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Passaporti, violenza e controllo delle nazioni europee

Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Aaron Scheid e Leonard Barlag* pubblicato su Pambazuka, 16 giugno 2016.




Un passaporto sembra qualcosa di naturale e un’esigenza ovvia
nel XXI secolo.



Tuttavia un breve resoconto storico mostra che questo
potente pezzo di carta è il risultato di uno sviluppo piuttosto recente,
strettamente collegato al colonialismo e alla creazione degli stati
nazionali.


Nella primavera del 2015, l’autrice senegalese Fatou Diome, tra le cui opere ricordiamo “Il ventre dell’Atlantico”, suscitò grande scalpore durante il talk show francese “Ce soir ou jamais!“.
Solamente un mese prima, più di 1.000 persone erano affogate nel Mar
Mediterraneo. La barca su cui si trovavano si era rovesciata sulla rotta
che va dalla costa della Tunisia all’Italia. La Diome sfogava la
propria rabbia riguardo al punto di vista e al dibattito europeo
sull’emigrazione. Ed esprimeva la propria convinzione secondo cui esiste
un problema globale che ha le proprie radici nel trattamento
privilegiato di una piccola percentuale della popolazione mondiale che
dipende da un unico documento:



“Gli europei assistono all’arrivo degli africani, ok. Questo
flusso migratorio delle popolazioni è registrato e ben visibile. Ma non
si assiste al flusso migratorio degli europei verso altre nazioni. Si
tratta dell’emigrazione di persone che hanno potere e denaro. Sono
coloro che hanno diritto ad un passaporto. Vanno in Senegal, in Mali, in
qualsiasi nazione del mondo, in Canada, negli Stati Uniti. Ovunque vado
[…] incontro francesi, tedeschi, olandesi. Li incontro in qualsiasi
parte del mondo perché hanno il diritto al passaporto.”



Oltre a smascherare un punto di vista selettivo europeo e l’uso della parola “migrazione”, la Diome affrontava una diseguaglianza evidente.
Esiste un potere strutturale che i cittadini privilegiati possono
ignorare ma che i meno privilegiati devono affrontare ogni giorno, cioè
il potere del passaporto. Chiaramente, questa
ineguaglianza non rappresenta uno sviluppo naturale, ma si è evoluta nel
tempo, come dimostra uno sguardo alla storia di questo documento.



Un resoconto del passato


La storia del passaporto è una storia caratterizzata da controllo e
diffidenza ed è strettamente connessa al processo di creazione degli
Stati nazionali in Europa. È da notare che lo scopo dello sviluppo di un
documento che controlla gli spostamenti non è stato sempre uguale
durante gli ultimi due secoli.



La Bibbia fa riferimento a documenti firmati dal re che conferivano a
un delegato il diritto di spostarsi in modo sicuro e senza ostacoli
all’interno di un regno. Questi cosiddetti salvacondotti
erano in uso anche durante il Medio Evo fino a circa al XIX secolo,
inizio della creazione degli Stati nazionali. Durante la loro
fondazione, gli Stati e le capitali hanno monopolizzato e espropriato i
mezzi di produzione e anche l’utilizzo della violenza e i mezzi di
spostamento legittimi. Tuttavia, un monopolio funziona solamente se
applicato e controllato, e questo ha scatenato il processo di attuazione
di un meccanismo di controllo. 

L’introduzione della cittadinanza, con il significato di nativismo, divenne naturale. A questo punto della storia, la cittadinanza divenne quindi una questione di discendenza, non più di residenza.
Grande enfasi cominciava ad essere data alla nazione di origine di un
individuo, ad esempio tedesco o francese, e ciò si rivelò importante per
lo status e per l’affermazione dei propri diritti. Sarebbe sbagliato
affermare che l’introduzione della cittadinanza e del controllo degli
spostamenti vennero sviluppati esclusivamente per garantire la sicurezza
del territorio nei confronti degli stranieri. Un altro catalizzatore fu
quello di controllare i propri cittadini e introdurre la distinzione
tra viaggiatori, espatriati e disertori dell’esercito.



