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Gli Atleti Olimpici Rifugiati hanno tantissimo da offrire, malgrado le loro storie tragiche

6 Settembre 2016


Le Olimpiadi di Rio 2016 si sono concluse, e i giochi sono fatti. Eppure, una delle immagini che resterà più a lungo nella memoria non ritrae qualche prodezza sportiva compiuta in uno stadio. Si tratta dei murales che, per le strade di Rio, rendono omaggio agli atleti della squadra olimpica dei rifugiati [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione]:

Che capolavoro! La street art di Rio rende omaggio alla squadra olimpica dei rifugiati.
Ognuno di questi atleti ha la sua storia, fatta di sfide particolarmente ardue da superare per arrivare fino a Rio. È questo cammino il simbolo dello spirito olimpico, di quei valori che a volte vengono offuscati da episodi di corruzione, doping e polemiche.

Un ispirante video racconta una di queste storie:



Una standing ovation travolgente ha accolto l’arrivo della squadra “che viene da lontano” all’apertura di questa edizione dei Giochi.

“Il Dolore comincia ad attenuarsi.”

Yolande Mabika viene da Bukavu, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Come il suo compagno di squadra Popole Misenga, Yolande è una judoka.

I combattenti ribelli hanno attaccato il suo villaggio quando lei aveva solo otto anni, e quella è stata l’ultima volta che Yolande ha visto la sua famiglia. In seguito, è stata accolta in un orfanotrofio di Kinshasa. Stanca dei ripetuti abusi da parte della federazione congolese, ha chiesto asilo al Brasile.

Yolande parla della sua storia e delle speranze per la sua vita dopo i Giochi:


“Spero che le Olimpiadi mi aiutino a ritrovare la mia famiglia”


Penso ancora al Congo, ma sempre di meno – ora fa parte del mio passato e non penso più alla mia famiglia in ogni momento. I ricordi restano, ma il dolore è scomparso. Ho accettato il fatto che potrei non rivederli mai più. Adesso è il Brasile la mia patria e io voglio restare qui e costruirmi una nuova vita… Vorrei lavorare con ragazze come me, che non hanno avuto fortuna nella vita, per aiutarle a superare gli stessi problemi che ho affrontato io. Non mi fermerò. Adesso tutto il mondo sa che sono un’atleta olimpica e io continuerò ad allenarmi per essere sempre più forte ad ogni gara.
“Mai arrendersi”

Foto del giorno – Le nuotatrici Estellah Fils e la rifugiata siriana Yusdra Mardini, dopo la gara dei 100 metri stile libero.
Yusra Mardini è nata il 5 marzo 1998 a Damasco, in Siria. La sua storia è ben nota, ma merita di essere raccontata ancora e ancora. Nel 2015, con la sorella Sarah, di due anni più grande, è fuggita dalla guerra che dilania la sua terra, passando per Beirut, Istanbul e Smirne, prima di arrivare sull’isola greca di Lesbo.

Quando l’imbarcazione che avrebbe dovuto portarle fino all’isola ha avuto un guasto, le due sorelle e una terza donna, le uniche a saper nuotare tra le 18 persone a bordo, si sono tuffate e, spingendo e tirando la barca per tre ore, sono riuscite a portarla fino a riva, in salvo.

Yusra ha vinto la gara olimpica dei 100 metri e, anche se i suoi tempi non sono stati sufficienti per darle accesso alle semifinali, si è distinta per la sua incrollabile determinazione, già dimostrata durante quelle ore passate in mare nel tentativo di portare al sicuro la barca e i suoi occupanti.

Il suo allenatore tedesco racconta la sua straordinaria forza di carattere [fr]:

Yusra è molto concentrata. Ha un obiettivo chiaro in mente e organizza tutta la sua vita intorno a quell’obiettivo. È per questo che si allena per due o tre ore ogni mattina prima di andare a scuola e torna il pomeriggio per un’altra sessione.
Yusra sa perfettamente cosa vuole e come fare per raggiungere i suoi traguardi. Non si aspetta favoritismi ma non si lascerà fermare da nulla [fr]:

Vorrei che tutti lottassero per i propri obiettivi perché, restando concentrati, si può fare tutto il possibile per raggiungerli, e penso che se anche dovessi fallire, ci riproverei. Forse sarei triste, ma non lo darei a vedere e riproverei ancora e ancora, fino a riuscirci. Voglio dimostrare a tutti che, anche se è difficile realizzare i propri sogni, non è impossibile.

Al campo profughi di Kakuma sono orgogliosi dei successi dei loro atleti a Rio.
È stata questa determinazione che Thomas Bach, Presidente del Comitato Olimpico Internazionale, ha sottolineato nel lodare la passione della squadra che è riuscita a conquistare l’ammirazione di tutti, travalicando il patriottismo degli spettatori olimpici:

Questo è anche un messaggio importante per la comunità internazionale: siamo tutti esseri umani e i rifugiati sono una ricchezza per la società. Questi atleti sono la dimostrazione che, a dispetto delle tragedie inimmaginabili che si possono incontrare, chiunque può dare il proprio contributo alla società grazie ai propri talenti, capacità e determinazione a farcela.
Tegla Loroupe, la maratoneta keniota a guida del team, ha dichiarato che la squadra sprigiona qualcosa di speciale [fr], di trascinante:

Translation Original Quote
Questi ragazzi sono un modello da seguire per i poveri di tutto il mondo, non solo per i rifugiati. Ecco perché sono stati così acclamati. È la determinazione che dimostrano davanti a qualsiasi ostacolo. Gli atleti di questa squadra, li amo come se fossero figli miei.