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Sul romanzo arabo



Di Tarek Abi Samra, Gaia Vianello, 07 luglio 2016.

Lo scorso maggio, l’associazione Ashkal Alwan di Beirut ha
organizzato un seminario sullo stato dell’arte del romanzo arabo
contemporaneo (qui),
a cui hanno partecipato molti autori di lingua araba provenienti da
tutta la regione. 

Ne ha parlato L’Orient Litteraire, di cui di seguito alcuni estratti. 
L’originale in francese è a questo link

“Non immaginavamo (..) il tipo di difficoltà che avremmo incontrato
cercando di riunire degli scrittori arabi a Beirut.” É attraverso queste
cupe parole che Christine Thomé ha aperto il “Seminario sul romanzo arabo” organizzato dall’Associazione libanese di arti plastiche Ashkal Alwan.


Fondatrice e direttrice di quest’associazione, Thomé ha aggiunto
nello stesso tono un po’ disilluso: “Degli ostacoli insospettati si sono
accumulati giorno dopo giorno, rivelandoci, nel dettaglio, il misero
stato del nostro mondo arabo attuale”. Molti scrittori si son trovati nell’impossibilità di partecipare a questo seminario, ha spiegato: lo
yemenita che non poteva lasciare il proprio villaggio sotto assedio, il
kuwaitiano le cui autorità nazionali si sono raccomandate all’ultimo
momento di non avventurarsi in Libano per ragioni di sicurezza,
l’egiziano incarcerato per il suo romanzo, la palestinese a cui è
vietato l’accesso in territorio libanese, infine la siriana costretta a
rimanere nella sua terra d’esilio fino all’ottenimento del proprio
permesso di residenza.


Il romanzo come genere letterario dominante


Nonostante questi ostacoli, il seminario, tenutosi a Beirut dal 29 al 2 maggio, ha potuto riunire una trentina di partecipanti, tra cui dei grandi nomi del romanzo arabo e libanese.
All’origine di quest’impresa, ci sarebbe una constatazione di fatto, un
fenomeno culturale abbastanza recente il cui significato dev’essere
chiarito: l’incremento quantitativo senza precedenti della pubblicazione
romanzi nel mondo arabo. Non esistono statistiche su questo tema, ma si
potrebbe stimare,  basandosi sul numero di iscrizioni ai premi
letterari, che ogni anno vengano pubblicati tra i seicento e i mille romanzi arabi, provenienti da tutti i diversi paesi.


Nel suo intervento al seminario, il romanziere libanese Hassan Daoud
ha definito questa trasformazione “colossale”, aggiungendo come, dieci
anni prima, considerasse “l’uscita di un romanzo una sorta di evento
letterario”. Secondo Daoud negli anni ottanta era possibile avere una
panoramica globale e precisa dell’insieme della produzione romanzesca
araba, mentre oggi, di fronte alla proliferazione vertiginosa di questo
settore e lo sbocciare di nuove modalità di scrittura influenzate da una
moltitudine di correnti letterarie, nessuno può ragionevolmente
avanzare la pretesa di definire cosa sia attualmente il romanzo arabo.



Ecco dunque la poesia, il genere letterario arabo
per eccellenza, definitivamente spodestata – almeno quantitativamente -,
potremmo dire. Quali sarebbero le cause, probabilmente molteplici e
complesse, all’origine di questo stravolgimento?



É a questa domanda che il romanziere iracheno Ali Bader ha consacrato in maniera quasi esclusiva il suo intervento. Secondo l’autore di Papa Sartre,
l’inizio degli anni novanta è stata un’epoca critica durante la quale
il romanzo ha progressivamente iniziato ad occupare il posto della
poesia nel campo della cultura araba, per diventare infine il genere
letterario dominante. É il periodo della fine delle grandi ideologie
arabe moderniste, come il nazionalismo, di cui uno dei porta parola era
specificamente la poesia.



Quest’ultima era in qualche modo un’incarnazione del concetto di
nazione, spiega Bader, mentre la prosa romanzesca che l’ha sostituita ha
portato in primo piano l’individuo e i gruppi marginalizzati della
società.



Lo specchio delle società smembrate


Durante il seminario, Élias Khoury ha contestato in maniera forte lo spunto di Ali Bader.
Khoury accetta tuttavia l’idea che vi sarebbe una certa relazione tra
la caduta delle grandi ideologie e la crescita della produzione
romanzesca, poiché afferma che la guerra civile libanese ha giocato un
ruolo di prim’ordine nella nascita di una nuova generazione di
romanzieri nel nostro paese. La guerra ha infranto il grande racconto mitico, nazionale ed egemonico relativo al Libano, ha detto Khoury,
contribuendo così all’emergere di una moltitudine di racconti
frammentati e a volte contraddittori, di cui il romanzo, caratterizzato
dalla polifonia, ha largamente beneficiato.