Nonostante il processo rapido dello sviluppo dei documenti
d’identificazione, la fine del XIX secolo fu segnata da un controllo
limitato degli spostamenti in Eurasia. Il passaporto e l’obbligo del
visto erano stati aboliti completamente in Sassonia e in Svizzera,
mentre l’Inghilterra, la Francia, il Belgio e la nazioni scandinave
avevano allentato le precedenti regole in materia di obbligo del visto.



I liberali e i socialisti in Europa celebravano così il flusso libero
di capitali, merce e lavoro, nonché il fatto che un individuo poteva
spostarsi dalla Francia alla Russia senza dover avere un visto, come
Ulrike Guérot e Robert Menasse scrivono su “Le Monde Diplomatique“:



Percepire l’attuale area di Schengen senza confini come
un’eccezionalità storica, una conquista quasi rivoluzionaria della
storia europea recente di integrazione è fuorviante. Al contrario: il
ricordo del fatto che la libertà dai confini europei abbia rappresentato
per secoli la normalità è importante per poter discutere che cosa
dovrebbe rappresentare questo spazio europeo oggi – cioè ciò che è
sempre stato: un palinsesto
di confini che non esistono, ma definiscono solamente le regioni
culturali che hanno creato uno spazio europeo dalla varietà culturale in
Europa”.



Il momento più “liberale” nella breve storia degli Stati nazionali è
stato interrotto da due Guerre mondiali. I timori di una penetrazione
esterna e di un afflusso massiccio di persone che scappavano dai
conflitti armati cominciò a comportare un maggiore controllo dei
confini. I conflitti armati divennero anche un evento ricorrente che ha
caratterizzato il periodo del dopoguerra, con persone che scappavano da
guerre e devastazioni. I limiti del sistema degli Stati nazionali
apparvero quindi ovvi considerando il numero di cittadini non residenti
che non avevano uno Stato di appartenenza. Inoltre, era esercitato
l’invalidamento del passaporto per le persone che lasciavano una
nazione, cosa che ha portato all’introduzione del Passaporto Nansen
in Europa. L’idea era che i Governi potevano emettere un documento di
identificazione senza concedere la cittadinanza agli ‘immigrati’ – un
tentativo di tappare una falla nel sistema, che – nelle intenzioni – era
destinato a durare solo temporaneamente.



L’eredità coloniale


Gli Stati europei erano anche potenze coloniali e dominavano i
territori e le popolazioni in tutto il mondo. Tali territori erano così
esposti a decenni di sfruttamento violento e di imposizione di sistemi politici ed economici
che di fatto sostituivano o assumevano il controllo di sistemi già
esistenti, alcuni dei quali esistevano da secoli. Questi sistemi
politici pre-coloniali erano diversificati e dinamici come il mondo
stesso, e se dovessimo farne un resoconto, riempiremmo interi scaffali
delle librerie. Ciò nonostante, alcuni esempi dell’Africa Occidentale
dell’epoca pre-coloniale mostrano come gli Stati e i regni seguivano
logiche diverse e questo di conseguenza incideva sugli spostamenti delle
persone. L’impero Ashanti
era in grado di controllare un vasto territorio tramite le
infrastrutture che erano presenti nel XVIII e nel XIX secolo, ad
esempio, in cui le strade e non i confini rappresentavano il pilastro centrale del controllo dello Stato

Altri regni, come quello del Mali del XIV secolo, facevano più
affidamento su una struttura dello Stato “centralizzata”, che si è
sviluppata attorno ad una capitale con una periferia piuttosto definita e
un potere dello statale “concepito come una serie di cerchi concentrici che si propagavano dal nucleo“.
Il colonialismo europeo invece ha introdotto la logica di Stato
nazionale con confini territoriali definiti e un tipo di “status
globale” subordinato al concetto di nazionalità. Il colonialismo, oltre
ai problemi politici, sociali e umanitari, ha comportato una mobilità limitata,
non soltanto dal punto di vista globale ma anche all’interno del
continente, separando inoltre gli spazi che un tempo erano coesi
politicamente e socialmente. Il nazionalismo e
l’assetto economico dell’era post-coloniale hanno intensificato questo
processo rendendo più difficile ai cittadini africani viaggiare,
specialmente verso le nazioni che avevano invaso e ristrutturato le loro
patrie.



