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Erdogan, l’offensiva anti Isis colpisce i curdi

10 Settembre 2016


L’operazione turca contro i jihadisti? Una copertura. Il vero obiettivo è il Pkk. Purghe interne e raid in Siria: così il Sultano mette la minoranza nel mirino

Guerra senza frontiere ai curdi del Pkk con i quali, nel 2012, lo stesso presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva intavolato negoziati, distillando concessioni al leader Abdullah Öcalan.
Un lustro e molte giravolte dopo, il Sultano di Ankara ha sdoganato attacchi «interni ed esterni» alla popolosa minoranza (20 milioni di persone solo in Turchia) che da quasi un secolo si batte per forme d’autonomia e diritti.
LA PERSECUZIONE TURCA. Altri 10 milioni di curdi vivono sparsi in diaspora e nell’area confinante divisa tra Siria, Iraq e Iran.
E se, riesploso lo scontro con il Pkk nel 2015, i metodi di Erdogan non sono palesemente mai stati soft nel Kurdistan turco, dall’operazione Scudo Eufrate in Siria scattata questa estate, l’offensiva anticurda è diventata a tappeto.
Quasi una pulizia etnica.
VIA OLTRE 11 MILA INSEGNANTI. Il presidente turco ha rivendicato di condurre la «più grande operazione della storia contro il Pkk», con toni roboanti che sa bene scaldare la maggioranza dei suoi concittadini ancora intimamente ostili verso i curdi.
Dopo le bombe contro le basi di Öcalan tra le montagne che sconfinano nell’Iraq, la guerriglia nella capitale del Kurdistan turco Diyarbakir, i raid e le battaglie contro le aeree del ramo siriano del Pkk (le forze Ypg di Kobane, nella Rojava), il governo di Ankara ha epurato quasi 11.300 insegnanti curdi e filocurdi, con l’accusa di legami col Pkk.

Curdi epurati in Turchia e uccisi in Siria


(© Ansa) Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan

Altri 3 mila docenti curdi sarebbero in odore di purga, equiparati ai colleghi simpatizzati dell’imam Fetullah Gülen, il nemico di Erdogan incolpato dallo stesso Sultano di aver orchestrato il fallito golpe.
Nel mirino ci sono anche gli amministratori locali dell’Hdp, il partito filo-curdo di Selahttin Demirtas – che si è dissociato da qualsiasi forma di violenza, anche del Pkk, ma ha un fratello che vi milita – con 59 seggi in parlamento ma decimato di centinaia di supporter ed esponenti politici, vittime da un anno di attentati di dubbia matrice e ondate di arresti sommari.
HDP COME I GÜLENISTI. Diverse altre teste potrebbero presto cadere nell’ennesimo colpo di mano contro le opposizioni laiche: il presidente turco ha proclamato la «rimozione dei dipendenti pubblici collegati al Pkk, un elemento chiave della lotta», e ritiene Demirtas il «volto presentabile» del movimento armato di Öcalan, per Ankara organizzazione terroristica.
L’aria che tira in Turchia è pesantissima, il rischio di attentati elevato. Nell’area curda del Sud-Est è in corso un’escalation di scontri: 11 soldati sono morti in due operazioni militari che hanno ucciso 33 militanti del Partito del lavoratori di Öcalan, decine i feriti da ambo le parti.
ESCALATION DI SCONTRI. All’aeroporto di Istanbul, già teatro di un attentato dell’Isis, un’iscritta al Pkk decollata da Diyarbakir è stata arrestata con l’accusa di voler compiere un attacco suicida. In pochi giorni 186 i membri del gruppo armato curdo sono stati uccisi da militari nel Paese.
Nel Nord della Siria, i 15 mila soldati penetrati sui tank turchi sono potuti entrare nelle terre di Bashar al Assad, hanno scacciato gli autonomisti curdi del Ypg e i miliziani dell’Isis da Jarablus: uno snodo chiave per collegare – in un’unica striscia a ridosso del confine meridionale della Turchia – i territori a Est e Ovest del Kurdistan siriano della Rojava.

La sospetta liberazione lampo di Jarablus dall’Isis


Un edificio distrutto dalle bombe a Raqqa.

Dall’avamposto Erdogan si è dichiarato pronto, con gli Usa, a «invadere la capitale siriana dell’Isis, Raqqa».
E nella sponda curdo-irachena di Erbil è cosa nota che le mire del Sultano si estendono alla roccaforte jihadista di Mosul, dove nel 2014, all’indomani della proclamazione del Califfato, la diplomazia di Ankara riuscì nell’impresa all’apparenza miracolosa di far liberare 46 ostaggi turchi dai tagliagola dell’Isis senza, a loro dire, pagare riscatti.
I DUBBI DEGLI ANALISTI. Dopo i gravi indizi di collusione con i jihadisti del Califfato e di altre formazioni islamiche estremiste, Erdogan ha cambiato casacca riavvicinandosi alla Russia e – ancor più sorprendentemente – al regime siriano di Assad, nel nome di una lotta comune contro il terrorismo.
Ma anche analisti d’Oltreoceano di centri di ricerca prestigiosi come David L. Phillips della Columbia University (a lungo advisor del Dipartimento di Stato e delle Nazioni Unite) denunciano l’operazione turca Scudo dell’Eufrate anti-Isis – appoggiata anche dalla Casa Bianca – come «palesemente falsa» e rivolta a «mantenere i combattenti curdi a Est del fiume Eufrate».
40 MILA MORTI DAL 1984. Phillips è perplesso anche sulla liberazione lampo di Jarablus dei turchi dai miliziani del Califfato, a lungo in stallo contro le brigate Ypg, e ritiene invece che «prima dell’invasione, Ankara si sia accordata con lo Stato islamico». «Anziché resistere, le forze dell’Isis» avrebbero «semplicemente cambiato le uniformi in quelle della Free Syrian Army (i ribelli dell’Esercito libero siriano, ndr)» e «Jarablus sarebbe stata “liberata” dall’Isis sparando a malapena qualche colpo».
D’altronde per la Turchia il Califfato è un’entità transitoria, il Kurdistan una questione permanente. Dall’inizio della lotta armata del Pkk, nel 1984, il conflitto curdo-turco ha provocato più di 40 mila morti.