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Vivere nel caos e creare un mondo nuovo

di Raúl Zibechi, trad. Daniela Cavallo, 06 luglio 2016

Foto: Mario Marlo/Somoselmedio.org
Viviamo in un tempo segnato da
scenari di guerra tra stati e dentro gli stati stessi, poi c’è la
“quarta guerra mondiale”, quella del capitale contro i popoli. Intanto
il caos divampa ma è proprio nei periodi di instabilità e crisi che
l’attività dei movimenti può incidere di più sulla ridefinizione del
mondo. Nella storia, le grandi rivoluzioni sono nate nel mezzo di guerre
e conflitti spaventosi, come reazione dal basso, quando tutto stava
crollando. I popoli però non hanno mai aderito in massa alle alternative
sistemiche. Prima lo faceva una famiglia, poi un’altra, e così via.
Stiamo andando verso un mondo nuovo, in mezzo al dolore e alla
distruzione. Quando il sistema-mondo inizierà a disintegrarsi, generando tsunami di caos, i
popoli dovranno difendere la vita e ricostruirla. Crollo e creazione
sono complementari. Dal 1994 conosciamo il movimento zapatista che, nei
territori dove ha le basi, ha creato un mondo nuovo.

La geopolitica ci aiuta a comprendere il mondo in cui viviamo, in
particolare in periodi turbolenti come quelli attuali, la cui principale
caratteristica è l’instabilità globale ed il continuo succedersi di
cambiamenti e permanenti oscillazioni. Tuttavia la geopolitica
presenta i suoi limiti quando si tratta di esaminare l’attività dei
movimenti antisistemici. Ci offre una lettura dello scenario nel quale
agiscono, il che non è poco, però non può costituire l’ispirazione centrale delle lotte di emancipazione.



A mio modo di vedere, è stato Immanuel Wallerstein a spiegare nella maniera più precisa la relazione tra il caos nel sistema-mondo e la sua trasformazione rivoluzionaria attraverso i movimenti. Nel suo articolo più recente, “È doloroso vivere in mezzo al caos”,
evidenzia come il sistema-mondo si stia autodistruggendo mentre
coesistono 10-12 poteri con forza sufficiente per agire in forma
autonoma. Ci troviamo in mezzo al passaggio da un mondo unipolare ad un
altro multipolare: un processo necessariamente caotico.



È proprio nei periodi di
instabilità e di crisi che l’attività dei movimenti può incidere in
forma più efficace sulla ridefinizione del mondo
. È una
finestra di opportunità necessariamente breve nel tempo. È durante
questi periodi turbolenti e non nei periodi di calma che l’attività
umana ha la possibiltà di modificare il corso degli eventi. Da qui l’importanza del periodo attuale.


Alcuni dei lavori di Wallerstein pubblicati (in lingua spagnola, ndt) nella raccolta El Mundo del Siglo XXI, diretta da Pablo Gonzaléz Casanova, affrontano il rapporto tra il caos sistemico e le transizioni verso un nuovo sistema-mondo (Después del liberalismo e Impensar las ciencias sociales, Siglo XXI, 1996 y 1998). 

In Marx e il sottosviluppo, pubblicato
in inglese nel 1985, trent’anni fa, Wallerstein metteva in guardia
sulla necessità di “ripensare la nostra metafora relativa alla
transizione”, poichè è dal XIX secolo che stiamo dibattendo sulle vie
adatte per raggiungere il potere, quelle evolutive o quelle
rivoluzionarie.



Credo che il punto più polemico, e allo stesso tempo più convincente,
sia quando dice che abbiamo ritenuto la transizione “un fenomeno che si
può controllare” (La scienza sociale: come sbarazzarsene. I limiti dei
paradigmi ottocenteschi, Milano, Il saggiatore, 1995.).  

Se la transizione, come fanno presente gli studiosi della complessità, si
può verificare solo come conseguenza di una biforcazione all’interno di
un sistema in situazione di caos,  allora pretendere di dirigerla è sia
illusione sia rischio di ri-legittimare l’ordine che si sta
decomponendo, qualora si acceda al potere statale
.