La situazione nel XXI secolo


Da un punto di vista europeo, ci sono due tipi di documenti che controllato e legittimano il movimento: il passaporto internazionale e la carta d’identità.
Entrambe creano e sostengono il sistema degli Stati nazionali e della
cittadinanza per gestire i cittadini di un determinato Stato.
Soffermiamoci sul passaporto internazionale. Questo documento è
utilizzato per controllare la partenza da un Paese di origine per
entrare in una nazione straniera e poi ritornare nel proprio Paese. Chi
ha attraversato un confine nazionale conosce il processo che prevede la
consegna del proprio passaporto ad un funzionario di frontiera che si
trova dietro un pannello di vetro. Questo funzionario controlla persone e
passaporti molto attentamente e a volte pone domande riguardo allo
scopo del viaggio.



Ciononostante, un passaporto tedesco consente di entrare senza visto in 172 delle 192 nazioni del mondo. Al contrario, soltanto cittadini di 81 nazioni del mondo possono entrare in Germania senza un visto
– squilibrio che mostra il potere di un passaporto. Lo sviluppo di una
gerarchia in termini di passaporto è un processo avanzato che si sta
verificando solamente da alcuni decenni. E mette i cittadini di nazioni
come la Somalia, Eritrea, Sudan, Sud-Sudan, Etiopia, Congo o Liberia al
livello più basso di tale gerarchia, applicando un sistema restrittivo e molto spesso arbitrario di rilascio del visto.
Tale sistema consente alle nazioni potenti dal punto di vista economico
e politico di utilizzare la mobilità delle persone come una fonte di
negoziazione e rafforza il loro dominio. 

Un esempio di questo meccanismo
è rappresentato dalla Coppa del mondo FIFA 2014 in Brasile:
le nazioni europee hanno agito nel loro interesse nel concedere
l’accesso gratuito ai propri cittadini tifosi in Brasile e in cambio il
Brasile è riuscito a garantire normative in materia di visto più
liberali per i propri cittadini che si recano in Europa. In questo caso,
l’evento culturale ha conferito al Brasile un potere di negoziazione
e questo di conseguenza ha aumentato il suo potere economico e
politico. Se agli Stati mancano queste risorse materiali e simboliche,
non sono quindi in grado di consentire alla propria popolazione
l’accesso alle reti, agli scambi, all’educazione e al lavoro a livello
internazionale.



Prospettiva


Le alternative sono possibili se iniziamo a scardinare la
‘naturalità’ percepita dello status quo. Un numero crescente di
intellettuali, studiosi, artisti e attivisti politici sottolineano l’evoluzione storica dei confini
rendendoci consapevoli della loro violenza e arbitrarietà, e si
esprimono a favore dei vantaggi sociali ed economici che si potrebbero
ottenere senza l’esistenza dei confini… un mondo in cui potremmo
affermare che il passaporto rappresenta solamente un episodio che è
durato poco più di un secolo. Sarebbe un mondo in cui l’affermazione
della Diome sarà plausibile per tutti:



“Viviamo in un mondo globalizzato in cui un indiano potrebbe
vivere e trovarsi un lavoro a Dakar, un individuo di Dakar a New York e
uno del Gabon a Parigi. Che vi piaccia o no, si tratta di una realtà
irreversibile. Quindi troviamo una soluzione collettiva, o abbandoniamo
l’Europa, perché io ho intenzione di restare
.”




[*Aaron Scheid e Leonard Barlag
collaborano alla campagna “VisaWie” in Germania. “VisaWie? Gegen
diskriminierende Visaverfahren!” è una rete di diverse organizzazioni
critiche riguardo al modo in cui sia la Germania che l’Europa emettono i
visti. La rete di attivisti richiede un processo di emissione dei visti
più equo e trasparente. 

Ulteriori informazioni riguardo a questa
campagna sono disponibili al sito www.visawie.org oppure all’indirizzo email info@visawie.org.]