General

L’arte che abbatte i muri, la Balkan Route dell’accoglienza

di Angela Caporale, 25 luglio 2016.



Integrazione, accoglienza, dialogo, sono questi i pilastri
dell’azione di decine di migliaia di persone che dedicano, ogni giorno,
parte del proprio tempo e delle proprie energie per fare in modo che
quella percepita come crisi dei migranti si risolva in un’opportunità di crescita e sviluppo e non nella tomba di essere umani e dignità.


L’incontro è un percorso lungo, un viaggio, che ha bisogno dei giusti
strumenti linguistici affinché ci sia una via per comprendersi a
vicenda. Se la babele delle lingue rischia di creare soltanto
confusione, è possibile utilizzare canali e linguaggi alternativi. Tra
questi, probabilmente nessuno meglio dell’arte, in tutte le sue forme,
può permettere quella comunicazione universale necessaria per
incontrarsi.

Dal Nord Est dell’Italia sono partiti, in questi mesi, alcuni progetti che vedono proprio nell’arte il veicolo più adatto
a compiere un viaggio non solo metaforico insieme a migranti e
richiedenti asilo. È significativo che esperienze così ricche provengano
proprio da quella stessa area dove, in questi giorni, un sindaco ha
deciso di interrompere il servizio di wifi pubblico per contrastare il
degrado legato alla presenza dei migranti in strade e piazze, quella
stessa area dove gli episodi di hate speech non si limitano
alla sfera privata, ma – spesso – si esprimono commentando gli articoli
dei giornali locali su Facebook dove tutti possono leggerli. Quella
stessa terra rigurgita e si ribella al clima d’odio e dimostra, passo
dopo passo, che un’alternativa è possibile ed è a portata di mano.

“Ospiti in arrivo”
è una delle associazioni che sul territorio udinese si occupano di
primissima accoglienza e sostegno ai migranti, inoltre parte della sua
attività è concentrata sulla sensibilizzazione della popolazione locale al tema e alla promozione di reti,
connessioni, legami tese a rafforzare il tessuto sociale. Proprio da
“Ospiti” è nata l’idea di realizzare una carovana artistica che
ripercorresse al contrario la rotta balcanica, per l’appunto da Udine
sino ad Idomeni, in Grecia.
 

Pensata per coinvolgere bambini, ragazzi e adulti, la carovana è partita
lo scorso 29 maggio, ha fatto tappa in sei campi formali e informali e
ha coinvolto 1500 persone dai tre anni in su. Micol Sperandio,
esperta di arti pittoriche e figurative e organizzatrice di laboratori
didattici con bambini e adolescenti, racconta la ricchezza umana
dell’esperienza: 

Le persone che abbiamo incontrato hanno
manifestato sempre un misto di curiosità e gratitudine: curiosità
rispetto al fatto che venissimo da lontano e portassimo, a differenza
della maggior parte degli altri volontari, qualcosa di esperienziale, di
effimero e non materiale; gratitudine per il semplice fatto che fossimo
li, a restituire loro la consapevolezza di essere persone, umani con
desideri, sogni e speranze.



Musica, teatro, installazioni visual: le attività della carovana

Pittura
con Micol Sperando e Virginia di Lazzaro, cinema con Yassine Marroccu e
Cinéma du Desert, teatro, burattini con Michele Polo e poi musica e
visual design. Sono state molte le attività sulla strada, difficile
sceglierne una più efficace, in generale esse volevano stimolare
elementi differenti nei partecipanti, coinvolgendoli in una dimensione
di scambio.


Ecco allora che anche il teatro abbandona la parola per prediligere un approccio alternativo. Serena Di Blasio, che ha curato i laboratori, spiega: “Abbiamo
preferito forme di teatro più legate al corpo e alle figure.
Raccontando storie semplici e universali. In alcuni casi utilizzando una
specie di gramelot in cui a una lingua ‘inventata’, mischiavamo italiano, arabo, inglese e farsi
.” 

Strumenti fondamentali sono stati burattini, musica, maschere, oggetti capaci di avere una presa emotiva sullo spettatore.


Paolo Paron, che ha curato la parte musicale,
sottolinea come il viaggio della carovana sia partito, nello spirito,
già in Friuli grazie alla scelta di mettere in comune esperienze e idee
per proporre qualcosa di originale. 

Sapevo che la sensibilità musicale in quell’area geografica è molto diversa dalla nostra – spiega –
per cui non ho voluto concentrarmi troppo su attività puramente
musicali. Mi sono riservato di scoprire sul posto se ci sarebbe stata la
possibilità di proporre dei laboratori utilizzando materiali recuperati
sul posto.



Molto è nato dal rapporto instaurato in maniera istintiva nei campi: bastava tirar fuori una fisarmonica. La musica è servita come primissima occasione di contatto e incontro, quasi un passaggio preliminare per costruire la fiducia per completare il programma di laboratori: “Uno dei momenti più intensi – aggiunge il musicista – è
stato con dei bambini molto piccoli e particolarmente vivaci: ho
provato, con una campana tibetana e il canto a creare un’atmosfera
rilassante e di distensione per permettere un laboratorio di pittura. In
qualche modo ha funzionato!