Quanto sopra non vuol dire che non possiamo fare nulla. Tutto il contrario. Ha scritto Wallerstein nel testo citato, “Non
dobbiamo aver paura di una transizione che può assumere l’aspetto di
crollo, di disintegrazione, che è disordinata, che in un certo modo può
essere anarchica, ma non necessariamente disastrosa
“.  

Poi aggiunge che le rivoluzioni possono fare il loro lavoro migliore nel promuovere il crollo del sistema.


Questo sarebbe un primo modo di influire nella transizione: acutizzare il crollo, potenziare il caos. Come riconosce lo stesso Wallerstein, un periodo di caos è doloroso, però può anche essere fecondo. Di più: la transizione verso un nuovo ordine  è sempre dolorosa, perchè siamo parte di ciò che sta crollando.  Pensare a transizioni lineari e tranquille è un omaggio all’ideologia del progresso.


Dopo il 1994 abbiamo cominciato a conoscere il secondo modo di incidere sulla transizione, quello che ci consente di arricchire le considerazioni precedenti. 
Si tratta della creazione, qui ed ora, di un mondo nuovo; non come immagine prefigurata ma come realtà concreta. Mi riferisco all’esperienza zapatista. Ritengo che entrambi i modi di influire (crollo e creazione) siano complementari.


Nei territori dove ha le sue basi, lo zapatismo ha creato un mondo
nuovo. Non è “il” mondo che avevamo immaginato nella nostra vecchia
metafora della transizione: uno Stato-nazione dove si costruisce una
totalità simmetrica a quella capitalista e che pretende di essere la sua
negazione. Però, se ho imparato qualcosa di quanto ci hanno insegnato
nelle basi di appoggio durante la escuelita, in questo mondo ci sono tutti gli ingredienti del mondo nuovo: dalle scuole agli ospedali fino alle forme autonome di governo e di produzione.



Nel momento in cui il caos sistemico si approfondisce, questo nuovo mondo creato dallo zapatismo sarà un punto di riferimento ineludibile per quelli che stanno in basso.
Molti non credono che il caos sistemico possa diventare più profondo.
Tuttavia, abbiamo davanti uno scenario di guerre tra stati e all’interno
degli stati stessi, alle quali si aggiunge la “quarta guerra mondiale”
in corso, quella del capitale contro i popoli. Queste sono alcune delle
situazioni caotiche che intravediamo e che possono coincidere, in uno
stesso periodo, con il caos climatico e al “caos sanitario”, secondo la
previsione dell’Oms di una prossima e ineluttabile perdita di efficacia
degli antibiotici.



Nella storia, le grandi
rivoluzioni hanno avuto luogo nel mezzo di guerre e conflitti
spaventosi, come reazione dal basso, quando tutto stava crollando.
Durante la guerra fredda
si era diffusa l’ipotesi che le potenze rivali non avrebbero usato armi
nucleari per evitare la reciproca distruzione. Oggi sono pochi quelli
che scommetterebbero in tal senso.



Davanti a noi sta nascendo una nuova metafora della transizione possibile: quando il sistema-mondo inizierà a disintegrarsi generando tsunami di caos, i popoli dovranno difendere la vita e ricostruirla.
Nel farlo, è probabile che adottino il tipo di costruzioni create dagli
zapatisti. Questo è accaduto nelle lunghe transizioni dall’antichità al
feudalesimo e dal feudalesimo al capitalismo. In mezzo al caos, i
popoli sono soliti puntare su principi di ordine, come fanno alcune
comunità indigene dei giorni nostri.



Qualcosa di tutto questo sta già accadendo. Alcune famiglie priístas (del PRI Partito Rivoluzionario Istituzionale messicano, ndt) ricorrono ai presìdi sanitari dei caracoles e altre cercano attraverso le juntas del buen governo una soluzione giusta ai loro conflitti. Mai i popoli hanno aderito in massa alle alternative sistemiche. Un giorno è una famiglia a farlo, poi un’altra, e così via. Stiamo andando verso un mondo nuovo, in mezzo al dolore e alla distruzione.

FONTE: comune-info