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Libia, dopo l’Isis c’è lo scoglio di Haftar l’irriducibile

20 Agosto 2016

Militare con Gheddafi. Poi al soldo della Cia negli Usa. Maestro di golpe falliti, osteggia a Serraj e vuole il petrolio in Cirenaica. L’ingombrante generale libico.

In Libia è più dura liberarsi del generale Khalifa Haftar che del’Isis.
Lo scoglio più grosso alla pacificazione tra tribù non è più il Califfato islamico, ma è un comandante militare 73enne, uomo dal lungo passato che si è fatto portabandiera del nuovo, al soldo di troppi sponsor e schieramenti opposti.
Oggi irriducibile oppositore del governo di unità nazionale di Fayez al Serraj patrocinato dall’Onu.
MILITARE FALLITO. Haftar, che ha in mano il parlamento di Tobruk, è considerato il gran perdente degli ultimi mesi.
Le sue posizioni ostinatamente divisive lo hanno emarginato dalle battaglie e dai negoziati risolutivi. Alla maggioranza dei libici non sta nemmeno simpatico, perché è un generale senza fiuto che ha sempre fallito, come stratega e nei golpe.
RINNEGATO DAGLI USA. Anche gli Stati Uniti, che ai tempi di Gheddafi lo foraggiavano contro il Colonnello, sono irritati dall’ostacolo Haftar.
Eppure senza un accordo con lui non si sbloccano i pozzi e le città della Cirenaica, nell’Est.
In poche parole: non si riunifica, anzi si spacca la Libia.
Gheddafi, poi la Cia, quindi le rivolte: ma quale rinnovamento?


(© Ansa)

Classe 1943 – un anno in meno di Muammar Gheddafi, suo commilitone nel colpo di Stato del 1969 -, Haftar è stato a lungo un comandante militare del regime.
Per il Colonnello ha guidato le battaglie in Ciad, tra il 1978 e il 1987.
Fino a quando, caduto prigioniero a fine del conflitto, non capitanò una fronda di 2 mila connazionali – equipaggiati dagli Usa – per rovesciare il Colonnello.
È in questo momento che si consuma la divisione tra Gheddafi e Haftar: il capo militare è agli arresti in Ciad, il Colonnello lo ripudia per il tradimento e, prima ancora, per aver guidato una campagna fallimentare nell’ex colonia francese.
ADDESTRATO NEGLI STATI UNITI. Da lì, attraverso lo Zaire e il Kenya, grazie all’intercessione degli Usa il comandante libico sarebbe approdato nel 1990 esule Oltreoceano con un drappello di 300 soldati.
Per più di 20 anni, Haftar ha vissuto in Virginia, addestrato e protetto dalla Cia, con qualche tappa in Libia come nel 1996, per prendere parte a un’insurrezione (anch’essa fallita) contro Gheddafi nell’Est.
Verso l’ex amico, il Colonnello aveva calato la scure della condanna alla pena capitale per «crimini contro la Jamahiriya libica».
Ma, una volta scoppiata la Primavera araba, Haftar ha potuto far ritorno in patria in grande stile, unendosi ai capi militari degli insorti, per quanto l’organo dell’opposizione del Consiglio nazionale di transizione non lo abbia mai visto di buon occhio.
CON I RIVOLTOSI NEL 2011. Il generale dimezzato non piaceva sia per il suoi lunghi trascorsi, prima al servizio di Gheddafi poi della Cia.
Sia perché – come il Gheddafi della prima ora – era un nasseriano convinto e resta un laico anti-islamista.
Da lì le accuse ad Haftar di molti gruppi dell’opposizione di essere un «gheddafiano e di fare di tutta l’erba un fascio» e, dall’altra parte, quelle di Haftar ai gruppi islamisti di essere tutti «jihadisti dell’Isis».
Non si sono mai stemperate le frizioni tra i dissidenti laici al regime e i gruppi vicini alla Fratellanza musulmana che hanno animato i moti del 2011 e, per decenni, il dissenso clandestino proprio nell’Est della Libia che Haftar vuole prendersi.
 Dietro le bandiere di laici e islamisti la partita della Cirenaica


Libia. Una petroliera aspetta al largo del porto di Bengasi, in Cirenaica.
(© Getty Images) Libia. Una petroliera aspetta al largo del porto di Bengasi, in Cirenaica.

Nella libertà del post Gheddafi è esplosa la guerra civile tra cosiddetti laici e cosiddetti islamisti.
Dicotomia semplicistica, perché la vera contesa che dal 2011 sta distruggendo la Libia è – prima di tutto – sul controllo del petrolio e degli asset milionari del regime.
Una partita nella quale Hafar, il blocco islamista di Misurata (ora con Serraj e l’Onu) e altri gruppi vengono spalleggiati da potenze straniere.
Nel 2014 ha mancato l’ennesimo golpe su Tripoli – riuscito invece ai misuratini -: un tentato colpo di Stato definito «ridicolo».
CON LUI FRANCIA E RUSSIA. Migrato nell’enclave di Tobruk, è stato supportato nell’ordine dall’Egitto e dagli Emirati arabi, dalla Francia, infine dalla Russia, per ovvie motivazioni economiche e geopolitiche.
Casomai l’assedio su Bengasi e Berna in stallo da mesi andasse in porto, Haftar avrebbe il controllo della parte di Libia più ricca di petrolio: alcune potenze straniere scommettono sulla scissione in Tripolitania e Cirenaica come sviluppo post-regime.
Anche Stati Uniti, Italia e tutti gli altri governi con interessi in Libia tengono d’occhio quel che fa il generale di Tobruk.
TRA GAS E OLIO NERO. L’ultimo suo obiettivo dichiarato è, guarda caso, mettere in sicurezza i campi e i terminal di gas e olio nero nell’Est del Paese, controllati dalle brigate autonomiste Pfg di Ibrahim Jadrhan.
Ma rivendicati anche dalla sua Noc-Bengasi: una Compagnia nazionale del petrolio della Cirenaica (parallela e illegale alla National oil company centrale di Tripoli) creata da Tobruk e Haftar per impossessarsi delle risorse nell’Est.
Ai porti di Zueitina, Es Sider e Ras Lanuf Haftar ha spedito le sue brigate a fronteggiare Jadrhan. Per mandare a monte il fragile accordo delle Pfg con il governo di unità di Tripoli.