Il rapporto del romanziere con i drammi della propria società evocato da Khoury, ha costituito il punto centrale del contributo dell’iracheno Ahmed Saadawi. Secondo l’autore di “Frankenstein a Baghdad
(Arabic Booker 2014), uno scrittore di romanzi originario di un paese
oggi devastato come la Siria, lo Yemen o l’Irak, si deve spesso
confrontare con il seguente problema: costantemente sollecitato a
fornire la propria opinione sugli eventi scottanti e tragici, sentendosi
anche in dovere, in quanto intellettuale, di prendere parte ai
dibattiti pubblici, deve tuttavia fare in modo che la sua scrittura
romanzesca non si trasformi in un resoconto semi giornalistico, in un
semplice commento sull’attualità politica e sociale. La sola via
d’uscita possibile secondo Saadawi, è che il romanziere prenda le
distanze e si allontani, almeno in maniera temporanea, dallo spazio
pubblico, nonostante il senso di colpa che una simile scelta potrebbe
comportare.



“Come parlare di romanzo siriano mentre i cadaveri sono lì,
esposti davanti ai miei occhi?” si è chiesta Maha Hassan, scrittrice di
romanzi siriana residente in Francia.



Hassan considera che le catastrofi che sono scaturite nel suo paese
hanno generato una tappa nella storia del romanzo siriano. Poco dopo il
2011, quest’ultimo è entrato in un periodo di sperimentazione in cui i
racconti, accostati all’attualità che tentano di riportare, si occupano
quasi esclusivamente di destini collettivi. Secondo Hassan, il risultato
di questa nuova tendenza sono romanzi scritti a volte frettolosamente,
dalla costruzione un po’ fragile, e che hanno soprattutto una funzione
di documentare la realtà.



Gli ateliers di scrittura


Cosa possono portare gli ateliers di scrittura agli
scrittori esordienti o anche a quelli che hanno già pubblicato?
 

L’intervento di Najwa Barakat si è focalizzato attorno a
questa domanda, e la sua risposta dà una visione catastrofica dello
stato della letteratura araba contemporanea. Barakat, che dirige da
sette anni l’atelier “ Come scrivere un romanzo “,
afferma che una larga parte dei romanzi attualmente pubblicati nel mondo
arabo, compresi quelli che ottengono premi letterari, soffrono di gravi
mancanze, che sia nella loro costruzione o architettura globale, nel
loro stile spesso pesante, o nel loro ricorrere ad un sentimentalismo
eccessivo.



L’eterna questione della traduzione


La traduzione delle opere di uno scrittore arabo è spesso considerata come segno di successo. Secondo
Jabbour Douaihy, “ lo scrittore arabo è più ossessionato dall’essere
tradotto rispetto agli scrittori che utilizzano altre lingue
.
Ci comportiamo, prosegue, come se l’arabo fosse una lingua minoritaria.
“. Douaihy precisa che la scelta delle opere da tradurre da parte delle
case editrici si opera frequentemente sulla base di criteri che hanno
più a che fare con il mercato economico che con il valore letterario dei
testi, preferendo spesso romanzi che vadano nella direzione delle
aspettative dei lettori. Ed è così che la rappresentazione della donna
araba come vittima è un’immagine stereotipata che seduce molti
Occidentali.



Samuel Shimon, cofondatore della rivista Banipal
consacrata alla traduzione della letteratura araba contemporanea, è più
ottimista. secondo questo scrittore e romanziere d’origine irachena, la
letteratura araba viene sempre più tradotta in Europa: si è passati da
quattro libri tradotti all’anno in Inghilterra negli anni settanta, ad
una quarantina al giorno d’oggi.



La traduttrice italiana Elisabetta Bartuli condivide
lo stesso ottimismo: nonostante il numero assai esiguo di opere arabe
tradotte ogni anno, l’accumulazione ha giocato il suo ruolo e il lettore
italiano dispone attualmente di una ricca bibliografia di letteratura
araba contemporanea.




Il romanzo ha ancora dei tabù da rompere?


Il romanziere Mahmoud el-Wardani,
ha dichiarato in maniera categorica che il romanzo arabo non ha più
alcun tabù da rompere: “ Il romanzo ha ormai altre missioni: si è già
liberato (…) e la questione dei tabù non si pone neanche più.”.



El-Wardani precisa tuttavia che le società arabe non hanno raggiunto
lo stesso grado di libertà, al contrario, perché le loro istituzioni
praticano ancora una censura feroce, incarcerando spesso gli scrittori,
come nel caso del giovane scrittore egiziano Ahmed Nagy, condannato a due anni di prigione per “offesa alla morale pubblica” a causa del suo romanzo L’uso della vita.


In effetti, Ahmed Nagy era uno degli invitati a questo seminario, ma
la sentenza non gli ha ovviamente permesso di parteciparvi. Uno spazio
gli è stato riservato nel panel in cui doveva prendere parte, durante il
quale altri scrittori hanno letto alcuni passaggi del romanzo per cui è
stato condannato. Questo piccolo omaggio che gli è stato reso è la
prova che se il romanzo ha rotto molti tabù, le società arabe soffrono
ancora di troppi divieti che dovrebbero infrangere.


FONTE: Editoriaraba