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Succede a tutte, senza che ve ne rendiate conto

24 Novembre 2015


Succede ogni volta che mi ritrovo a parlare o a scrivere di questioni femminili. Di cose come il ‘dress code’, la cultura dello stupro e il sessismo. Mi arrivano commenti come questi: Ma non hai cose più importanti di cui preoccuparti? Non gli stai dando troppa importanza? Non è che sei ipersensibile? Sei proprio sicura di trattare la cosa in modo razionale?

Ogni. Singola. Volta.

E ogni singola volta mi sento frustrata. Perché non lo capiscono?

Credo di essere arrivata a comprenderlo.

Loro non ne sanno niente.

Non sanno niente di che cosa significhi il ridimensionare. Il minimizzare. La muta accondiscendenza.

Che diamine, perfino noi donne, che tutte queste cose le viviamo sulla nostra pelle, non ne siamo sempre consapevoli. Ma noi tutte l’abbiamo fatto.

Tutte abbiamo imparato — istintivamente, o per prove ed errori — come fare per minimizzare una situazione che ci mette a disagio. Come evitare di far arrabbiare un uomo, o di trovarci in pericolo. Noi tutte, in più occasioni, abbiamo ignorato un commento offensivo. Tutte ci siamo scrollate di dosso con una risata un approccio inappropriato. Tutte abbiamo ingoiato la nostra rabbia sentendoci sminuite o trattate con condiscendenza.

Non ti fa stare bene. È nauseante. Sporco. Ma lo facciamo perché non farlo potrebbe metterci a repentaglio, farci licenziare o vederci etichettate come stronze. Così, di norma, intraprendiamo la strada meno rischiosa.

Non è qualcosa di cui parliamo ogni giorno. Non lo facciamo notare ogni volta che accade ai nostri fidanzati, mariti e amici. Perché è talmente frequente, talmente pervasivo, da esser diventato qualcosa con cui convivere.

Quindi forse non ne sanno niente.

Forse non sanno che alla tenera età di tredici anni ci siamo dovute scrollare di dosso lo sguardo di uomini adulti che se ne stavano lì a fissare i nostri seni. Forse non sanno che uomini dell’età di nostro padre venivano a provarci quando stavamo alla cassa. Probabilmente non sanno che quel tipo che a lezione d’inglese ci aveva chiesto d’uscire, dopo ha cominciato a mandarci dei messaggi rabbiosi per il semplice fatto che l’avevamo rifiutato. Potrebbero non esser consapevoli del fatto che il nostro supervisore ci dia costantemente delle pacche sul culo. E sicuramente non sanno che quando sorridiamo, perlopiù lo facciamo a denti stretti. Che guardiamo dall’altra parte, o facciamo finta di non accorgercene. Probabilmente non hanno idea della frequenza di cose come queste. Di come esse siano diventate abitudinarie. Talmente non sorprendenti che quasi non ci facciamo neanche più caso.

Talmente abitudinarie che ci diamo la briga di dare l’impressione d’ignorarle e minimizzare.

Celando la nostra rabbia repressa, la paura e la frustrazione. Un sorriso abbozzato o una risatina ci permetteranno di procedere nella nostra giornata. Noi ridimensioniamo. Noi minimizziamo. Lo facciamo sia fuori che dentro di noi. Ci tocca. Se non liquidassimo la cosa ci metteremmo in condizioni di dover discutere più spesso di quanto la maggior parte di noi si senta incline a fare.

Come farlo lo s’impara già da giovani. Non gli abbiamo dato un nome, o un’etichetta. Non ci siamo neanche fermate a riflettere sul fatto che le altre ragazze facessero la stessa cosa. Ma lo stavamo insegnando a noi stesse, stavamo acquisendo padronanza dell’arte del ridimensionare. Quali dovessero essere le nostre reazioni, e quali no, lo si imparava osservando, e valutandone presto i rischi.

“È questa la realtà della donna nel nostro mondo. È lo scrollarsi di dosso il sessismo con una risata, perché si ha la sensazione di non avere alternative”.

