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Kirghizistan: guerra di parole (e manifesti) sull’abbigliamento femminile

14 Agosto 2016

Per un breve periodo di tempo a Bishkek, la capitale del Kirghizistan, due cartelloni sull’abbigliamento femminile hanno aperto un dibattito, ognuno ponendo degli interrogativi retorici.

Solo uno dei cartelloni è stato supportato dal presidente laico del Paese centrasiatico, mentre il secondo è scomparso subito dopo il suo debutto.

Il blog “Inside the Cocoon” di EurasiaNet.org ha documentato la comparsa del primo cartellone così [eng]:

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Il 13 luglio, gli abitanti della capitale del Kirghizistan si sono svegliati con estremi, e secondo alcuni, provocatori cartelloni affissi in alcune delle strade principali.

Su un enorme poster sono raffigurati tre gruppi di donne con diversi copricapi femminili — alcune di loro indossano il niqad che copre quasi interamente il volto — accompagnati dalle parole “Oh, povero paese, dove andremo a finire?”

Il significato del cartellone è leggermente criptico. Ma la composizione delle immagini — il vestito tradizionale kirghiso sulla sinistra, i niqab sulla destra e qualcosa che somiglia a una via di mezzo tra i due, al centro — lascerebbe intendere che chiunque ci sia dietro questa trovata è preoccupato per la diffusione furtiva nel paese delle usanze estremamente conservative della religione islamica.
Il presidente Almazbek Atambaye è successivamente intervenuto [en] in difesa dei cartelloni, e ha promesso di farli affiggere in tutto il paese; ha però negato di esserne l’autore.

In seguito, il 28 luglio, i cartelloni hanno ricevuto una risposta sotto forma di un altro poster che poneva la stessa domanda mettendo a confronto le donne nomadi ben vestite del passato kirghiso con altre vestite con gonne e pantaloncini in denim.

Foto del cartellone nella centrale Bishkek che oppone i vestiti tradizionali a quelli laici. Ampiamente condiviso.
Sottolineando le paure dei laici sul crescente ruolo delle influenze islamiche, provenienti dai paesi arabi, sull’ex repubblica sovietica di sei milioni di abitanti, un commentatore del sito di notizie Limon.kg ha scritto [ru]:

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Questi nuovi cartelloni sono stupidi, ma quelli originali erano davvero importanti, perché si opponevano alla zombificazione del Kirghizistan visibile attraverso questi sacchi neri. Questi abiti sono inappropriati. Il nostro abbigliamento nazionale è in completa armonia con le leggi islamiche.
D’altro canto, nella provincia del Batken, la più religiosa e conservativa del paese, altri hanno manifestato il proprio dissenso bruciando il cartellone che denunciava l’uso del niqab.

Il poster contro l’abbigliamento per le donne laiche è scomparso dalle strade di Bishkek in circostanze poco chiare il 29 luglio.

Bektour Iskender, fondatore di Kloop.kg, ha osservato [ru] in entrambi i cartelloni la presenza di un patriarcato familiare di stampo nazionale, che si esprime in forme e in tempi diversi:

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Le donne kirghize, come molte donne di altre parti del mondo, sono state private per molto tempo dell’opportunità di decidere cosa indossare.

A differenza di molti scettici, tendo a vedere un progresso, anche se minimo. Nel 2016, una donna kirghiza ha più libertà di scegliere cosa indossare rispetto a una donna kirghiza del 1996 o una del 1916.

Tuttavia, il nostro paese è periodicamente infestato dai parassiti che, di solito uomini eterosessuali, vogliono riportarci nel medioevo. In qualche modo credono di essere in possesso della vera sapienza così da poter dire in che modo una donna kirgihiza dovrebbe vestirsi e come dovrebbe comportarsi
I giornalisti dello stesso canale mediatico hanno collezionato una serie di meme divertenti [ru] che ironizzano sullo slogan “dove andremo a finire?” dei due cartelloni controversi.