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Il punto sui delitti d’onore come reati culturali tra Italia e Turchia.

5 Agosto 2015



A seguito di un
approfondimento sul fenomeno e sulla disciplina legale dei delitti d’onore in
Turchia, sembra interessante, in sede comparatistica, analizzare la materia nel
contesto italiano dal punto vista culturale-sociologico e giuridico.
Pare che vi siano
negli ordinamenti giuridici dei due Paesi, aspetti simili e elementi
contrapposti, che rendono stimolante lo studio dei delitti a causa d’onore in
Italia e rilevante il confronto tra questi e i reati d’onore in Turchia.
Innanzitutto è
opportuno capire nel contesto internazionale a quale “categoria” di reati
possono essere ricondotti i delitti in parola, al fine di ampliare la
comprensione del fenomeno dell’onore dalla cultura turca alla cultura degli
altri Stati e comprendere il significano del termine onore e valutare
l’atteggiamento del legislatore e della giurisprudenza al di fuori della
Turchia, in particolar modo in Italia.
Secondo
l’interpretazione giuridica moderna, i reati a causa d’onore appartengono alla
categoria dei reati multiculturali . Questi ultimi sono definiti dalla dottrina
penalistica, come quei “comportamenti realizzati da un soggetto appartenente ad
un gruppo culturale di minoranza, che è considerato reato dall’ordinamento
giuridico del gruppo culturale di maggioranza. Questo stesso comportamento,
tuttavia, all’interno del gruppo culturale del soggetto agente è condonato, o
accettato come comportamento normale, o approvato, o addirittura è incoraggiato
o imposto.”
I reati a difesa
dell’onore sono quindi considerati comportamenti posti in essere da soggetti
che, in accordo con la cultura d’origine, collocano l’onore al centro dei
propri valori culturali.
Secondo la dottrina
penalistica “occidentale”, il concetto di onore può assumere diversi
significati, recepiti e concepiti dal diritto penale mediante differenti
fattispecie di reato,
1)                                                                                                                               L’onore
può venire in rilievo come “vendetta di sangue”, ossia come forma di
auto-giustizia di gruppo. Questi fenomeni sono propri delle società arcaiche,
nelle quali la famiglia o il gruppo è responsabile in comune del proprio onore,
perciò attentare a quest’ultimo significa coinvolgere l’intero gruppo, e non
solo il singolo il cui onore è stato danneggiato. La forma più grave di offesa
è la morte di un membro del gruppo, che deve essere “vendicata” con la vita
dell’assassino o di un altro soggetto appartenente al suo gruppo.
2)                                                                                                                               Il
fenomeno dell’onore può coinvolgere anche la reputazione e la rispettabilità
personale. In questo caso può essere considerato come autostima, e
nell’ordinamento penale italiano ha un’accezione molto simile ai “delitti
contro l’onore” ex artt.594  e ss.
In particolare
l’ingiuria e la diffamazione, che disciplinano, tra gli altri beni giuridici,
l’onore come dignità sociale: “il bene giuridico dell’onore [è] inteso come
insieme dei valori originari propri della persona, contro uno specifico tipo di
aggressione; viene incriminato l’attacco diretto alla dignità sociale che cade
sotto la percezione della persona offesa.”
3)                                                                                                                               Infine
l’onore può essere riferito in modo stretto alla sfera sessuale; questa
concezione era alla base dei delitti per causa d’onore che l’ordinamento
italiano regolava fino al 1981.
Quest’ultima
definizione è di suggestivo interesse per la dottrina italiana per numerosi
motivi: per individuare la ratio dei delitti per causa d’onore e la loro
disciplina legale, per comprendere la decisione che ha condotto all’abrogazione
e per analizzare le disposizioni penali e la giurisprudenza odierna in materia
di reati multiculturali.
Innanzitutto, nel
codice penale italiano, la nozione di onore viene introdotta durante l’epoca
del Fascismo con il codice Rocco del 1930. La riforma penale introdusse diverse
norme correlate al fenomeno dell’onore: l’art 587cp  relativo all’omicidi o alle lesioni personali
a causa di onore, l’art 544cp  sul
matrimonio come causa estintiva dei reati di violenza sessuale, l’art 592 cp
concernete l’abbandono di neonato per causa d’onore ed infine, l’art 578 cp
sull’infanticidio per causa d’onore.
L’entrata in vigore
delle norme appena menzionate riflette lo status della società del tempo: esse
mostrano la condizione di quelle famiglie italiane che convivono tra di loro
seguendo delle regole culturali correlate all’onorabilità sessuale. L’onore
rappresenta il “biglietto da visita” della famiglia all’interno della società:
da una parte l’uomo, per essere stimato e per conservare una reputazione degna,
deve proteggere il suo onore, dall’altra parte la donne ha il dovere di
mantenere un comportamento sessuale appropriato.  Tutto ciò è indice di una società che pone
l’uomo in una posizione sovraordinata rispetto alla donna: il primo percepisce
l’onore come qualcosa di personale da difendere, e che dipende anche dalla
condotta che la donna, soprattutto la propria moglie, tiene. La donna è
considerata proprietà del marito, perciò un comportamento sessuale immorale va
a compromettere la figura dell’uomo e l’onore maschile.