Ci facciamo un rapido calcolo mentale. Sembra instabile, iracondo? C’è altra gente intorno? Sembra ragionevole e sta solo cercando di fare lo spiritoso, per quanto in modo maldestro? Replicare inciderebbe sul mio percorso scolastico/lavoro/reputazione? Nel giro di pochi secondo siamo in grado di stabilire se rispondere in qualche modo o lasciar correre. Se affrontarlo o voltarci da un’altra parte, sorridere cortesemente o fingere di non aver sentito/visto/percepito.

Succede costantemente. È non è sempre chiaro se la situazione sia pericolosa o innocua.

È il tuo capo che dice o fa qualcosa d’inappropriato. È il cliente che per darti la mancia te l’allontana, attirandoti a sé per farsi abbracciare. È l’amico maschio che ha bevuto troppo e prova a metterti all’angolo aspirando a uno di quei momenti da “amici con benefici” che gli avevamo già spiegato non interessarci. È il tipo che s’arrabbia se gli neghi un appuntamento. O un ballo. O un drink.

Lo vediamo accadere alle nostre amiche. Lo vediamo accadere in così tanti scenari e circostanze diverse che diventa la norma. E davvero non ci facciamo neanche caso. Fino a quando non ci si avvicina a una situazione pericolosa. Finché il cosiddetto amico che ci ha spinte in un angolo, il giorno dopo viene accusato di stupro. Finché il nostro capo non mantiene la sua promessa di darci un bacio a capodanno, incontrandoci da sole in cucina. Quelle occasioni spiccano. Sono quelle di cui potremmo trovarci a parlare ai nostri amici, ai nostri fidanzati e ai nostri mariti.

Ma in tutte le altre occasioni? Tutte le volte che ci siamo sentite a disagio o tese ma non è successo niente? Quelle volte che andiamo avanti a farci gli affari nostri e non ci ripensiamo nemmeno.

È questa la realtà della donna nel nostro mondo.

È lo scrollarsi di dosso il sessismo con una risata, perché si ha la sensazione di non avere alternative.

È il sentirsi rivoltare lo stomaco essendo state costrette a “stare al gioco” per andare d’accordo.

È il sentirsi in colpa, e il rimpianto di non aver affrontato quel tipo, che pareva inquietante, ma in retrospettiva era probabilmente innocuo. Probabilmente.

È tirare fuori il cellulare, e tenere il dito sul pulsante “chiama” quando di sera camminiamo da sole.

È tenersi strette fra le dita le chiavi, nel caso ci servisse un’arma mentre stiamo tornando alla nostra automobile.

È il dover mentire dicendo che abbiamo un ragazzo per convincere un tipo ad accettare il nostro “No”.

È il trovarsi in un bar/concerto/qualsiasi evento affollato, e doversi voltare in cerca dello stronzo che ci ha appena palpato il culo.

È il sapere che se anche lo individueremo, potremmo finire per non dirgli niente.

È attraversare a piedi il parcheggio di un ipermercato, ricambiando per cortesia il ‘Ciao’ di un tipo che ci ha appena salutato. È fingere di non sentire quando poi lui ci rimprovera per non esserci fermate a parlargli. Beh? Sei troppo figa per rivolgermi la parola? Hai qualche problema? Pffft… stronza.

È il non raccontarlo ai nostri amici, ai nostri genitori o ai nostri mariti perché è un qualcosa di scontato, una parte delle nostre vite.

È un ricordo che ci perseguita, di quella volta che hanno abusato di noi, che ci hanno aggredite o stuprate.

È il racconto della nostra amica, riferito fra lacrime strazianti, di quella volta che hanno abusato di lei, che l’hanno aggredita o stuprata.

È rendersi conto che i rischi percepiti ogni qual volta ci troviamo a scegliere come affrontare queste situazioni non sono affatto immaginari. Perché di donne che sono state abusate, aggredite o stuprate ne conosciamo fin troppe.

“Forse comincio a capire che se mi limito a scrollare le spalle e non faccio storie non aiuterò nessuno”.

Di recente mi sono resa conto che tanti ragazzi potrebbero non esserne consapevoli. Hanno sentito cose che sono accadute, magari a volte l’hanno viste accadere e sono intervenuti per impedirle. Ma con tutta probabilità non hanno alcuna idea della loro frequenza. Di quanto incidano su gran parte di ciò che diciamo e facciamo, e sul come ci comportiamo.

