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Ucraina: La tragedia dimenticata dei pugliesi di Crimea, deportati da Stalin

di Ida Valicenti, 08 luglio 2016.

Nel libro L’olocausto sconosciuto: lo sterminio degli Italiani di Crimea
(Edizioni il Settimo Sigillo, 2008), il professor Giulio Vignoli e
Giulia Giacchetti Boico portano alla luce un episodio poco conosciuto
alla storia, il dramma della deportazione subita dalla piccola comunità italiana di Kerch,
in Crimea. Il libro, attraverso documenti inediti e testimonianze,
vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sulla deportazione in Siberia
subita dagli italiani di Crimea durante la Seconda guerra mondiale, e ad
oggi ancora non riconosciuta né dal governo ucraino né da quello italiano.


La comunità italiana di Kerch


Tra il 1830 e il 1870,
attratta dalle promesse di buoni guadagni e dal miraggio di fertili
terre quasi vergini, offerte dallo zar a buon prezzo, per ripopolare e
rivitalizzare la cosiddetta Nuova Russia, una piccola comunità italiana emigrò a Kerch, in Crimea. Essi provenivano soprattutto dalla Puglia, molti agricoltori, frutticoltori, orticoltori, viticoltori e marinai di Bisceglie, Molfetta, Trani e Bari.
La comunità pugliese ben presto si distinse per le sue abilità,
contribuendo al fiorire dell’agricoltura e del commercio di Kerch. Nel
1840 costruì anche una piccola Chiesa cattolica e una scuola per i
bambini della comunità. Nel 1940, la comunità contava circa 1100
persone.


La Rivoluzione bolscevica


In seguito alla vittoria dei “rossi”
nella guerra civile russa, nel 1921, la Crimea entrò a far parte della
Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (RSFSR). Come
conseguenza della Rivoluzione bolscevica, i connazionali di Kerch furono costretti a subire la collettivizzazione forzata
delle campagne. La piccola comunità pugliese fu requisita, alcuni di
loro fecero rientro in Italia, altri furono privati dei documenti di
riconoscimento e identificati con i libretti di lavoro da trudodni,
e relegati nei kolchoz. Il partito comunista prese il controllo della
città e la propaganda marxista portò all’ateizzazione della società con
conseguente chiusura della chiesa italiana e
allontanamento del parroco. La Crimea conobbe un momento particolarmente
duro della sua storia durante la Seconda guerra mondiale, fatto di
violenti operazioni belliche, deportazioni che colpirono le popolazioni
locali sospettate di collaborare con gli invasori tedeschi, compresa la
comunità pugliese di Kerch.


L’accusa e la deportazione


La città di Kerch fu occupata dall’esercito nazista
il 16 novembre 1941. Il 30 dicembre fu riconquistata dai sovietici.
Nella testimonianza raccolta da Giulia Giacchetti Boico e del professor
Giulio Vignoli, la superstite Paolina Evangelista,
originaria di Bisceglie, che riuscì a rubare il passaporto di una donna
russa morta e a scappare con i suoi bambini dal treno diretto in
Siberia, racconta: “Era il 29 gennaio 1942, ricordo
molto bene quel giorno. Venne una macchina della polizia speciale,
dissero che ci davano un’ora e mezza di tempo e poi ci avrebbero
deportati. (…) Ci portarono a Novorossijsk, ci fecero il bagno. Poi ci
misero in dieci vagoni bestiame. Su questo treno facemmo un lungo
viaggio che durò due mesi (…) I miei figli di 2 e 5 anni morirono, come
tutti, di tifo petecchiale e di polmonite. Quando arrivammo nel
Kazakistan ci dissero: vi hanno mandato qui perché moriate tutti! Sul
nostro documento d’identità c’era scritto “deportato speciale
”.


Il non riconoscimento


Attualmente gli italiani in Crimea che vivono a Kerch sono poco più di trecento. La comunità si batte per far conoscere la deportazione subita
dai loro nonni, zii e parenti, ma la difficoltà di reperire i documenti
richiesti dalle autorità diplomatiche italiane e ucraine non ha portato
ad alcun risultato. I documenti personali dei connazionali pugliesi
vennero distrutti durante la tratta in Siberia, e molti di loro, una
volta tornati sullo stretto di Kerch, dovettero cambiare la
cittadinanza, russificarsi, per poter lavorare come marinai o con le loro navi di trasporto nel porto della città.
FONTE: East journal