Tale ricostruzione
sociale sta alla base delle norme che regolavano i delitti d’onore, di
conseguenza si comprende la ragione per la quale il legislatore aveva scelto un
trattamento sanzionatorio piuttosto mite.
Tra le disposizioni
in esame, una di quelle che viene maggior mente ricordata è l’omicidio d’onore.
Come detto prima, la
disposizione che regola tale fattispecie era l’art 587cp, il quale prevedeva la
reclusione dai tre ai sette anni, per chiunque cagionasse la morte del coniuge,
della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scoprisse la illegittima
relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onore
suo o della famiglia .
Dall’analisi della
norma, emerge in primis che la vittima del reato non è solo il coniuge, ma può
darsi che siano anche la figlia o la sorella. Non è una fattispecie che si
inserisce solo nella relazione matrimoniale, ma si estendeva a più membri della
famiglia; il diritto di proprietà che l’uomo sostiene di avere ha come oggetto
la donna in quanto tale; dunque anche il padre potrebbe considerare la figlia
come proprietà, e lo stesso vale per il fratello verso la sorella.  È da considerare, inoltre, che con il termine
coniuge non si fa riferimento al sesso dell’assassino: l’articolo poteva essere
applicato anche ai casi in cui è la donna ad uccidere l’uomo. Tuttavia, i casi
di donne colpevoli sono stati molto rari, ed anche in questi, si è rilevato
comunque un trattamento sanzionatorio iniquo: alla donna veniva applicato il
massimo della pena e all’uomo, solitamente, il minimo.
Per quanto concerne
il concetto di relazione carnale, esso deve essere interpretato come qualsiasi
atto sessuale consensuale. Sono qui da escludere gli atti di violenza e di
stupro di cui le donne possono essere vittime.
La relazione sessuale
costituisce il motivo che provoca l’ira dell’assassino. Lo stato psicologico
dell’ira è l’effetto che risulta dall’aver scoperto il coniuge, la figlia o la
sorella, durante l’atto sessuale concreto. L’immediatezza tra l’atto sessuale,
che costituisce l’offesa, e la reazione violenta era essenziale.
Gli elementi quindi
che dovevano essere presenti per poter applicare l’art 587cp erano la scoperta
della relazione carnale nel momento stesso in cui avveniva, e lo stato emotivo
di profonda irritazione, caratterizzato da impulsi e da reazione di collera, di
sdegno e di indignazione verso il comportamento disonorevole di chi stava
compiendo l’azione sessuale “illegittima”. Il motivo per cui l’agente
realizzava l’atto violento e improvviso, sta nella percezione di aver perso
l’onore personale o quello familiare. L’omicida aveva il dovere di proteggere
il proprio onore, e di sorvegliare la condotta della donna a lui vicino. Nel
momento in cui quest’ultima poneva in essere un atto sessuale a lei non
consentito, non rispettava l’uomo, l’onore maschile e quello familiare. La
sregolatezza della donna appariva come un gesto estremo, proibito che meritava
una punizione severa e violenta.
Da qui si comprende
la reale percezione dell’onore per l’uomo a quei tempi: è un concetto
strettamente legato alla donna, alla sessualità, al rispetto che l’uomo esige
dalla donna, alla virilità, alla superiorità dell’uomo, e alla concezione che
la comunità ha di quest’ultimo.
Il legislatore del
tempo sembrava approvare e condividere, mediante la norma, la cultura
dell’onore, infatti la pena disposta per chi commetteva il reato, era di molto
inferiore alla pena dell’omicidio “classico” . Il trattamento sanzionatorio
previsto dall’art 587 co.1 cp era infatti la reclusione da 3 a 7 anni, mentre
quello dell’art 575cp è la reclusione fino ad un massimo di anni ventuno.
La differenza di
trattamento sanzionatorio tra le due norme è notevolmente ampia, sebbene il
bene giuridico tutelato sia lo stesso: il diritto alla vita. Il fatto che nel
codice Rocco si sia optato per una circostanza attenuante al posto che
mantenere per questi casi la disciplina dell’omicidio “classico” o disporre una
circostanza aggravante, esprime una società ancora impregnata sulla diversità
di genere, sull’autorità dell’uomo e su concetti arcaici come quello
dell’onore.
Tale concezione,
ratio della norma in parola, si poneva come filo conduttore anche per gli altri
articoli “a causa d’onore” del codice penale.