Magari dovremmo spiegarlo meglio. Magari dobbiamo smetterla d’ignorarlo, di minimizzare dentro di noi.

Che dire di tutti quelli che liquidano una donna che parla di sessismo nella nostra cultura, o che non le prestano attenzione? Non sono cattivi. Semplicemente non hanno esperito la nostra realtà. D’altronde noi, di tutto ciò a cui assistiamo e che viviamo quotidianamente, non parliamo. Quindi come potrebbero saperlo?

E allora, forse, i bravi uomini delle nostre vite non hanno idea di come noi ci troviamo a fare regolarmente i conti con questa roba.

Forse per noi è talmente la norma che non ci è passato nemmeno per la testa che dovessimo dirglielo.

Mi è balenato in mente che non ne conoscano le proporzioni, e che non sempre si rendano conto di come questa sia la nostra realtà.

E quindi, già, quando mi accaloro per un commento sull’abitino succinto di una ragazza, non sempre mi capiscono. Quando me la prendo per la quotidianità del sessismo che vedo, che osservo e a cui assisto… quando sento ciò che mia figlia e le sue amiche si trovano a vivere… non si rendono conto che è solo la minuscola punta di un iceberg molto più grosso.

Magari ciò di cui mi sto rendendo conto che è che non ci si può aspettare che gli uomini comprendano la pervasività del sessismo quotidiano se non cominciamo a dirglielo, e a indicarlo quando succede. Magari sto cominciando a capire che gli uomini non hanno la più pallida idea di come, anche solo entrando in un negozio, le donne debbano stare sul chi va là. Inconsciamente, dobbiamo sempre prestare attenzione all’ambiente intorno a noi, e ai rischi percepiti.

Forse comincio a capire che se mi limito a scrollare le spalle e non faccio storie non aiuterò nessuno.

Noi minimizziamo.

Siamo terribilmente conscie della nostra vulnerabilità. Conscie del fatto che, semmai lo volesse, quel tipo nel parcheggio dell’iper potrebbe sopraffarci, e fare di noi ciò che vuole.

Ragazzi, questo è ciò che significa essere una donna.

Veniamo trasformate in oggetti sessuali prima ancora di capire che cosa ciò voglia dire. Nel corso del nostro sviluppo, quando diventiamo donne, le nostre menti sono ancora innocenti. Ma riceviamo sguardi e commenti prima ancora di aver imparato a guidare. Da uomini adulti. Non ci sentiamo a nostro agio, ma non sappiamo che farci, quindi andiamo avanti con le nostre vite. Come apprendiamo già in tenera età, reagire a ogni situazione che ci mette a disagio può significare metterci a rischio. Ci rendiamo conto di essere il sesso debole, per proporzioni e forza fisica. Che i ragazzi e gli uomini sono in grado di sopraffarci, se lo vogliono. Così ridimensioniamo e minimizziamo.

Perciò la prossima volta che una donna racconta d’essere stata molestata verbalmente, e spiega come ciò l’abbia messa a disagio, non liquidatela. Ascoltate.

La prossima volta che vostra moglie si lamenta per il fatto d’essersi sentita chiamare “tesoro” al lavoro, non scrollate apatici le vostre spalle. Ascoltate.

La prossima volta che leggete o sentite una donna che critica il linguaggio sessista, non ridicolizzatela. Ascoltate.

La prossima volta che la vostra ragazza vi dice che il modo in cui un tipo si è rivolto a lei l’ha fatta sentire a disagio, non scrollate le spalle. Ascoltate.

Ascoltate, perché la vostra realtà non è la stessa.

Ascoltate, perché i suoi timori sono fondati, non esagerati o esasperati.

Ascoltate, perché la realtà è che lei o qualche altra donna di sua conoscenza a un certo punto nel corso della propria vita è stata abusata, aggredita o stuprata. E lei sa che il pericolo che ciò le accada è sempre presente.

Ascoltate, perché perfino il più semplice commento di un tipo strano può generare in lei ondate di paura.

Ascoltate, perché potrebbe cercare di far sì che la sua esperienza non diventi quella delle proprie figlie.

Ascoltate, perché ad ascoltare non si fa mai niente di male.

Solo. Ascoltate.