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Haiti, la canna da zucchero e i nuovi schiavi: conversazione con Raùl Zecca

di Fabrizio Lorusso, 11 luglio 2016.




Presentiamo un’intervista con Raùl Zecca, autore del saggio Come schiavi in libertà: vita e lavoro dei tagliatori di canna da zucchero haitiani in Repubblica Dominicana (Arcoiris, Salerno, 2016).


Come nasce il tuo libro, Come schiavi in libertà. Vita e lavoro dei tagliatori di canna da zucchero haitiani in Repubblica Dominicana (Arcoiris, 2016)?


Il libro nasce dall’esigenza di raccontare una realtà estremamente
drammatica e allo stesso tempo quasi del tutto ignota. La Repubblica
Dominicana è infatti conosciuta in tutto il mondo per i suoi mari
cristallini, le spiagge caraibiche, l’ottimo rum e la bachata, ma dietro
a questa facciata turistica esiste molta povertà, sfruttamento e
razzismo. Con questo libro, frutto di una ricerca che mi ha impegnato
per oltre quattro mesi sul campo, mi sono concentrato sulle terribili
condizioni di vita e soprattutto di lavoro che migliaia di braccianti
impiegati nelle piantagioni di canna da zucchero sono costretti a subire
quotidianamente. Si tratta di braccianti haitiani, migranti irregolari
fuggiti dal paese più povero del continente americano e giunti nella
Repubblica Dominicana con la speranza di trovare un futuro dignitoso, un
sogno destinato a infrangersi tra soprusi, violenze e abusi nello
sfruttamento delle piantagioni.



E c’è anche un documentario dallo stesso titolo. Puoi parlarcene più in dettaglio?


Il documentario è figlio del caso. Dopo intere settimana trascorse
insieme ai braccianti nelle loro comunità posso dire di essere diventato
parte della famiglia. Con alcuni di loro è nato un vero rapporto di
amicizia e questo mi ha permesso una confidenza e un’intimità che
altrimenti sarebbero state impossibili. Così ho potuto filmare
situazioni ed interviste che a mio avviso sono testimonianze autentiche
del regime di sfruttamento che i lavoratori vivono, immagini che non
avrebbero nemmeno bisogno di commenti o spiegazioni perché parlano da
sé. E’ così che è nato il documentario, senza averlo programmato, e
forse anche per questo ha un valore ancor più “etnografico”. Ma è
soprattutto un documentario di denuncia, un modo per dare voce a coloro
cui è stato negato ogni diritto, e portare alla luce una realtà
vergognosa. Anche per questo cerco di presentarlo insieme al libro
ovunque mi si offra la possibilità, negli spazi comunali, nelle
librerie, nei centri sociali. Ed ora lo si trova anche sul sito delle
Edizioni Arcoiris che hanno coraggiosamente pubblicato il libro.



Chi sono oggi gli “schiavi in libertà” del sistema? E nella Repubblica Dominicana? Cos’è un batey?


Gli schiavi in libertà sono semplicemente i nuovi schiavi, gli
schiavi moderni. Formalmente la schiavitù è stata abolita e viene
esplicitamente ripudiata da tutti, ma nella pratica, nelle dinamiche
sociali, nei rapporti di lavoro, molto spesso sopravvivono forme di
dipendenza e sfruttamento che sono del tutto assimilabili a quelle che
caratterizzavano lo schiavismo. Nella Repubblica Dominicana gli schiavi in libertà
sono i braccianti agricoli haitiani, tra l’altro discendenti da veri
schiavi, gli schiavi che furono vittima della tratta atlantica, quegli
schiavi che a fine ‘700 trovarono il coraggio di ribellarsi e che
pagarono a carissimo prezzo la libertà conquistata, tanto che ancora
oggi, dopo intere generazioni, si ritrovano di nuovo sotto altri gioghi,
legati da altre catene, forse ancora più difficili da scardinare
proprio perché invisibili. E i bateyes sono il simbolo di
questa schiavitù moderna, comunità-ghetto disperse nell’entroterra della
Repubblica Dominicana, tra sterminate piantagioni di canna da zucchero,
dove migliaia di braccianti haitiani vivono e lavorano in condizioni al
limite dell’umanità e per paghe da fame, senza acqua corrente, energia
elettrica e servizi igienici.



Quali sono le lotte o resistenze che si sono create di fronte a questa situazione?


Purtroppo la situazione è talmente disperata che ogni tentativo di
protesta viene represso con la minaccia del licenziamento. Nei bateyes
vige infatti un regime ricattatorio basato sulla fame e la
sopravvivenza, poiché per i lavoratori, migranti privi di documenti, non
esistono alternative possibili al taglio della canna da zucchero e
questo comporta una sottomissione totale al lavoro e l’accettazione di
condizioni davvero infami.



Secondo te come sono o come definiresti le relazioni tra haitiani e dominicani?


