a un tavolo per concordare politiche d’accoglienza chiare e a lungo termine, dei profughi e di parte dei migranti economici».
«Un compito non certo facile», commenta Kahanec, «ma le recriminazioni sono l’ultima cosa di cui oggi ha bisogno l’Ue».

L’esperto di politiche migratorie Martin Kahanec della Central European University di Budapest.

DOMANDA. Perché è così difficile trovare un’intesa comune sugli ingressi dei migranti nell’Ue?
RISPOSTA. Per la complessità della questione e per la propensione dei governi degli Stati membri a perseguire ancora politiche d’interesse nazionali, talvolta in conflitto tra loro.
D. La questione è complessa, ma la Commissione di Bruxelles avrà a disposizione dei tecnici esperti dei fenomeni migratori.
R. Certamente, e infatti da tempo a Bruxelles si ha un’idea di come muoversi sulla problematica che è cruciale per il futuro dell’Ue e che va affrontata con un piano articolato a lungo termine. È una grande sfida, per la quale serve costruire un team di lavoro. Ma il problema alla base sono le tensioni politiche tra Stati membri.
D. Quali sarebbero le linee guida di un possibile piano comunitario sui flussi?
R. Tre punti: dare aiuto umanitario ai richiedenti asilo da guerre e aree di crisi, assorbire anche parte dei migranti economici, rendere infine la loro integrazione sostenibile per i cittadini dell’Unione europea.
D. Perché l’Ue dovrebbe accogliere anche parte dei cosiddetti migranti economici? Si insiste molto nella distinzione dai profughi.
R. Gli immigrati hanno finora portato dinamismo e innovazione nel mondo del lavoro: la mobilità è arricchimento, lo si è visto per esempio in Canada e negli Stati Uniti con gli studenti e i ricercatori stranieri rimasti, tanto più che in Ungheria e in altri Paesi dell’Ue c’è bisogno di manodopera, specie qualificata. Ciò non toglie che abbiamo il diritto di sceglierla, questa forza lavoro.
D. In che modo?
R. Per esempio con sportelli informativi sulle normative Ue e anche di reclutamento nei Paesi d’origine, attraverso test linguistici e selezioni per titoli e competenze. L’essenziale è prevenire altri arrivi di massa come nell’estate del 2015 che alimentano il caos e la paura, un ostacolo all’integrazione e benzina per le forze xenofobe ed estremiste.
D. Che responsabilità ha su quest’ondata la cancelliera tedesca Angela Merkel che per anni ha richiamato gli Stati dell’Ue alle proprie responsabilità e poi ha aperto a «tutti i siriani»?
R. Si è favorito l’accumulo, innescando poi flussi incontrollabili. Ma sono convinto che la sua volontà fosse fare un’azione umanitaria, che è positivo. Ora viene il difficile per la Germania: l’inserimento sostenibile dei profughi nella società, che è poi la meta ultima anche dell’Ue. Se fallisce Merkel fallisce tutta l’Europa.

Il premier ungherese Viktor Orban al voto contro i migranti (Getty).

D. Nell’Ue le resistenze al melting pot sono più forti negli Stati dell’Est membri o amici del gruppo di Visegrad.
R. Vero. I governi di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia rifiutano le quote di ripartizione dei profughi e altri Stati vicini solidarizzano con loro. Ma in realtà la percezione negativa sugli stranieri è mainstream, l’opposizione euroscettica e anti-migranti monta anche nella parte occidentale: nella Gran Bretagna della Brexit, nella Francia di Marine Le Pen, in Germania e Austria…
D. Perché con muri e respingimenti non si potranno comunque fermare le migrazioni?
R. In primo luogo sono risposte non umane che aggiungono altri traumi a popolazioni già vittime di crisi e di problematiche mondiali in aumento, che a loro volta ingrossano i flussi.
D. Le guerre e la maggiore instabilità in Africa e in Medio Oriente.
R. Ma anche le difficoltà economiche di un numero crescente di Paesi, cambiamenti climatici e altri disastri ambientali.
D. Si può dire che il Vecchio continente viva la più grande ondata migratoria degli ultimi secoli?
R. Sì, caduta la Cortina di ferro nel 1989 ci furono flussi dall’Est Europa ma non di questa portata. E poi la situazione odierna è molto più delicata per il dibattito su altre questioni sensibili che si è sviluppato attorno ai migranti, come l’islamofobia e l’allarme terrorismo.
D. È giusto l’accordo tra Ue e Turchia per tamponare la rotta dei Balcani?
R. Serviva una soluzione veloce in quel momento e per questo i campi in Turchia sono stati d’aiuto. Ma la risposta che deve dare l’Europa a lungo termine è, come detto, assai più complessa: occorre un lavoro di ricerca e pianificazione.
D. Sui protocolli comuni, e non solo sui migranti, finora sono stati commessi diversi errori dai politici e anche dai tecnici di Bruxelles.
R. Io stesso ho visto e vedo tutti i giorni fare errori. Alcuni rilievi degli Stati dell’Est sono corretti, c’è tra l’altro anche da risolvere il problema dei profughi e dei migranti economici che non vogliono restare in questi Paesi per mancanza di prospettive. Ma davvero l’ultima cosa di cui in questo momento c’è bisogno nell’Ue è recriminare.
D. Andare avanti con la moral suasion anche verso Orban?
R. Bisogna sedersi tutti attorno a un tavolo e ogni leader Ue dovrà fare concessioni, non c’è altra strada che la concertazione.
D. Ce la faranno nonostante i distinguo e il radicalismo crescente delle opposizioni?
R. Al vertice Ue di Bratislava si sono fatti dei piccoli passi in avanti sull’immigrazione per arrivare, prima o poi, a un piano chiaro, strutturato e condiviso. Sono un paneuropeista.