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Il caos Roma è il fallimento definitivo della società civile in politica

7 Settembre 2016

Da Berlusconi a Renzi, dai girotondi al Movimento: sono trent’anni che proviamo a sostituire la classe politica con dilettanti, tecnici e ottimati. Non ha mai funzionato: in nome della specializzazione, non potremmo lasciare la politica ai politici

Dare contro al politico di professione è sport nazionale, in Italia, almeno da una trentina d’anni. Gente che sa solo parlare e raccogliere voti, che non ha mai lavorato un giorno in vita sua, che non ha competenze specifiche su nulla. «Ci vorrebbe un agronomo all’agricoltura, un medico alla sanità, un generale alla difesa», si diceva. Era l’estate del 1992, i bagnasciuga trasudavano indignazione e dal mare soffiava aria di rivoluzione. Eravamo agli albori della grande purga, ma le monetine già tintinnavano nelle tasche e le teste già rotolavano ai piedi della ghigliottina. Una classe politica di figli dell’apparato in grisaglia stava per essere spazzata via e c’era una gran voglia di società civile, di specialisti, di tecnici, di non politici.

A intuire e intercettare questo desiderio prima di chiunque altro è Silvio Berlusconi, che costruisce un partito-non partito, con un leader, ma senza apparato, senza sezioni, ma con club di geometri e dentisti e manager di Publitalia. La gioiosa macchina da guerra di Occhetto, un politico di professione circondato da politici di professione, che già si vedeva a Palazzo Chigi, viene schiantata nel giro di pochi mesi.

Puntuale, anche la sinistra si adegua immediatamente all’andazzo. Fa di Romano Prodi il suo leader e dei tecnici al potere il suo mantra. Vince le elezioni, il Professore, ma, privo di armate, viene impallinato in pochi mesi da un Parlamento di politici, che non sa e non è in grado di controllare. La retorica, c’è da dire, non cambia: è sempre colpa degli inciuci, di Bertinotti, D’Alema e Cossiga nell’ordine che volete voi. In altre parole, della politica e dei politici.

«Con questi leader non vinceremo mai», strilla il regista Nanni Moretti dal palco di Piazza Navona, poche settimane dopo la nuova vittoria di Silvio Berlusconi alle elezioni del 2001, contro Rutelli (un politico). Nascono i girotondi e la società civile che circonda i palazzi del potere. E soprattutto, il Partito, con la P maiuscola, ultimo mausoleo rimasto in piedi della politica di professione che fu. I leader spirituali di questo movimento – per ora con M minuscola – sono giornalisti come Marco Travaglio, cantanti come Roberto Vecchioni, comici come Daniele Luttazzi e Beppe Grillo, che col suo blog è diventato uno dei principali opinion maker della Rete.

Reietto del piccolo schermo, Grillo – e ancor meglio e più di lui il suo sodale Gianroberto Casaleggio – capisce la società civile sta cominciando a transumare dal divano del tinello al web. Così, invece che pietire spazi televisivi e inveire contro “l’occupazione della politica” nella Rai – come fa invece Michele Santoro, altro tribuno della società civile e degli ottimati in politica – gioca la sua partita nelle praterie di internet.

Complice l’ennesimo autodafé del centrosinistra e l’ennesima vittoria di Berlusconi contro Veltroni (un politico) teorizza la nascita di un Movimento che dei girotondi prende l’anima giustizialista, rifuggendo tuttavia dal loro spirito elitario, intellettuale e radical chic. È arrivata la crisi e essere ricchi non è più di moda. Ed è passato pure Monti, con i suoi tecnici, e non è più nemmeno granché popolare essere specialisti.

La vittoria di Chiara Appendino a Torino (contro Piero Fassino, politico) e di Virginia Raggi a Roma (contro Roberto Giachetti, politico) sono l’ultimo modello di società civile al potere, la prova tecnica dell’uomo qualunque – nella fattispecie il giovane webmaster Luigi Di Maio – a Palazzo Chigi
Il Movimento esplode in mano a Grillo, ben oltre ogni sua previsione. Un misconosciuto tecnico informatico, tale Federico Pizzarotti, diventa sindaco di Parma contro il candidato del centro sinistra (un politico). Ed è proprio quel giorno, dice chi c’era, che Renzi decide che è il suo momento. Da qualche anno, l’allora sindaco di Firenze, stava organizzando una manifestazione che era la rappresentazione di un altro civismo. Più gentile, meno incazzato, ma pur sempre civismo. Renzi è un politico di professione, certo, ma sul palco della Leopolda, a lanciarne l’ascesa ci sono scrittori come Alessandro Baricco, imprenditori come Oscar Farinetti e Giorgio Gori, fenomeni mediatici come Fabio Volo.

L’operazione – che i politologi arrivano a battezzare come anti-politica – funziona, anche perché alle elezioni del 2013 Grillo e il suo Movimento Cinque Stelle – che sceglie i candidati attraverso un casting di gente comune sul suo blog – impallinano Bersani (politico) e pure Mario Monti (tecnico). Renzi si prende il Partito Democratico e defenestra Enrico Letta da Palazzo Chigi, ma una volta finita la luna di miele si scopre per quello che è: un politico di professione, pure lui. Così Grillo riguadagna consensi e la società civile la speranza di poter, ancora una volta, dire la sua.

La vittoria di Chiara Appendino a Torino (contro Piero Fassino, politico) e di Virginia Raggi a Roma (contro Roberto Giachetti, politico) sono l’ultimo modello di società civile al potere, la prova tecnica dell’uomo qualunque – nella fattispecie il giovane webmaster Luigi Di Maio – a Palazzo Chigi. La crisi arriva a pochi metri dalla riva, però: senza un partito e una classe dirigente alle spalle, la Raggi riempie le caselle degli assessorati di tecnici e specialisti. Come Paola Muraro, assessora all’ambiente, un passato da consulente di Ama, la municipalizzata dei rifiuti di Roma, che dovrebbe risanare.

Non sappiamo come finirà, ma se Virginia Raggi si schianterà alla prima curva del suo mandato sarà per il conflitto d’interesse della Muraro, prigioniera del suo passato di specialista. E per l’impoliticità sua, dei tecnici di cui si è circondata e di chi la manovra dall’alto. Non abbiamo dubbi, tuttavia, che da questo fallimento verrà fuori l’ennesima versione della società civile in politica. E che nessuno si porrà una domanda rimasta senza risposta dal 1992: ma in nome della specializzazione, non potrebbero farla i politici, la politica?