Sono relazioni complesse. Storia e geografia hanno costretto due
popoli molto diversi a una convivenza forzata e quel confine che divide
Haiti dalla Repubblica Dominicana è una cicatrice aperta su cui in molti
fanno leva per fini strumentali. Parte della politica dominicana è
imperniata sull’antihaitianismo nell’ottica strategica del capro
espiatorio e i media spesso fomentano questo tipo di ideologia
ultranazionalistica che purtroppo genera sentimenti xenofobi, fenomeni
di razzismo e molto odio, soprattutto tra le fasce più povere della
società.



In che termini possiamo parlare di razzismo?


Oltre un secolo fa, uno dei primi attivisti per i diritti civili dei
neri, Edward DuBois, scrisse che il 

problema del XX secolo era il
problema della color line, la linea del colore. Purtroppo
nemmeno con il nuovo secolo si è risolta la questione e ancora oggi in
molte parti del mondo la linea del colore rappresenta una vera e propria
frontiera nella subcultura razzista. Così è nella Repubblica Dominicana
dove vige un’autorappresentazione razziale fondata sulla narrazione di
un’identità superiore rispetto a quella haitiana e a segnare il confine
tra l’una e l’altra è proprio il colore della pelle. Essere scuri o
avere i capelli crespi per molti dominicani è una vergogna e oggetto di
discriminazioni.



A distanza di alcuni mesi dal tuo primo viaggio di ricerca
sei tornato sull’isola recentemente e hai visitato di nuovo alcuni
bateyes. E’ cambiato qualcosa? In che senso? Continuano le lotte per i
diritti dei lavoratori?



Ti porto un solo esempio. In quest’ultimo viaggio ho avuto modo di
parlare con un bracciante che insieme ad alcuni compagni di lavoro stava
cercando di organizzare qualcosa di simile a un sindacato, e
completamente sconsolato mi raccontava delle enormi pressioni che
l’impresa stava esercitando nei loro confronti e nei confronti di
chiunque pensasse di aggregarsi, ad esempio cercando di corromperli con
pochi pesos, o detraendo una somma prestabilita di denaro dal salario di
ogni affiliato, o ancora richiamando a colloquio i singoli braccianti,
cioè in qualche modo intimorendoli. E tutto questo per eliminare una
libera associazione di pochissime persone, incapace di far fronte a un
solo giorno di sciopero, privo di forze, di mezzi, di tutto…questo per
dirti degli interessi che ci sono in gioco. Difficilmente la situazione
potrà cambiare se non si mettono in discussione quegli interessi, che
sono interessi economici, ma anche politici.



Haiti e la Repubblica Dominicana hanno avuto conflitti
storici endemici. Negli ultimi 3 anni per lo meno c’è stato anche un
problema migratorio grave dovuto a una sentenza della Corte Suprema
dominicana che in pratica arriva a togliere retroattivamente la
cittadinanza a decine di migliaia di haitiani o discendenti. Hai potuto
capire com’è la situazione nel Paese o nelle comunità che conosci più da
vicino?



La riforma costituzionale che ha di fatto denazionalizzato oltre
duecentomila persone di origine haitiana rientra perfettamente nel
discorso del razzismo ed ha come obiettivo l’esclusione di queste
persone indesiderate da qualsiasi tipo di diritto civile e politico. Ne è
scaturita una situazione molto tesa, soprattutto nei grandi centri
urbani e nelle zone di frontiera, poiché non sono mancate deportazioni
di massa e rimpatri forzati. Paradossalmente nei bateyes tutto continua
come prima e ciò si spiega con il fatto che queste comunità
rappresentano dei veri e propri ghetti sociali, piccoli invisibili stati
nello stato, che soprattutto costituiscono una preziosa riserva di
manodopera a basso costo, estremamente redditizia per le imprese dello
zucchero dominicano.



Quali sono secondo te le possibili connessioni tra un
fenomeno locale di semi-schiavitù e ripetute violazioni ai diritti umani
e del lavoro e il resto del mondo o addirittura l’Italia?



Per quanto la mia etnografia prenda in considerazione una realtà
circoscritta e distante, ciò che ho cercato di mettere in luce sono temi
tanto attuali quanto universali come lo sfruttamento sul lavoro e la
violazione dei più fondamentali diritti umani. Ma soprattutto, ciò che
ho cercato di mostrare, è che tali condizioni sono la conseguenza
diretta di specifiche politiche economiche nazionali e globali
generalmente riconducibili al modello neoliberista, dove all’altare del
capitale e del libero mercato vengono sacrificate molte delle conquiste
sociali degli ultimi due secoli. A ciò si aggiunge e fa da collante un
ulteriore grande tema che ci riguarda tutti molto da vicino, ed è quello
delle migrazioni, spesso forzate; un tema che ci interroga
quotidianamente ogni qualvolta un nuovo barcone carico di profughi
raggiunge le nostre coste; persone che parlano una lingua universale, a
qualsiasi latitudine, quella dei dannati della terra.

FONTE: Carmillaonline