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SPARIZIONI FORZATE IN EGITTO LA STORIA DI GIULIO REGENI NON È UN CASO ISOLATO!

Amnesty International

La brutale uccisione di Giulio Regeni ha scioccato il mondo, ma ha anche acceso i riflettori sul metodo delle sparizioni forzate praticato in maniera sistematica oggi in Egitto.

Un nuovo modello di violazione dei diritti umani che i ricercatori di Amnesty International hanno documentato attraverso fatti e testimonianze. Il quadro che ne risulta è allarmante: in media tre-quattro persone al giorno sono vittime di sparizioni forzate nel paese. Una strategia mirata e spietata dell’Agenzia per la sicurezza nazionale guidata dal ministro degli interni egiziano Magdy Abd el-Ghaffar.

Dal 2015 centinaia di egiziani tra cui studenti, attivisti politici, manifestanti e altri sono stati sottoposti a sparizione forzata per giorni o mesi. Le vittime, compresi bambini, vengono trattenute in centri di detenzione non riconosciuti, senza alcuna supervisione giudiziaria, e sottoposti a maltrattamenti e torture al fine di ottenere una “confessione”.

 Scariche elettriche, pestaggi, violenze.
Le storie delle vittime delle sparizioni forzate in Egitto

Un volto irriconoscibile, su cui si è abbattuto “tutto il male del mondo”, ha raccontato Paola, la mamma di Giulio Regeni, studente italiano ucciso in Egitto. “Ho riconosciuto Giulio solo dalla punta del naso. Quello che è successo non è un caso isolato”. Il caso di Giulio ha svelato al mondo il metodo delle sparizioni forzate in Egitto.

Islam ha confessato reati che non ha mai commesso. Lo ha fatto dopo 122 giorni di torture passati quasi tutto il tempo bendato e ammanettato. Dopo essere stato pestato ripetutamente, Islam ha raccontato di essere stato appeso al soffitto della sua cella con una catena di ferro. I suoi carcerieri hanno continuato a usare violenza su di lui fino a quando non ha perso conoscenza. Il 30 agosto 2016, dopo aver pagato una cauzione di più di 5mila dollari, è stato rilasciato.

La vita di Karim è cambiata nella stazione di polizia di Dar el Salam. Quando gli agenti della Nsa lo hanno fermato era un semplice studente di ingegneria di 22 anni. Oggi rischia di essere condannato a morte perché costretto a confessare di volersi unire allo Stato Islamico. Karim ha confessato dopo circa quattro mesi dalla sua scomparsa. Gli agenti lo hanno ammanettato e bendato, picchiato con dei bastoni e utilizzato scariche elettriche anche sui genitali.

Aser ha solo 14 anni, ma ha già visto l’inferno. Per tre giorni consecutivi. Lo ricorderà per tutta la vita, guardando le cicatrici sulle braccia, segni visibili delle torture inflitte dai suoi carcerieri che si sono accaniti anche sulla sua lingua, sulle sue labbra e sul suo petto. Si sono fermati solo quando Aser ha accettato di dire loro qualunque cosa.