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Bajau Laut: la difficile vita dei bambini invisibili e apolidi

 di Dominella Trunfio, 06
luglio 2016.



“Quando vediamo il
camion della polizia corriamo a nasconderci dietro le barche”.
 

Maslina Madsail sembra più piccola dei suoi undici anni, ma
riesce a correre velocemente anche se scalza.



A Sabah,
sull’isola del Borneo in Malesia migliaia di bambini giocano a un
gioco molto pericoloso, quello del gatto e del topo con le autorità
di polizia del luogo.



Il loro crimine?
Essere quelli che l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i Rifugiati, chiama bambini invisibili
ovvero apolidi, persone senza cittadinanza che ufficialmente
per lo Stato non esistono.



Sono in questo caso,
tutti i figli dei migranti filippini, indonesiani o
appartenenti alle tribù nomadi che pur essendo nati e cresciuti
in Malesia
, non sono riconosciuti come cittadini ma ereditano
l’apolidia dai loro genitori. E’ per questo motivo che vengono
inseguiti dalla polizia locale.



I Bajau Laut, gli
zingari apolidi del mare, vivono al largo della costa del
Borneo e passano la maggior parte della loro giornata in acqua,
mangiando e dormendo su palafitte di legno.



Secondo le organizzazioni
non governative asiatiche i bambini invisibili in Malesia sono
50mila.
I loro genitori spesso entrano illegalmente nel Paese e lavorano 
in
nero,

costituendo la forza lavoro principale della regione, soprattutto
nella raccolta nelle piantagioni di olio
palma
. Tutti sanno che ci sono eppure per la legge non esistono.
Non
registrano

né matrimoni, né nascite per paura di essere arrestati.
Automaticamente i loro figli non possono frequentare le
scuole
pubbliche

e
non hanno
diritto
 all’assistenza
sanitaria.



“I bambini sono
abituati sin da piccolissimi a scappare. Le autorità effettuano
controlli periodici, se malauguratamente vengono presi finiscono in
centri di detenzione”, spiega Flora Yohanes, un insegnante
in una scuola gestita da una ONG malese di Sabah.



Non avendo accesso
all’istruzione pubblica, i bambini senza documenti e senza
cittadinanza, frequentano le scuole gestite dalle ong. Questo è una
garanzia anche per la loro sicurezza: sia la Malesia che l’Indonesia
hanno, infatti, firmato un accordo secondo cui i bambini non
possono essere arrestati mentre sono in classe.
Il rischio però
rimane per tutte le altre ore del giorno e della notte. E questo li
spinge a fuggire e nascondersi anche per intere settimane.




“Quando ci sono le
ispezioni della polizia può capitare che i bambini non frequentino
la scuola, perché neanche questo edificio riesce a placare la
paura”, dice Yohanes.

I suoi studenti sono
circa un’ottantina, hanno un’età compresa tra i 7 e 12 anni,
quasi tutti sono indonesiani. 




“A volte quando
sappiano che qualcuno dei nostri piccoli studenti viene arrestato non
riusciamo a dormire pensando a quale sarà il suo futuro. Non solo, i
bambini sono così disperati che preferiscono passare la notte
dormendo da soli nella foresta piuttosto che essere trovati
dalle autorità”.


Sfidano la morte
perché temono di più la prigionia.
 “In alcuni casi
noi insegnanti siamo in grado di aiutarli e di farli rilasciare ma
succede solo in pochissimi casi. Eludere i controlli può portare
gravissime conseguenze”, continua l’insegnante.


L’anno scorso, tre
fratelli adolescenti sono morti. 

Si nascondevano al
mercato del pesce di Lahad Datu, i loro genitori erano
arrivati negli anni Settanta a Sabah fuggendo dalla guerra civile
filippina.
I loro dieci figli sono nati tutti in Malesia, ma di
fatto non sono mai stati cittadini malesiani.



La loro madre, Erma
Mandingo, racconta la sua terribile esperienza: “Sarebbe
meglio che fossi morta anch’io”. Secondo le autorità, i
bambini si erano gettati in acqua per non essere trovati e sono
annegati. Diversa la testimonianza di alcuni abitanti del luogo,
secondo cui sarebbe stata proprio la polizia a causarne la morte,
spruzzando gas tossici sui ragazzi. una versione che
ovviamente è stata smentita dalle autorità.





Abdul Rashid Harun, a
capo del Comando di sicurezza orientale di Sabah, spiega:



“Effettuiamo
controlli giornalieri per rintracciare migranti irregolari e i loro
figli. Lo scorso anno sono stati rimpatriate 180mila persone”.



Secondo il comandante, i
migranti irregolari sono artefici di crimini tra cui il
contrabbando di armi. Gli stessi cittadini malesi non vedono di buon
occhio i bambini invisibili. “Sono ignoranti e molti di
loro si trasformano in tossicodipendenti e, per alimentare la loro
dipendenza, rubano”. 



Cosa significa nascere
e crescere senza stato?
 



Lo sa bene il
trentasettenne Jerry Abbas. Suo padre è Bajau e sua madre
malese, ma non hanno mai registrato la sua nascita. E’ riuscito
finalmente a diventare un ex bambino invisibile solo 5 anni fa.  

“Questo documento
è la mia vita”.
 


Oggi fa l’insegnante in
una scuola di fortuna per bambini Bajau e non è più uno zingaro
del mare
, ma il ricordo del suo passato è vivo in lui.



“I bambini
invisibili crescono nella povertà, sniffano la colla per evitare la
fame, chiedono l’elemosina e cercano il cibo nella spazzatura”.



Non hanno molta via
d’uscita questi bambini apolidi, il loro futuro è già
scritto. Ma hanno comunque tanta speranza. Come Maslina,
che frequenta la scuola dell’ong e vende i sacchetti di plastica
al mercato per aiutare la sua numerosa famiglia di 26 persone. Spera
di diventare un ufficiale dell’immigrazione per dare i documenti
alla sua famiglia e uscire dalla loro condizione di invisibilità.



FONTE: Greenme