Visual art nei campi.
Tra le attività più originali proposte c’era quella realizzata da Federico Petrei che si occupa di visual mapping. Come portare la tecnologia e questa tipologia di espressione artistica contemporanea in Slovenia, Croazia, Grecia? 

La mia attività – spiega Petrei – assieme a quella di Fay e di Filippo Genesini è rendere ‘vive’ le superfici sulle quali proiettiamo. Lavoriamo trasversalmente, cercando di sfruttare edifici, alberi, persone, strutture e sculture create ad hoc.” Lo scopo? “Portare
spettacoli e illusioni ottiche che trasformano, mutano il paesaggio
visivo fino al punto di astrarlo dalla realtà stessa dei campi, e
regalare della magia per far sorridere e divertire
.”
Molti
sono stati i problemi, dalla carenza di tempo alla difficoltà di far
combaciare l’idea artistica con i luoghi, ma ciò si è rivelata anche
un’opportunità: “Ci ha dato la possibilità di metterci a confronto con la nostra capacità di superare gli ostacoli. L’obiettivo era quello di superare queste barriere con l’immaginazione.”



Alcuni bambini partecipano alle attività della carovana artistica.
Il progetto – racconta Micol Sperandio tracciando un bilancio ad un mese da ritorno a Udine – aveva
delle criticità forti fin dall’inizio. Credo però che a tenerci uniti
sia stata la capacità di tutti di tenere sempre a mente il fatto che
fossimo li non per noi ma per la gente che incontravamo. Abbiamo la sensazione di aver fatto qualcosa di giusto, di importante:
le persone che sono nei campi della Grecia hanno diritto a tutto ciò, a
vivere la leggerezza di un momento di evasione e a godere di esperienze
artistiche appaganti che restituiscano loro la gioia di vivere.
Chiunque si senta di fare altrettanto va sostenuto e facilitato.

Le fa eco Serena Di Blasio: “Le soddisfazioni sono molte. La più
grande è forse quella dei grandi che alla fine dei laboratori ci hanno
ringraziato, era tempo che non vedevano i loro bambini felici
.” Le attività hanno creato una zona
franca di incontro dove si parlava tutti la stessa lingua, quella fatta
di sorrisi, gesti, sguardi che l’arte, la musica, il teatro sanno
tradurre in qualcosa di concreto.
Il viaggio della carovana artistica
è tornato alla base, ma chissà che non si ripeta per esprimere e
raccontare quell’umanità istintiva e solidale che, spesso, viene
dimenticata.



Zaino e pennelli in spalla: tre ragazzi sulla rotta balcanica


I protagonisti del progetto in viaggio

Sarà qualcosa nell’aria, quell’intrecciarsi di tradizioni e storie,
la sensazione di vivere in una terra crocevia di popoli, oppure una
semplice coincidenza. Tuttavia è proprio dal Nord Est, dal Friuli
Venezia Giulia, che parte quello che potremmo definire un movimento
spontaneo di accoglienza e dialogo che sceglie di utilizzare l’arte come
linguaggio principe.

 



Alessandro, Paolo e Tommaso sono tre giovani
friulani, hanno scelto di partire, lo scorso inverno, percorrendo
tremila chilometri in autobus, a piedi, in treno tra Slovenia e Croazia
con l’obiettivo di raggiungere uno degli snodi principali per migranti e
richiedenti asilo che sognano di raggiungere l’Europa: la Turchia. Il
loro non è un semplice viaggio-reportage o di volontariato. Nel
loro bagaglio ha trovato spazio un rotolo di carta, lungo 30 metri,
liberato ad ogni tappa affinché le persone di passaggio potessero
lasciare un loro segno, che raccontasse senza filtri le proprie
sensazioni. 
Il progetto, denominato MigrArt Action, nasce dall’esperienza locale dell’associazione Menti Libere, di cui i tre ragazzi fanno parte.






Qual è stato lo stimolo per partire in questo viaggio e quali sono state le tappe?


Lo stimolo è nato e cresciuto durante l’esperienza maturata in un progetto di cittadinanza attiva svoltosi dalla nostra associazione con i richiedenti asilo presenti nel 2015 a Lignano, provincia
di Udine. Ascoltando i loro racconti è nata l’idea di partire a ritroso
per scoprire ciò che stava accadendo. Basandoci sulle loro tappe
abbiamo dunque delineato un percorso ideale che nei fatti ci ha portato
in Austria, Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia, Serbia, Macedonia,
Grecia, Turchia fino al confine con la Siria.


Perché avete scelto l’arte come elemento caratterizzante il viaggio?


Menti Libere si contraddistingue nell’uso dell’arte come mezzo di espressione ed aggregazione. È
quindi venuta spontanea l’idea di utilizzare l’arte, in questo caso
rappresentata da un rotolo di trenta metri e pennarelli, come mezzo di
interazione lungo la rotta. È stato sorprendente il modo in cui l’arte
abbattesse ogni muro e portasse un tocco di sollievo anche nelle
situazioni più drammatiche.


