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Si alza la voce dell’América negra

di Raúl Zibechi, trad. Daniela Cavallo, 26 luglio 2016.

La protesta contro il razzismo degli Afrocolombiani a Bogatà. Foto: https://static.iris.net.co

Se il razzismo verso gli afroamericani che vivono
nell’emisfero nord del continente vive una stagione particolarmente
violenta, le popolazioni nere del Sudamerica non hanno mai smesso di
subire una vera e propria guerra non dichiarata. 

Qualche esempio? Dal
2003, anno in cui Lula arriva per la prima volta al governo, la
percentuale di brasiliani neri uccisi dalla violenza è salita del 40 per
cento, mentre in Colombia quasi un nero ogni cinque è stato costretto a
fuggire a causa della guerra, dei paramilitari o dell’esercito. Negli
ultimi tempi, tuttavia, la resistenza nera in América latina sembra
finalmente poter assumere un nuovo significativo protagonismo. Lo
mostrano, ad esempio, i collettivi creati da una nuova generazione di
studenti nelle periferie urbane e nelle favelas brasiliane, oppure i
pescatori che hanno bloccato in Colombia il porto più importante del
Pacifico. 
Certo, il razzismo è un male letale quanto antico nelle terre
segnate dai “conquistadores” ma, come ebbe a dire uno che se ne
intendeva, la resistenza è altrettanto tenace: “Fino a quando il colore
della pelle non sarà considerato come quello degli occhi, noi
continueremo a lottare”. Lui aveva la pelle chiara, tutti lo chiamavano
“Che”, e la sua lotta ha ancora una certa influenza nel mondo.

L’11 giugno un gruppo di abitanti del quartiere Morumbi di São Paulo ha manifestato a favore dei poliziotti che hanno ucciso Italo, un bambino nero di 10 anni. Secondo
i manifestanti, il bambino era solo un delinquente che meritava quello
che gli è successo. Morumbi è il quartiere più ricco della città ed è
conosciuto per i suoi palazzi e condomini di lusso, dove vivono
celebrità e persone importanti del Brasile.



Quella
stessa mattina, 30 militanti neri della periferia della città sono
arrivati con striscioni e foto dei giovani assassinati dalla Polizia Militare, apostrofando i manifestanti come “razzisti assassini”. “Sono qui a lottare contro la borghesia che scende in strada per naturalizzare e banalizzare la nostra morte, la morte di giovani e neri della periferia”, ha detto ai media una ragazza di 21 anni, della zona est di São Paulo.


 

Foto Infobae


E’ stata di certo una piccola ma importante risposta che mette in evidenza quello che per molti è la maggior contraddizione dell’odierno Brasile: il razzismo. È
opportuno notare che i giovani militanti neri hanno attraversato tutta
la città, con un percorso di andata e ritorno di non meno di due ore, al
fine di sfidare le classi dominanti nel territorio che rappresenta il
centro del loro potere. Un atteggiamento che rivela coscienza, organizzazione e coraggio.


Nella stessa settimana di giugno, le comunità nere colombiane che partecipavano alla Minga Agraria, Campesina, Étnica y Popular, hanno compiuto azioni importanti, come la presa del porto di Buenaventura che è stato chiuso da 130 barche di pescatori e da centinaia di manifestanti raggruppati nel Proceso de Comunidades Negras (PCN). “Il mare ci appartiene”, è stato lo slogan con cui hanno bloccato il porto più importante del Pacifico, la regione trasformata in territorio dove vive una parte del popolo nero.


Nello stesso contesto della Minga, si è mobiliata la Asociación de Consejos Comunitarios del Norte del Cauca (Aconc), con marce di massa a Quinimayó, nel municipio di Santander de Quilichao, esigendo l’annullamento dei titoli minerari che sono stati concessi alle multinazionali. Uno dei suoi dirigenti, Víctor Hugo Moreno, ha sottolineato che la mega-industria mineraria “sta soppiantando quella tradizionale e artigianale, contaminando le sorgenti d’acqua e distruggendo i nostri territori e i processi organizzativi”. 


Il PCN è composto da 120 organizzazioni territoriali di base, dai Caraibi fino al Pacifico, e opera con base nei palenques [1] regionali, con un’assemblea nazionale che elegge un consiglio di tutti i palenques. La Aconc riunisce circa 40 consigli comunitari di 10 municipi nel nord del Cauca. Entrambe partecipano alla Cumbre Agraria che ha organizzato lo sciopero nazionale di giugno .