L’art 544cp, letto
in combinato disposto con l’art 522cp , regolava il ratto a scopo di
matrimonio, una fattispecie che veniva posta in essere quando l’uomo aveva
l’intenzione di sposare una donna e per evitare il rifiuto della famiglia della
desiderata, rapiva con consenso dei suoi familiari la donna. Lo scopo era quello
di sequestrare la vittima per un periodo di tempo necessario a far credere che
fosse ormai disonorata. Nel momento in cui la giovane veniva riportala alla
casa d’origine, la famiglia poteva scegliere se uccidere l’artefice del
rapimento, indurre la donna al suicidio o acconsentire al matrimonio. Durante
il tempo del sequestro, oltre in primis a violare la libertà della donna, era
possibile che venisse sottoposta a coercizioni sessuali e stupro da parte del
rapitore. Nonostante tutte queste violazioni di diritti assolutamente primari,
la pena era inesistente nel caso in cui venisse celebrato il matrimonio.
In questa
fattispecie il punto centrale è il far presumere che la donna sia stata
disonorata, e che il matrimonio sia una delle pochissime soluzioni per riparare
il danno arrecato alla famiglia.
Infine, il codice
Rocco prevedeva altre due norme concernenti l’onore, che recepivano il fenomeno
sotto un aspetto diverso, quello connesso al comportamento illecito della donna
o di chiunque abbandonasse un minore  o
uccidesse un feto o neonato per motivazioni legate all’onore.
Solitamente, il
soggetto attivo, in entrambe la fattispecie, era la madre, che dopo aver avuto
una relazione sessuale adultera o non approvata dalla famiglia d’origine, si
trovava in uno stato di shock, aggravato spesso dalla solitudine e
dall’angoscia per i fatti accaduti e le conseguenze negative di cui sarebbe
rimasta vittima, nel caso in cui l’uomo della famiglia fosse venuto a
conoscenza del nascituro . L’alternativa dolorosa che si poneva per la donna, o
per chiunque commettesse i reati in esame, è “esporsi al pubblico spregio,
ovvero sopprimere la propria creatura” , nel caso di infanticidio, o
abbandonarla.   Per questi contesti il
legislatore nell’indicare la pena ha tenuto conto dello stato psicologico in cu
il soggetto attivo agiva e il motivo per il quale commetteva il reato:
salvaguardare l’onore del nucleo familiare. Si mostrava ancora l’importanza che
veniva data alle regole culturali della società del tempo.
Dopo aver analizzato
la disciplina legale dei delitti a causa d’onore nel codice Rocco e aver
delineato il contesto culturale da cui essi derivano, si proceda ora ad una
breve ed interessante comparazione con il fenomeno dell’onore in Turchia.
In primo luogo, il
significato del termine onore nell’ambito italiano fino agli anni sessanta
circa, coincideva con quello turco: nella lingua turca la parola onore è
traducibile con due termini, seref e namus, il primo indica la reputazione e la
dignità personale, il secondo l’onore sessuale e la moralità femminile; nel
contesto italiano i due concetti erano racchiusi nell’espressione “onore”, esso
esprimeva il grado di stima e di apprezzamento della persona all’interno della
comunità, ed era direttamente connesso alla sfera sessuale delle donne della
famiglia. Sia la cultura turca che quella italiana di quel periodo si
considerano “culture collettivistiche”, in cui le idee e le convinzioni della
comunità sono più importanti di quelle del singolo .
Tale significato,
alla base del fenomeno in analisi, determina di conseguenza il tenue
trattamento sanzionatorio che caratterizzava le disposizioni giuridiche di
entrambi gli ordinamenti.
Le differenze che si
riscontrano riguardano le peculiarità della cultura turca dell’onore, si pensi
al consiglio di famiglia che veniva, e viene ancora organizzato, nella famiglie
più rigide allo scopo di decidere il destino della donna disonorevole, o si
ricordi l’abitudine della tradizione turca di scegliere come soggetto agente un
minore per avere dei vantaggi in sede processuale.
Inoltre, leggendo le
norme in materia di omicidio d’onore in entrambi gli ordinamenti, si noti che
nella norma italiana uno degli elementi costitutivi del reato era la
connessione diretta e immediata tra lo scoprire la relazione carnale del
coniuge o di un parente stretto, il sentimento dell’ira percepito dal soggetto
agente, e l’immediato omicidio. Al contrario nella fattispecie turca,
l’immediatezza della condotta omicida alla scoperta del rapporto amoroso non
era necessaria, costituiva omicidio per causa d’onore anche il delitto commesso
in un lasso di tempo breve e successivo alla causa del reato; neppure non era
richiesto l’accertamento del senso di rabbia scaturito dalla relazione sessuale
illegittima, nella norma turca non viene descritto lo stato d’animo del
soggetto agente.
Le similitudini tra
i due istituti rimasero numerose alla seconda metà del novecento, lentamente
poi la cultura dell’onore iniziò a cambiare nella società italiana, fino
arrivare all’abrogazione delle norme a causa d’onore, e contraddistinguere per
molti aspetti da quella tradizione turca.