C’è stata qualche differenza, nei vari luoghi dove vi siete fermati,
nel modo in cui migranti e richiedenti asilo si sono interfacciati con
voi?



La forza disarmante con cui l’arte ci
permetteva di interagire e stringere legami con le persone incontrate
era via via maggiore. Le situazioni cambiavano ma in ogni luogo c’era
sempre il bisogno forte di sentirsi per qualche attimo in una condizione
di vita e non più di sopravvivenza, e l’arte in questo ha sempre
giocato un ruolo primario.

Una bimba partecipa all’attività di Menti aperte

Qual è il valore aggiunto di realizzare un viaggio del genere a
differenza di un canonico reportage o di un’esperienza di volontariato
tradizionale?



È il modo nuovo e allo stesso tempo atavico dell’approccio artistico a questa epopea.
Dal punto di vista del volontariato, l’arte è forse l’unico linguaggio
che mette le parti in gioco sullo stesso piano permettendo uno scambio
equo e disinteressato. Dal punto di vista del reportage, si tratta di un
nuovo modo di narrazione compiuta in prima persona con il linguaggio
universale per eccellenza.


Quali sono gli obiettivi presenti e futuri?


L’obiettivo è quello di portare in giro la mostra
la cui anteprima sarà il 1° agosto nella cornice della rassegna
culturale Avostanis, a Villacacia di Lestizza (UD). Sarà una mostra
interattiva in cui confluiranno racconti, video, situazioni performative
e, chiaramente, il rotolo. Un altro progetto è quello di portare il
nostro racconto nelle scuole medie e superiori del Friuli. Poi sarà il
momento di ripartire con un altro progetto tra Balcani e Medio Oriente.


Alaa Arsheed, Isaac De Martin e Alpha Art Project: “Ne sentirete parlare!”


Alaa Arsheed è un violinista siriano, rifugiato in Italia. Isaac De Martin è un musicista veneto. La musica li accomuna, un fortuito incontro in una jam session
ha permesso ai due di incontrarsi e trovarsi. Dall’energia che
condividono è nata l’idea di riportare alla luce in veste nuova la
galleria d’arte Alpha Art,
una piattaforma e un progetto artistico che si pone l’obiettivo di dare
risposte creative alle sfide del mondo contemporaneo. La famiglia
Arsheed, a Swaida, gestiva una galleria d’arte presa di mira, nel 2011,
da un gruppo di violenti che ha distrutto tutto quello che ha trovato.



Alaa Arsheed con Adovabadan e Endi – Foto di Fabio Fuser

Oltre a un tour di concerti in tutta Italia e alla creazione di uno
spazio di condivisione artistico-culturale, la sinergia tra i due
musicisti ha portato all’organizzazione di un vero e proprio viaggio a ritroso sulla rotta balcanica, lungo le tappe che – per fortuna – Alaa non ha passato, ma molti suoi connazionali hanno percorso incessantemente per mesi.



Il nostro sogno, che diventerà realtà durante l’estate, è un tour verso il sud del mediterraneo – spiega Alaa Arsheed – dove
i muri sono molti e dove ci sono migliaia  di persone in fuga dalle
loro case, dai lori affetti, dai loro riferimenti. Con un bus-studio,
partiremo dall’Italia per attraversare i Balcani e raggiungere i campi
in Grecia. La nostra idea è di portare bellezza e un messaggio
di speranza a tutte queste persone, e questo nostro messaggio lo
portiamo in musica”
.



Il programma prevedere performance artistiche, concerti e workshop di
fotografia con lo scopo di fornire a migranti e richiedenti asilo
strumenti propri per esprimersi e portare bellezza anche in luoghi di
passaggio. 

Durante il nostro tour – spiega De Martin – ci
fermeremo in città e luoghi dove ci sono migranti, persone obbligate a
mettersi in viaggio, di ogni provenienza, e con loro faremo dell’arte,
registreremo della musica, faremo del body painting assieme all’artista
Lela Perez, abilissima artista del camouflage che ha voluto salire a
bordo di questo tour. Porteremo musica e colore dove ce n’é più bisogno
“.



Proprio bellezza è la parola che più ricorre nel racconto di
Isaac e Alaa, bellezza come cifra costitutiva dell’arte che, come
nient’altro, può abbattere e superare i confini. Alla musica e all’arte
viene riconosciuto un potente ruolo sociale di connessione: portare la musica dove si ergono i muri è voler dare un segnale molto forte. La bellezza accomuna tutti,
lo hanno capito gli artisti della Carovana artistica, di Menti Libere e
di Alpha Art che hanno scelto di rendere concreta questa loro
aspirazione, mettendosi in viaggio e dando un effetto tangibile all’idea
che l’arte possa abbattere muri e differente per trasformarle in
momenti di sorriso e dialogo.


[Tutte le fotografie sono state gentilmente condivise dagli intervistati e sono tratte dalle rispettive pagine Facebook]


FONTE: Voci globali