Con grandi differenze tra di loro, i movimenti neri del Brasile e della Colombia, stanno vivendo una nuova fase.
Dopo aver resistito a una guerra non dichiarata, mostrano segni di
voler passare all’offensiva. Dei 5 milioni di neri colombiani, più di
700 mila sono stati costretti a trasferirsi a causa dell’azione
terroristica dei gruppi paramilitari e delle forze armate. In Brasile,
la morte violenta di neri, è cresciuta quasi del 40 per cento dal 2003,
quando Lula è arrivato al governo, mentre la morte violenta dei bianchi è
calata del 25 per cento. Non sono, comunque, gli unici paesi dove la
resistenza nera sta entrando in una nuova fase. 


Nelle favelas e nelle periferie urbane del Brasile, sono sorti decine di collettivi che rappresentano una nuova generazione di militanti:
molti di loro si sono formati nelle scuole superiori e nelle
università, con un forte ruolo protagonista delle giovani donne. Uno dei
più significativi è Ocupa Alemão, nel complesso di favelas della Maré (Río de Janeiro). Il collettivo riunisce tra le 20 e le 40 persone ed è sorto in risposta all’occupazione militare della favela Alemão, nel 2010, e alla costruzione di una teleferica creata affinché i turisti potessero fotografare i poveri: un vero panopticon a cielo aperto per il controllo della popolazione.


Ocupa Alemão dice di voler “occupare noi stessi la nostra favela con azioni collettive”. Rifiuta il modo con cui le sinistre si relazionano con le favelas e non lesina le critiche alle ONG. Tra le sue
attività risaltano i cineforum, i giochi con bambini e bambine,
laboratori di graffiti, il festival Ocupa Rock realizzato nell’agosto
del 2015 e l’annuale Feria de Negritud Económica, itinerante tra gli spazi neri, con l’obiettivo di diffondere la resistenza culturale e politica.


Nelle fiere, ogni espositore cede il 20 per cento dei suoi guadagni a un fondo di lotta e di sostegno per le vittime dello Stato. Sostengono che “la negritudine economica non offre nulla di nuovo alla favela né al popolo nero né rappresenta una nuova ideologia”; al contrario “è il quilombo (palenque) che ci insegna l’autonomia economica e l’autogestione. La favela
lo eredita e fa del suo spazio la sua attività. La negritudine
economica è la nostra forma migliore per sostenerci collettivamente. Una fiera nostra. Autonomia nera” . 

I militanti di Ocupa Alemão riconoscono di essere passati attraverso tre tappe. La prima è stata con le ONG e ha lasciato amarezza. Poi si sono impegnati con i movimenti autonomi di altre favelas e hanno creato il Foro Popular de Apoyo Mutuo. Nella terza tappa hanno stretto legami con la campagna Reaja ou Será Morta, Reaja ou Será Morto [Reagisci o sarai uccisa, Reagisci o sarai ucciso], che è sorta a Bahia nel 2005 e con la quale hanno organizzato la Marcia contro il Genocidio del Popolo Nero.


La campagna Reaja è, probabilmente, la più importante creazione del movimento nero in America Latina (per il suo rifiuto verso la cooptazione e lo Stato, per le sue forme autonome, per la sua radicalità), che tutti i militanti dovrebbero conoscere. Hamilton Borges, fondatore di Reaja, traccia un bilancio di questi 10 anni sulla base di ciò che lui chiama “teoria generale della sconfitta”, “se il successo è quello di promuovere l’uguaglianza. Se il successo è sedersi con il nemico davanti al sangue del nostro popolo, noi preferiamo la sconfitta di affrontare il terrore nelle strade”.




[1] I palenques erano
villaggi fondati da gruppi di persone e famiglie nere che fuggivano
dalla schiavitù. Ubicati in luoghi di difficile accesso, costituirono un
progetto di indipendenza e di autonomia. Analogamente, in Brasile, il quilombo era una comunità formata da schiavi africani fuggiti dalle piantagioni in cui erano prigionieri. I quilombo costituirono un’importante forma di resistenza alla schiavitù. Il quilombo più famoso della storia del Brasile fu quello di Palmares.

FONTE: Comune-info