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Un ultimo confronto tra Turchia e Italia

di Stefania Arru
7 Agosto 2016



Illustrando il
fenomeno dell’omicidio d’onore in Turchia e analizzando la stessa tematica nel
contesto italiano, la comparazione normativa e giurisprudenziale tende ad
evidenziare le differenze attuali dei due ordinamenti penali e il dibattito,
ancora in corso, tra i molteplici orientamenti giurisprudenziali in materia di
multiculturalismo e reati culturalmente orientati.

Dal punto di vista
normativo, come anticipato precedentemente, il codice penale turco regola
chiaramente l’omicidio aggravato dal movente culturale e lo disciplina come una
circostanza aggravante dell’omicidio “classico”. Il legislatore turco ha quindi
preso posizione in merito all’istanza del multiculturalismo e, mediante una
formula generale, ha voluto ricomprendere tutte quelle condotte delittuose
sorrette da un movente legato al “fattore culturale” del soggetto agente.

La norma turca però,
disponendo una circostanza aggravante in termini generali e vaghi, ha mancato
di specificare il concetto di “onore” e di spiegare il fenomeno culturale
dell’onore che caratterizza parte della società turca. Perciò la dottrina
maggioritaria e i critici, tra i quali le organizzazioni per i diritti delle
donne, hanno espresso disapprovazione verso le scelte del legislatore, perché
di fatto, queste ultime hanno condotto ad una norma che prescrive in linea
teorica una pena severa, ma che concretamente rimane d’applicazione incerta
rispetto agli omicidi d’onore.

Relativamente alla
prassi giurisprudenziale, la vaghezza della norma e i differenti atteggiamenti
personali dei giudici sul tema dei delitti d’onore, danno vita a molteplici
orientamenti all’interno della giurisprudenza turca.

Ancora dopo anni
dall’entrata in vigore del codice penale del 2005, i tribunali non presentano
un indirizzo comune e vengono emanate ancora moltissime sentenze relative ai
reati in parola che attenuano le pene per i colpevoli, applicando circostanze
attenuanti, al posto che sanzionare con vigore tali condotte delittuose. Questo
benché il legislatore abbia manifestato un orientamento restrittivo nei
confronti della rilevanza dei reati culturalmente orientati, e nonostante sia
alta la pressione internazionale e nazionale sull’eliminazione degli omicidi
d’onore e sulla tutela della donna in Turchia. Le sentenze che adottano la
medesima posizione suggerita dalla norma, rappresentano tutt’oggi un numero
minore rispetto alle sentenze che giustificano il movente culturale dell’onore.
La ragione potrebbe risiedere nella discrezionalità lasciata al singolo giudice
o nella reale incertezza sul metodologia giuridica migliore per affrontare il
tema del multiculturalismo in un’ottica penale.

In merito
all’ordinamento penale italiano, si può constatare che, a seguito
dell’abrogazione di tutti i delitti a causa d’onore nel 1981, il legislatore
non ha emanato una disciplina specifica sul tema e non ha definito chiaramente
il proprio orientamento rispetto ai reati culturalmente motivati.

Le uniche
disposizioni che sono state introdotte di recente, in materia di
multiculturalismo in sede penale, sono le norme concernenti le mutilazioni
genitali femminili. Disposizioni che sanzionano severamente le pratiche di
mutilazione dei genitali femminili e che mostrano un atteggiamento di scarsa
accoglienza verso i reati che presentano un movente multiculturale. Alla luce
di tali disposizioni si potrebbe assumere che la posizione del legislatore
italiano non riflette un atteggiamento di indifferenza verso il
multiculturalismo, bensì tendenza alla rigidità.

Nel caso in cui si
verifichi un omicidio in nome dell’onore in Italia, sarebbe compito del giudice
capire come valutare il “fattore culturale” che rappresenta il movente del
delitto.

La prassi
giurisprudenziale italiana, come quella turca, non presenta una direzione
univoca. Ciò che spesso emerge dalla sentenze è l’applicazione di circostanze
aggravanti, tra di esse, soprattutto, quella relativa ai motivi abietti e
futili che determinano il reato. Quando i giudici applicano tale circostanza,
riconoscono la motivazione culturale del delitto come particolarmente turpe e
sproporzionata rispetto alla gravità del reato commesso, perciò l’atteggiamento
che risulta in queste situazioni valuta negativamente la motivazione culturale
stessa.
 All’opposto si pongono quei casi
giurisprudenziali che sottolineano e risaltano, con note “favorevoli”, il
riconoscimento del movente culturale del soggetto agente; queste ultime vanno
appunto a riconoscere l’esistenza della natura culturalmente orientata del
reato, senza però apprezzarlo. Suggerendo l’applicazione di una circostanza
attenuante, sembrano infatti indirizzate verso la presa di coscienza della
realtà del fenomeno multiculturale nel territorio italiano. Tale prassi non
tende ancora verso la via della tolleranza e della scusabilità del movente
culturale dei reati, ma appare come un primo passo che mira al identificazione
e al rispetto della “cultura del diverso”.